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Le vacanze di molti italiani partono dal web e tornano nel web come esperienze utili per gli altri viaggiatori. [ViaggieRelax.it]

Perù & Bolivia: alla ricerca del Camino Real PDF Stampa E-mail
Scritto da Maria Pullano   

Dopo un lungo volo arriviamo finalmente a Lima di notte e ci avviamo al quartiere Miraflores, il quartiere residenziale dei nuovi ricchi uno dei più belli della città.




Già nell'oscurità il freddo e l'umido che bagna le strade tipico dell'inverno di questa città ci accolgono insieme al traffico caotico che caratterizza il Sudamerica.
Il mattino successivo iniziamo il giro turistico sotto un cielo plumbeo e grigio da Plaza de Armas, una bella piazza ariosa e con le palme, perimetrata dalla cattedrale, con tre stili architettonici diversi e affiancati, dal palazzo del Governo, difeso con due carri armati fuori dal cancello e da guardie armate; dall'altro lato il municipio.
La fontana a zampillo al centro della piazza quadrata, le palme e il cielo plumbeo a ricoprire il tutto una delle tipiche piazze del sud americana. Venditori ambulanti di ogni cosa, in ogni dove, sorridesi trova la chiesa e convento di San Francisco dove facendoci strada da una coltre di piccioni, riusciamo ad entrare nelle catacombe sotto la chiesa . In una luce gialla sono ammonticchiate miglia di ossa umane, in prevalenza femori e teschi, appartamenti a migliaia di peruviani che hanno fatto il loro passaggio in città e che ancora restano da monito per i vivi.

Dopo queste visioni macabre e piuttosto anguste sotto i tetti a volta fatti ad altezza di peruviano usciamo nel chiostro dove ancora si conservano gran parte dei dipinti originali e andiamo nel refettorio dove i monaci consumavano il loro pasto sotto a un dipinto dell'ultima cena in cui la stessa viene servita su un moderno tavolo rotondo.
Spinti dalla fame che ci conduce a cercarci un posticino peruviano in cui sperimentare la prima comida della vacanza. Troviamo un posticino accogliente ed economico, come saranno tutti i nostri pranzi peruviani, e qui mangiamo il primo piatto di pollo di una lunga serie. Sempre con lo spirito dell'avventuriero qualcuno si lancia alla scoperta dell'Inka Cola, la bevanda tipica del posto che sulle tavole dei peruviani prende il posto dell'internazionale Coca-Cola. Come descriverla: colore: giallo fluorescente; odore: fragoloso sapore: spremuta di bigbubble dolcissima!

Con la pancia piena si può anche affrontare il giro culturale al museo de la Nation, gigantesco museo a ingresso gratuito completamente sovvenzionato dallo stato e……..vuoto. Accanto ai pochi pezzi Inca al piano terra, tutti contenuti in una sala, è in corso una mostra fotografica degli anni di Sendero luminoso e sulle scie di morti e distruzione che si sono lasciati alle spalle per portare avanti i loro ideali. L'arie cupa e triste di questa mostra si sposa a meraviglia con la cupezza e la tristezza che contraddistinguono Lima.
A fine giornata con il pullman ci avviamo alla nostra prima meta la città di Puno. Facciamo tre ore di pullman lungo la Panamericana del Sur la strada che attraversa tutti il sud America dal Messico alla Patagonia, altro che route66. Fa presto buio ma anche la protezione delle tenebre non addolcisce l'aspetto spettrale e agghiacciante della cittadina di Puno, sembra che il terremoto che l'ha colpita l'anno prima abbia avuto luogo solo ieri per le strade agli angoli, e spesso nel centro della carreggiata, ci sono cumuli di sabbia, mattoni accatastati, tutto quanto serve per la ricostruzione che sembra in procinto di partire. L'atmosfera che si respira è quella di una città fantasma dove povertà e squallore ricoprono tutte le cose, l'ambiente circostante non ha intaccato l'animo di questi peruviani sempre gentili e con il sorriso sulle labbra.


07 agosto 2008 - Pisco - Islas Ballestas - Huacachina
Sveglia all'alba, la prima di una lunga serie in questa vacanza, per arrivare presto al molo dove ci aspetta la barca che ci porterà a fare il giro delle Isole Ballestas, le Galapagos dei poveri come vengono definite. Partiamo infagottati a non finire vuoi per l'ora mattutina vuoi per l'aria fredda della corsa sull'oceano che ancora si deve svegliare. Prima di arrivare alle isole passiamo accanto al famoso candelabro, la figura è il primo mistero peruviano in cui ci imbattiamo: è l'immagine di un candelabro scavato nella terra sul crinale della montagna Paracas. Ancora oggi tutti si chiedono la sua origine e soprattutto la sua funzione: la teoria che più mi piace è che fosse un segnale utilizzato dai pirati che infestavano la zona per guidare la navigazione dei colleghi che doppiavano Capo Horn.

Avvistiamo le isole in lontananza, meglio sarebbe dire annusiamo le isole in lontananza, visto che la ricchezza di queste Galapagos dei poveri non è altro che il guano prodotto dalle sule che utilizzato come fertilizzante, ha consentito la rinascita agricola peruviana. Oltre alle sule, di cui cerchiamo di schivare la missilistica aerea, le isole sono piene di cormorani, pellicani, pinguini, di foche e di leoni marini pigramente sdraiati sulle rocce con il solo intento di far passare la giornata. Le acque sono piene di una specie di gamberetti rossi di cui si cibano gli uccelli alimentando la catena alimentare dell'isola. Ci allontaniamo nel freddo della velocità della nostra barca dalle scie olfattive delle isole; un grazioso saluto ci viene fatto da una coppia di delfini che tuffandosi e giocando con le onde ci accompagna fino al porto. Qui in piena ambientazione marinara si fa colazione con un panino cipolle e aringa….incredibile, ma delizioso! Ed è qui che veniamo corrotti; sulle banchine di questo porto ci perdiamo per la prima volta alle bancarelle di artigiano peruviano ed è qui che ciascuno di noi comprende che non potrà più smettere di ammirare, e di acquistare fino alla fine del viaggio.

La giornata è ancora lunga e facciamo un salto spazio-temporale dal mare al…….deserto. Raggiungiamo la località di Huacachina, Sembra di essere stati catapultati in Marocco: dune di sabbia bianchissima e altissima dove ci concediamo del sano divertimento avventurandoci con le dune-buggies lanciate a velocità folle dagli autisiti su queste montagne russe naturali fatte di salite ripide e discese mozzafiato che ci fanno urlare di puro terrore! Il divertimento non finisce qui, proviamo anche il "sand-board", cioè ci lanciamo giù per le dune di sabbia abbracciati a una tavola da snow-board. Le discese sono ripidissime, cerco di impedire che la sabbia mi vada in bocca e non urlo dalla paura come vorrei……..salvo la bocca ma la sabbia mi finisce in posti irraccontabili!

Ci dirigiamo ora a Nazca City dove arriviamo con la smania di vedere uno dei posti che ha dato origine alla scelta di questo viaggio: le linee di Nazca. Non vedo l'ora di farmi stupire dal loro fascino mistico e misterioso e incontrare tracce vivide degli alieni che, secondo una delle teorie sulla loro origine, le hanno disegnate. Siamo tutti impazienti e vorremo volare già questa sera nella luce del tramonto purtroppo l'impresa si rivelerà essere più difficile del previsto! Per questa sera ci accontentiamo di prendere confidenza con la vita di provincia del Perù. Andiamo di paseo serale come si usa fare qui, e camminando camminando nelle vie di Nazca entriamo in sintonia con il lo stile di vita peruviano, povero e dignitoso, un paese dove tutta la vita si svolge per strada e sulla piazza e dove tutto quindi viene condiviso. E' bello e dolce il tramonto rosso sulla piazza principale di Nazca e sui suoi venditori ambulanti di cibarie di ogni genere, pane, dolci, polli spennnati e bibite preparate sul momento da guaritrici improvvisate che misciano i loro magici ingredienti in un sacchetto di plastica trasparente che viene poi consegnato nelle mani dei loro numerosissimi clienti. Dopo cena, dove abbiamo scoperto che la birra peruviana è buonissima, vogliamo provare l'altro liquore famoso: Il pisco. E con una bottiglia davanti al totem di una panchina pubblica, nel via vai del passeggio serale, inizia il giro dei chiupitos inframezzato da risate sempre più facili e sempre più spontanee.

08 agosto 2008 - Nazca
Anche oggi sveglia all'alba per poter volare sulle linee di Nazca e riuscire, magari, a scoprirne il segreto dopo tutti questi anni. La curiosità per quello che andremo a vedere si unisce all'ansia di non riuscire a volare; le compagnie di volo fanno un po' i capricci e presto le voci di persone che non sono riuscite a volare nonostante prenotazioni fatte per tempo si diffondono nell'aria. L'attesa è snervante e il rischio di non volare per: la nebbia, le moltissime persone che millantano una prenotazione, il traffico aereo. Mettono a dura prova la nostra pazienza ma le linee di Nazca aspettavano il nostro arrivo e non ci permettono di andare via senza averle sorvolate. Aspettiamo imperterriti quasi dalle sei del mattino a mezzogiorno quando, finalmente, passiamo i controlli al metal detector per poterci imbarcare sul cessnar pilotato da un rubicondo peruviano che ci conduce nei cieli. Il capitano ci accoglie a bordo, cuffie cinture e si parte.

Il cessnar su cui voliamo é leggero e fragile sotto le coerenti d'aria che modificano costantemente il nostro precario equilibrio aereo. Arriviamo presto alla zona rocciosa dove si iniziano a scorgere le linee chiare scavate nella roccia rossastra che risaltano con un contrasto stupefacente; e dopo linee dritte e lunghissime, senza alcuna interruzione, che puntano all'orizzonte iniziano ad apparire i disegni famosi: la balena, l'extaterrestre, il condor, la scimmia, il colibrì. Alcuni disegni sono netti e definiti, altri difficili da decifrare dai 3.000 metri d'altezza da cui è possibile guardarle. Il nostro pilota fa continue virate incrociate: destra-sinistra-destra-sinistra per farci meglio ammirare le linee…….mettendo duramente alla prova i nostri poveri stomaci…….non tutti infatti reggono.

Ammirare questi disegni scavati nella roccia chissà da chi e chissà per quale motivo è affascinante ma alla fine del volo, forse complice il mio stomaco che non ha retto a tante emozioni, c'è un po' di delusione riguardo l'assenza di domande ancestrali che mi sembrava naturale farsi dopo questa esperienza. Tutto mi è sembrato molto asettico, manca il senso di mistero e di scoperta che mi aspettavo dall'esperienza. La teoria delle linee usate come calendario astronomico o come piste di atterraggio degli ufo è poco credibile. Ora, propendo per la teoria degli scavi che corrispondono a sorgenti d'acqua; forse erano solo canali per trasportare l'acqua a fini agricoli, ma allora perché con le forme di animali? e perché così grandi? e perché visibili solo dal cielo? mmmmmh qui il mistero si autoalimenta!


E' con questi dubbi che inizia il lungo viaggio in pullman verso Arequipa. L'oceano ci accompagna alla nostra destra e ci fa coraggio lungo questa strada battuta dal vento e inondata dalla sabbia bianca della spiaggia mentre dal costone di roccia alla nostra sinistra continuano a staccarsi piccoli massi che rendono infido il nostro cammino. Tutto diventa più spaventoso all'arrivo del buio, il Perù fa paura in questi posti desolati e non basta la bellezza delle baie deserte a contrastare l'ululare del vento nei nostri cuori. Un malinconia che sa essere dolce si impadronisce di noi tra il mare e la nebbia che stiamo attraversando per raggiungere la nostra meta. Dentro al pullman si tengono le luci accese e si canta mentre attraversiamo villaggi poveri e sporchi, per strade sterrate fiancheggiate da baracche dove uomini, arresi, siedono a terra, accanto alla porta di casa aspettando qualcosa.

09 agosto 2008 - Arequipa
Arequipa, la città bianca, per via del colore della pietra lavica con cui sono costruiti gli edifici più importanti della città. Ci svegliamo con il suono delle campane con il sole e l'aria friccicarella tipica di montagna, effettivamente ci troviamo già a 2.300 metri di altitudine e il nostro fiato corto e il mal di testa che si affaccia già a inizio giornata ci conferma che siamo in quota. Per sconfiggere i sintomi del mal di montagna, o soroche come lo chiamano in Perù, utilizziamo i vecchi sistemi naturali….mate de coca subito a colazione….e subito sentiamo i primi miglioramenti. Da adesso in poi ogni conversazione di questa vacanza sarà accompagnata dal bolo di foglie di coca masticate in continuazione per darci sollievo dai sintomi dell'altitudine.


Iniziamo subito il giro della città e cominciamo a prendere confidenza con le strade e con il vulcano, attivo, Misti che domina ovunque. Camminando per strada iniziamo a vedere il Perù che i aspettavamo: signore vestite con abiti tradizionali e coloratissimi, i loro sorrisi amichevoli quando ci incontrano e le loro facce serene. Prima tappa Convento di Santa Catalina: era il convento in cui le ricche famiglie spagnole facevano andare le seconde figlie femminile, come ci racconta la nostra guida, mentre le prime erano destinate al matrimonio. Fuori dal convento alcune signore in modo molto educato, dolce e sorridente propongono i loro lavori di artigianato: manufatti in lana, bambole, acquarelli, ci chiedono il nome e ci aspettano all'uscita sicure che non verrai meno al contratto verbale con cui all'ingresso hai promesso di comprare loro qualcosa. Nessuna di loro si nega ai nostri obiettivi anzi, viene fuori un po' di civetteria femminile nell'essere oggetto di tante attenzioni. Il convento, e la vita che le ricche fanciulle vi conducevano, avevano ben poco del monastico visto che tutte avevo al seguito la loro servitù e ancora si favoleggia delle numerose feste, con invitati provenienti da fuori le mura del convento, che venivano organizzate per rendere più lieto il passare del tempo. Il convento ha i colori del mediterraneo: i colori caldi della terra e il bianco e l'azzurro del mare. E' bello passeggiare per le sue strade silenziose e perdersi tra le vecchie celle, cucine e chiostri di questo convento.

 La mattinata prosegue al museo di Juanita, la mummia di una ragazzina di 15 anni ritrovata casualmente in montagna allo scioglimento dei ghiacci causato dall'eruzione del vulcano. Il giro al museo inizia con un filmato in cui vengono ricostruiti gli ultimi giorni di vita di questa ragazzina che per la sua perfezione fisica e mentale era stata scelta come vittima sacrificale agli dei 500 anni fa. Ti fanno rivivere la paura e l'orgoglio che deve aver provato Juanita nell'escer escelta come il sacrificio che avrebbe placato gli dei sulla montagna sacra. Pur essendo sicuramente romanzato il filmato ha un forte impatto emotivo e ci prepara alla visione della piccolissima mummia conservata in una teca di vetro a temperatura molto bassa per garantirne la conservazione. I vetri della teca sono circondati da un leggero strato di brina che sembrano proteggere la piccola Juanita.

Il pomeriggio inizia con un pranzo comprando al volo per strada, delle specie di 'sofficini' ripieni con carne leggermente piccante molto buoni, mentre passeggiamo a zonzo per le vie di questa bella città. A zonzo per la città è bello osservare la vita che scorre e che mischia gli abiti moderni dei ragazzi e i costumi tradizionali delle signore con i loro abiti coloratissimi, le immancabili lunghe trecce nere e la bombetta 'sulle ventitre'. Andiamo a zonzo per i mercatini, attrazione a cui nessuno sa resistere, per poi tornare verso Plaza de Arma inondata dal sole con la sua fitta vegetazione di palme, la fontana d'ordinanza e la Cattedrale che ne sovrasta la vista. Dopo lo shopping ci vuole un po' di cultura e così entriamo nella cattedrale dove si trova un bellissimo pulpito in legno intagliato. Prima di cena prendiamo al volo degli economicissimi taxi e ci facciamo portare al belvedere per gustarci il tramonto dall'alto della città e ci spingiamo in un altro tentacolare mercato dove vorresti comprare di tutto e dove le venditrici, esperte di moda, ti propongono abbinamenti di capi di lana morbidissima, e dai colori allegri a cui è impossibile rinunciare visto i prezzi!

La sera a cena assaggiamo uno dei piatti tipici: il cuy arrosto, ovvero il porcellino d'india….saporito anche se spaventoso da vedere nel piatto in cui lo servono con tanto di dentini e unghiette! Il tutto è accompagnato da musica peruviana suonata dal vivo apposta per noi e da balli da perdere il fiato in cui ci trascina una arzilla signora peruviana. La musica è talmente bella che non ci facciamo sfuggire l'occasione di portarti a casa un bel cd ricordo. Visto che è sabato sera facciamo un po' di movida per le strade di Arequipa e….tutto è super-vivo. La via principale dove ci sono tutti i locali è tutta illuminata, i marciapiedi sono pieni di gente che si muove da un posto all'altro e la strada è imballata di traffico. Le auto, e i tantissimi taxi che girano per questa città, sono addirittura fermi. Le persone fanno la fila per entrare nei locali e anche noi ne scegliamo uno in cima a una scala ripidissima e ci fermiamo a bere con i peruviani occidentalizzati che si distinguono da noi turisti solo per i tratti somatici e il colore della pelle. Il ricordo è di una città viva e divertente piena di turisti, si, ma anche di peruviani che vogliono divertirsi.

10 agosto 2008 - passo Papapampa - Chivay
Partiamo con Il nostro fido pulmino che deve condurci alla prossima tappa: Chivay. Per arrivare attraversiamo la riserva naturale di Salinas e insieme alla nostra simpatica guida giochiamo al riconoscimento della differenza tra vignone, lama e alpaca…….la differenza è nella forma delle orecchie se sono in alto è un lama e se sono indietro un alpaca….o era il contrario. Durante la traversata in questa pampa sconfinata ne vediamo diversi branchi e riusciamo anche a scendere dal pullman per fotografarli da vicino senza però riuscire ad avvicinarli per toccare il loro morbido pelo. Quando il gioco si fa difficile ci vuole un premio adeguato; infatti ci giochiamo una sana bevuta di birra offerta alla prima persona che riuscirà ad avvistare la bisaccia, un simpatico coniglietto selvatico che vive in questi posti. La strada, un tornante dietro l'altro, é tutta in salita, e più si sale più si intensificano i sintomi del soroche fino ad arrivare ad una esasperazione di brividi e nausea quando ci fermiamo per le foto di rito al terribile passo Patapampa…….ben 4.950 m! La vista è di quelle mozzafiato, sembra di dominare tutte le Ande ma è una vista a cui, in quel momento, si rinuncia volentieri per prendere una dose della nostra medicina preferita: una tazza fumante di 'mate de coca'. Dal nostro bar disperso nel nulla delle Ande si vedono benissimo i tre vulcani, tutti attivi, della regione……..inquietante presenza!


Arriviamo alla porta di Chivay e entriamo nella bella piazzetta e in un mondo dove il tempo sembra essersi fermato. Tutti indossano i loro abiti tradizionali e un sorriso. I cappelli tradizionali a sfondo bianco e con degli ornamenti colorati danno molte informazioni su chi li indossa: se hanno la parte alta quadrata chi lo indossa arriva dalla parte alta della valle del Colca, e arriva dalla parte bassa se il cappello è rotondo. Sono anche una portentosa guida alle relazioni tra i sessi; se le signore che lo indossano hanno appuntato di lato un solo fiore significa che sono 'soltere' e, al contrario sposate, se hanno appuntati due fiori. Spossati dal soroche e dal freddo pungente di questa altitudine ci rechiamo alle terme della città inseguendo il miraggio di caldo e accoglienza e con la speranza di rimetterci in forze. Le terme sono all'aperto incuneate nel silenzio di una valle, vinta la paura di metterci in costume al freddo uno dopo l'altro ci tuffiamo e passiamo un agio di ore stupende a mollo in un'acqua termale piacevolmente calda in cui si consumano le nostre chiacchiere bevendo birra e i nostri giochi d'acqua mentre fuori il sole volge al tramonto inondando d'oro le montagne che ci proteggono tutt'intorno. Appena scende il sole risale un freddo cattivo che ti penetra nelle ossa e non fa che esasperare il mal di testa da soroche. Non riusciamo a goderci neppure la cena dove un gruppo si impegna al massimo nel suonare i brani tradizionali peruviani e una coppia di ballerini cerca di coinvolgeri nelle danze……ma il fisico proprio non ci regge. Non vediamo l'ora di metterci al calduccio dei nostri lettini…….nel nostro gelido albergo dove l'uso del riscaldamento è una pratica sconosciuta e costringe ad andare a letto vestiti e sotto un montagna…..di coperte!

11 agosto 2008 - Janque- Maca - Cruz del condor - Puno
Altra sveglia ll'alba, oramai è diventata un'abitudine, e via presto verso il nido dei condor. Lungo la strada nella valle del ci fermiamo a Janque un villaggio dove al nostro arrivo le donne sono turisticamente schierate ad attenderci nei loro abiti tradizionali e con i loro animali domestici: lama, gufi e falchi agghindati da giorno di festa. Ci fermiamo a farci trascinare in questo rito turistico-fotografico a cui nessuno vuole rinunciare vista la bellezza dell'abbinamento tra gli abiti delle signore, i loro animali e l'aurora che illumina la piazza del paese. Poi ci dedichiamo a fare due passi per la piazza con al centro una fontana al cui intorno ballano e volteggiano colorate gonne ruote di gonneline e con i loro sandali senza calze, nonostante il freddo pungente, uno stuolo di bambine che cantano allegre e allietano la mattinata dei turisti e ne approfittano per raccogliere fondi per la loro scuola di ballo. La luce radente dell'alba illumina a poco a poco le signore che in piazza vendono i maglioni di loro produzione strette nei loro colorati abiti tradizionali. Facciamo una visita velocissima alla chiesa in ristrutturazione dove tutti gli altari sono coperti dai teloni di plastica che assegnano a tutto un stato di vigile attesa di qualcosa che sarà mentre sulla piazza la luce dell'alba inizia scaldare. Passiamo anche nel villaggio di Maca dove gli abitanti sono pochissimi a causa dell'eruzione vulcanica che lo ha distrutto non troppi anni fa. Accanto alla bella chiesetta del classico bianco coloniale con gli specchi che riflettono la santità dei suoi altari ci aspetta addirittura un grosso falco che ha deciso di farsi portare in Italia……anche se solo in forma fotografica!


Ora andiamo dritti alla Cruz del condor sotto un sole che oramai è alto a camminare sulle Ande lungo il sentiero che costeggia il canyon Colca. I colori, la forza, l'imponenza di queste rocce, la maestosità delle montagne e le incredibili gole che ci attraggono e ci danno una vertigine sono un sogno insperato che diventa realtà la nostra passeggiata verso il punto di avvistamento dei condor. Queste montagne sembrano qui da sempre ad aspettarci pazienti; lungo la salita faticosa per via dell'altitudine ci fermiamo per le foto di gruppo e per riprendere fiato e assaporare questo senso di appartenenza alle forze della natura che ci circondano. Seguiamo il sentiero che va verso il punto di avvistamento dei condor sicuri di non mancare l'appuntamento con questi animali abitudinari che tutti i giorni aspettano che l'aria sia scaldata dal sole e che si creino le correnti ascensionali da cui farsi portare solamente dispiegando le ali senza fare la minima fatica per librarsi in volo.

Tra la fatica della salita e l'ansia dell'attesa arriviamo all'appuntamento; due condor sembrano uscire direttamente dalla roccia su cui poggiamo i piedi e salgono leggeri e veloci nel blu del cielo. Lo spettacolo è emozionante e incredibile; non è facile rincorrere queste creature con lì obiettivo della macchina fotografica che sembra proprio non riuscire a stare dietro a queste forze delle natura. La libertà del loro volo sembra voglia portarci con loro e sembra un omaggio alla nostra pazienza e a noi che arriviamo da lontano per ammirare il loro volo. Dopo aver trattenuto il fiato, insieme a una folta schiera di turisti, per questo spettacolo incredibile riprendiamo il nostro pulmino che ci porterà a Puno ma senza privarci della splendida vista sulle terrazze agricole della valle del Colca e lasciandoci un impolverato ricordo delle sue strade sterrate e piene di tornanti. La discesa è stretta e pericolosa ma la vista sulla valle è mozzafiato e scendere per questa strada accanto ai cumuli di neve fresca ci distrae dal pericolo. Arriviamo a Puno quando oramai è buio e la città ci aspetta adagiata nella valle del lago Titicaca, il lago navigabile più alto del mondo, con le sue luci gialle e azzurre, quasi a voler riproporre una metafora del caldo delle giornate e del freddo delle notti, li a guidarci verso il nostro hotel.

12 agosto 2008 - Islas Uros - Isla Amantanì
Di nuovo sveglia all'alba, non si può certo dire che questa sia una vacanza riposante, ma fino ad oggi tutte le nostre fatiche sono state ampiamente ripagate dalle emozioni e dalla gioia di scoprire ogni giorno di più un pezzettino di questo splendido paese; e qualcosa mi dice che le gite che ci aspettano oggi non faranno che confermare questa sensazione. Oggi andiamo a visitare le popolazioni delle Isole Uros e Amantani, dove dormiremo questa notte. Partiamo con il traghetto e la nostra guida ci spiega l'origine del nome del lago che stiamo navigando: la sua forma richiama quella del Titi, una specie di gatto selvaggio, che aggredisce il caca, un animaletto simile a un coniglio! Il sole è altro e si riflette su una distesa d'acqua, di cui non si vede la fine, e intensamente blu da sembrare mare.

Dopo un'oretta di navigazione arriviamo alle isole Uros, sono isole flottanti costruite legando insieme dei blocchi di 'totora', una canna che cresce nel lago, che viene intrecciata e legata. Sulle isole si cammina su qualcosa di morbido, instabile e che da un leggero mal di mare. Qui le donne ci accolgono e ci aiutano a scendere dal battello con i loro vestiti dai colori fluorescenti e i pendagli di lana colorati che mettono alla fine delle loro lunghe trecce. Tutto qui è di 'totora', le isole, le capanne, le barche e le sedute su cui ci fanno accovacciare mentre i nostri ospiti ci spiegano come si costruivano in passato, e ancora oggi, le isole su cui vivono. Facciamo presto a fare un giretto dell'isola, veramente piccola, e a curiosare nelle loro capanne sempre circondati dal lago. Dopo un assaggio del loro buonissimo pane fritto parte immancabile il giro shopping a cui è impossibile resistere alla bellezza dei manufatti e ai loro modi gentili. Uros significa 'chi non vuole lavorare' e come può venirne voglia calati in questo blu da favola e con questa luce abbagliante che rende tutto più luminoso e centrato. Le donne che ci hanno accolto ora ci salutano e cantano per noi mentre sulla barca di 'totora' ci avviamo a visitare un'altra isola sperduta nel mezzo di questo lago infinto dove, nella scuola frequentata dai bambini del 'quartire', è in corso una lezione.


 Ora andiamo in lago aperto e navighiamo qualche ora immersi nella pace e nel silenzio della natura disturbato solo dal rumore del nostro motore e dal chicchiericcio di chi ancora non cede al sonno e alla stanchezza. Durante la traversata, in questa situazione surreale si scatenano tanti pensieri dalla sensazione di essere lontano da tutti e d tutto e quindi, forse, più vicino a capirne il senso delle cose. All'arrivo sull'isola Amantanì le signore che ci faranno dormire nelle loro case con la formula del B&B alla peruviana sono già sul molo ad aspettarci vestite nei loro tipici abiti isolani. La nostra mamma si chiama Hester e vive con la sorella, la figlia, il nipote e la mamma. Anche lei come molte delle donne che vivono sull'isola è stata abbandonata dal marito e manda avanti la famiglia come meglio riesce. Consapevoli della situazione in cui vivono sull'isola al mercato del molo, prima di partire, abbiamo acquistato candele, riso, frutta, olio, etc. a cui abbiano unito gli abiti portati dall'Italia per farne dono alle famiglie di cui siamo ospiti. La nostra cameretta è estremamente spartana, non c'è né acqua né corrente elettrica, ma pulita e ben arredata con le coperte calde e colorate tipiche di questo paese. Una bimba dal viso dolce e amichevole ci mostra la casetta costruita fuori dal cortile domestico che sarà il nostro bagno per le prossime 24 h. Hester, sempre gentile e premurosa, ci accompagna alla festa in piazza dove nei costumi tradizionali uomini e donne ballano facendoci venire il capogiro per quel mischiarsi di colori di sottane che creano l'arcobaleno e quei nastri con le piume che ondeggiano nei capelli delle fanciulle.

Gli uomini nei loro vestiti buoni guardano seduti sulla gradinata le giovani ballare e perpetuano la cerimonia della coca che prevede lo scambio di alcune foglie di coca tra le persone che si salutano. La bellezza di questi luoghi merita un saluto e un ringraziamento al tempio della Pacha Mama, la madre terra, tempio che si trova nel punto più alto dell'isola e che raggiungiamo con i cuore in gola, questa volta non per l'emozione del paesaggio anche se incredibilmente bello, ma più per la fatica, causata dell'altitudine, nel fare la salita. Arrivati in cima ci godiamo un tramonto dorato sul lago e sulle sue isole al ritmo di un gruppo peruviano che, anche quassù, ha abbastanza fiato per soffiare nei loro strumenti! Aspettiamo che la luna sorga all'arrovescia' sotto l'equatore e illumini la nostra discesa prima di avviarci verso casa. Hester prepara per noi una tipica cena locale: zuppa di quinua, un cereale locale, deliziose frittelle e le immancabili patate fritte. Tutto semplice e buonissimo presentato con l'umiltà di chi ti sta offrendo il suo massimo e tutto consumato alla luce di una sola candela tra chiacchiere e risate.


Dopo cena si va a ballare e le nostre mamme temporanee ci vestono con i loro abiti tradizionali, è strano vedersi con indosso questi abiti in un'altra probabilità di vita, come saremmo potute essere e come, forse per caso, non siamo. Ci accompagnano nella campagna buia e fredda in questo silenzio ovattato che sale dal lago verso la festa che è stata organizzata per noi. I balli di gruppo e a coppie sono rapidi e roteanti da togliere il fiato, vista l'altitudine a cui non siamo per nulla abituati, gli altri invitati sono simpatici e ci trascinano nelle loro danze al ritmo di questa musica allegra e spensierata!…affascinanti uomini in poncho fanno il loro ingresso alla festa….potenza dell'abito! A fine serata la preziosa Hester ci accompagna sane e salve a casa nel buio della notte illuminato da un cielo stellato fittissimo il cui riflesso sui tetti di lamiera sembra creare quasi il riverbero della neve. E, su tutto questo freddo che ci circonda: luna……'all'incontrario'!

13 agosto 2008 - Isla Taquile - Sillustani - Puno
La mattina dopo affacciata a un simil balcone vista lago scopro che è bello stare qui in mezzo a queste persone che conducono una vita dura, ma che hanno sempre il sorriso negli occhi e la gentilezza dei cuori semplici, sempre pronti ad accogliere l'altro e sempre curiosi di conoscere quello che c'è fuori dalla loro isola. Da Amantanì mi porto via una sensazione di bel isolamento, di pace e lontananza dalla frenesia e dei falsi problemi del mondo; una assenza di mancanza degli oggetti indispensabili che sempre affollano le nostre vite e le nostre giornate. E' arrivato il momento dei saluti e delle foto ricordo; dopo aver fissato nella memoria queste belle sensazioni di calore umano, bontà e accettazione della vita, accoglienza e sincero affetto riprendiamo il nostro battello, anche se un po' a malincuore, per continuare il nostro giro sulle isole del Titicaca.


Ci facciamo trasportare su questo immenso lago che sempre di più ricorda il mare oltre che per l'intensità del blu anche per le sue acque decisamente mosse che rendono la navigazione dondolante. Arriviamo all'isolata Taquile, sembra d'approdare a Capri con le sue calette in cui si insinua il mare e la vista sul lago che mozza il fiato per la bellezza e per la fatica! Il lago è in ogni dove e, salita facendo, la nostra guida ci distrae raccontandoci le abitudini degli isolani che si sposano sempre e solo tra di loro e che hanno un sistema bizzarro per conquistare le loro donne. Sull'isola sono gli uomini a lavorare a maglia ed è dal colore del berretto di lana indossato che si capisce se un uomo è già sposato o ancora alla ricerca della sua metà. Sull'isola quando un uomo vuole chiedere in sposa una ragazza lavora a maglia un cappello di cui farà dono al futuro suocero il quale, prima di acconsentire alle nozze, riempire d'acqua il cappello per vagliarne la bontà a trattenere il liquido. Tanto più il cappello tratterrà l'acqua tanto più testimonierà la bontà e la capacità lavorative del ragazzo che lo ha fatto. Un'altra usanza tipica dell'isola è far precedere il matrimonio da un anno di convivenza obbligatoria durante il quale i futuri sposi hanno il tempo di conoscersi e far si che il loro successivo matrimonio sia indissolubile per tutta la vita. I precetti Inca a cui tutti si attengono regolano la vita sull'isola: non mentire, non rubare, lavorare. Questa è la legge dell'isola di Taquile.


Arriviamo nella piazza centrale del paese, proprio in cima all'isola, dove nella chiesetta è in corso un matrimonio e ci mettiamo dietro la banda musicale in attesa di una sposa che si fa desiderare e che non riusciremo a vedere visto che dobbiamo riaffrontare la discesa per tornare al battello.
Siamo diretti a Puno ed è malinconico il viaggio di ritorno su questa infinita distesa d'acqua dopo aver conosciuto dei modi di vivere così lontani dal nostro che sembra così pieno, mentre l'assenza di oggetti e di esperienze frenetiche in cui vivono queste persone semplici forse sono la vera essenza della vita che oramai abbiamo dimenticato inseguendo obiettivi sempre più ambiziosi. Con questi pensieri sbarchiamo a Puno dove sul lungomare è n corso una parata e donne in costumi di una bellezza commovente procedono danzando sotto un caldo sole portando in giro i loro bei sorrisi e i loro balli. Un girotondo di colori e gli abiti eleganti, cuciti apposta per l'occasione.


L'ultima tappa della giornata è il sito funerario di Sillustani; qui si trovano le chullpas, delle torri funerarie costruite in pietra, dove venivano sepolti i nobili spesso seguiti da tutta la loro sevitù…….seppellita ancora viva. Queste torri circolari, costruite sovrapponendo pietre enormi, possono raggiungere un'altezza di 12 metri, sono ancora un mistero perché non si conosce con certezza la data esatta della loro costruzione. Si può solo supporre come fossero state sollevate le pietre per la costruzione prima dell'invenzione ella ruota! Il sito al tramonto ha il suo fascino anche se è immaginabile il lavoro cruento e faticoso che migliaia di schiavi facevano per costruire le tombe in cui sarebbero stati trascinati. Il tramonto avvolge tutto di una luce dorata e persino e un condor passa a salutarci mentre ci aggiriamo tra le tombe. Sulla strada del ritorno ci sono case antiche con l'arco all'ingresso e sotto l'arco qualcuno che saluta il nostro bus mentre le pecore e i lama fanno ritorno nell'ovile. Torniamo a Puno e dopo cena riusciamo a visitare la sue bella piazza con la cattedrale e a fare un veloce giro, per via del vento freddo che si alza tutte le sere, lungo la via del passeggio.

14 agosto 2008 - Bolivia: Isla del Sol - Copacabana - La Paz
Con un pullman pubblico costeggiamo il Titicaca per arrivare in Bolivia. Al confine dobbiamo scendere e, a piedi, espatriare dal Perù e farci accogliere dal nuovo stato con un nuovo timbro per la collezione da passaporto. In questa terra di mezzo non più Perù e non ancora Boliva con un ponte di squallore che unisce queste due nazioni ci sono solo il disordine, il puzzo e la frenesia e i traffici che sempre si svolgono in queste zone dove tutte le caratteristiche di un paese, nel bene e nel male, vengono esasperate e espresse all'ennesima potenza. Il primo approccio con la Bolivia è con un bicchiere di aranciata sporca, il bicchiere non l'aranciata, e con la sua povertà industriosa di questa gente che riempie il nostro cammino di bancarelle colorate e piene di mercanzia.

Siamo vicini al porto e affittando una barca andiamo fino alla Isla del Sol, passando davanti alla sua compagna Isla della Luna, attraverso un percorso di onde, qui davvero il lago sembra mare aperto, con lo sfondo di una cordigliera Reale innevata che toglie il fiato e stupisce accostata all'acqua su cui ci muoviamo. Al molo ci accoglie una delegazione di isolani……..per farci pagare il biglietto di ingresso! Subito saliamo per le faticosissime scale; l'isola è piccola e ci si muove solo a piedi o a dorso di asini, la salita a causa dell'altitudine è veramente faticosa ma arrivati in cima, sedersi su un sasso e lanciare lo sguardo tra il marrone della terra, il blu del lago e il bianco dei ghicciai che ricoprono la cordigliera con nelle orecchie il suono del silenzio pressurizzato che fa quasi male da ascoltare visto la nostra poca attitudine a farci caso, e la solitudine intorno a noi……….beh vale il fiatone, il sudore e il mal di mare sofferto per raggiungere questo posto nell'universo. Sarà per questa esperienza di benessere universale che mi ha spossata, o molto più prosaicamente per la salita, che passo il viaggio di ritorno in barca dormendo e quasi non mi accorgo di quanto poco ci mettiamo a tornare a Copacabana. Nella cittadina andiamo a vedere la Cattedrale: bianca, enorme, sembra l'unica cosa pulita di questo paese, con il crocifisso imponente che ti accoglie nel cortile esterno e le immancabili bancarelle colorate tutto intorno.


Qui si trova una pittoresca capella de las velas (la cappella delle candele) un corridoio dalle pareti scure che sembra un antro satanico porta invece alla statua di una Madonna. Le pareti che arrivano a lei sono piede dei desideri dei fedeli che con la cera delle candele hanno disegnato case, auto, la richiesta di un lavoro, della famiglia tutto quanto rende il rapporto con il divino più a misura d'uomo. Come ultimo bagno nel misticismo andiamo a segnarci alla fontana dell'acqua benedetta e riprendiamo il nostra viaggio verso La Paz salutando questa tipica piazza da sud america, con le sue tipiche palme, la sua tipica fontana e la signora che seduta sulla panchina guarda la vita che le scorre davanti. Arriviamo in città all'imbrunire e ci buttiamo in un traffico caotico, disordinato, rumoroso con i suoi mille clacson e con una puzza si smog da togliere il fiato. Per le strade è tutto un brulicare di vita: bancarelle di cibarie non identificabili, vestiti, creme, calze, giocattoli, scarpe…..mezzi sulle bancarelle e mezzi per terra. Tutta la vita vissuta per strada. La sera facciamo i turisti comodi e andiamo in un lussuoso ristorante con tanto di spettacolo di canti e balli tipici boliviani.

15 agosto 2008 - La Paz
Iniziamo l'esplorazione di questa città assurda e costantemente in salita, o in discesa a seconda di dove si guarda. La Paz, è la capitale più alta del mondo e si è sviluppata in un canyon dove tra la parte ricca della città che si trova in basso perché più calda, e la parte povera che si trova in alto ci sono ben 800m di dislivello….e con una pendenza di 35 gradi. Il tutto sotto la protezione di due picchi innevati di tutto rispetto: l'Illimani e l'Huayana Potosì.
Il vero centro della città si trova al fondo, nell'abisso della vallata ed alzando gli occhi ci si scopre circondati da una miriade di costruzioni che si innalza fin su nel cielo e a tratti si ha la sensazione di essere caduti nel cratere di un vulcano.


Il traffico caotico, il disordine, lo sporto, il rumore ti aggrediscono subito appena usciti dall'hotel ma è bello dopo pochi passi buttarsi in questo flusso di vita impazzito e farsi trascinare alla scoperta di questa città. Iniziamo il nostro giro stando attenti alla pericolosità di attraversare incolumi le strade nonostante i numerosissimi vigili, e i loro aiutanti che indossano dei costumi da animale, zebra, asino ecc che noi indosseremmo per carnevale…….valli a capire questi mattacchioni! Le strade sono così pericolose perché molti guidano senza patente, nonostante i numerosi vigili, la cosa non impensierisce gli autisti visto la corruzione regna sovrana e permette, dietro giusto compenso di evitare la multa. E' divertente e frastornante vedere i pulmini privati da 15 posti che effettuano il servizio di autobus pubblici fermarsi lungo le strade: si apre il portellone al volo e il ragazzino di turno urla le destinazioni della corsa caricando e scaricando i malcapitati clienti.

La nostra prima tappa, subito fuori il nostro hotel, è il mercato de las brujas, delle streghe, che sulle loro bancarelle vendono pozioni, filtri, e tutto l'occorrente per creare l'altarino con dell'offerte in cui richiedere agli dei soldi, salute, una casa, un marito, ecc. Esposti ovunque si trovano dei raccapriccianti feti di lama, pelosi ed essiccati, che secondo la tradizione vengono sepolti nelle fondamenta delle case in costruzione per attirare la buona sorte sugli abitanti. Mi limito a comprare degli amuleti, nel dubbio abbondo, e fare due chiacchiere con una simpatica media brujas che a dispetto delle sue colleghe si lascia fotografare volentieri.

Andiamo in centro a Plaza San Francisco a visitare l'omonima chiesa con la facciata di pietra scolpita con i disegni di natura indios che contrastano con gli interni di un barocco eccessivamente lussuoso e troppo diverso dalla città che lo ospita. Non è il quartiere coloniale La Paz, non è la piazza elegante con il palazzo del governo La Paz, non è una città La Paz ma un enorme negozio a cielo aperto. Decidiamo di entrare nel vero mood della città e, quindi, di perderci per i suoi mille mercati. Ce ne sono per tutti i gusti, al coperto, allo scoperto, con le bancarelle, con la mercanzia appoggiata sul marciapiede. Tutta la città è un unico negozio dove si vende di tutto….cibo, vestiti, creme, gioielli, maglioni, terracotta, portafogli, pile, occhiali, scarpe, frutta, verdura, carne, spezie, pane, dolci, bibite di origine indecifrabile…………………….un mondo dove il commercio la fa da padrone. E in questa orgia consumistica non possiamo che abbandonarci all'anima vera di questa città….e compriamo! Non mancano i comedor pubblici, delle immense mense caserecce dove le signore del luogo cucinano a richiesta….in condizioni igieniche proibitive anche per i turisti meno schizzinosi. Dopo il comedor pubblico nella mia memoria igienica si fissano i mille bagni pubblici, tutti a pagamento, tutti con l'immancabile signora all'ingresso che in cambio di una moneta ti porge la tua porzione di carta igienica.


Per ritemprarmi dalle fatica dello shopping finiamo la giornata al museo della coca dove ci accoglie un simpatico vecchietto e la maledizione/benedizione indios sulla coca: perdizione per i conquistadores spagnoli e aiuto alla resistenza degli indios. Finalmente ho conferma che l'ingrediente segreto della coca-cola è la foglia di coca! Dopo il giro stoico-culturale in materia ci rilassiamo con una buona fetta di torta coca e mandorle, un the alla coca e le immancabili caramelle……tutto con un innegabile scopo terapeutico visto che La paz oscilla tra un'altitudine di 3200 a 4000 metri!
Nella luce della sera è bello vedere per strade le donne boliviane che si stringono nei loro scialli e portano a spasso le loro gonne lunghe e larghe nei colori della terra da cui provengono e a cui sono profondamente legate, il tutto con due belle trecce nere che spuntano dai tipici cappellini a bombetta.
Con i taxi arriviamo al mirador Kiki-Kiki, nella parte alta della città, dove il ghiaccio che ricopre L'IIlimani diventa prima rosa e poi azzurro nella luce del tramonto e le ombre si allungano su questa sterminata conca piena di case e persone e vita brulicante; le luci si accendono a illuminare una nuova sera.

16 agosto 2008 - La Paz
Una sola giornata non è sufficiente per capire questa città e la sua gente che affolla le strade; c'è bisogno di un secondo giro per entrare meglio nel clima e nei tempi lenti sudamericani.
Oggi si sale a vedere la zona coloniale perfettamente ricostruita e conservata; i colori delle case forti e intensi e la Cruz verde al fondo della strada a benedire i suoi abitanti. Anche oggi ci scateniamo in uno shopping selvaggio a cui nessuno prova neanche più a opporre resitenza. Ogni negozio è più bello dell'altro, ogni bancarella migliore della precedente, è impossibile scegliere l'unica scelta da fare è abbandonarsi e comprare tutto.

Le foto, di persone che con un pizzico di vanità si mettono in posa per noi e poi vogliono vedere il risultato sugli schermi delle nostre digitali e le foto, tante, rubate, per portarci a casa un ricordo in più di un viso o di una situazione unica e impossibile da pensare prima di averla vista, di persone più che luoghi che scolpiscono i ricordi di questa città.
Accucciati agli angoli delle strade ci sono una miriade di lustrascarpe che per un bolivianos si occupano delle scarpe dei passanti. Di solito sono bambini, ma anche adulti, che con un passamontagna scuro a protezione della loro identità e uno straccio in mano si guadagnano la giornata. C'è una sensazione di triste squallore e quasi paura per questi volti che non si vogliono svelare.
Anche questa giornata, come ieri, finisce con le mille luci che si accendono sul crinale della montagna dove dimora La Paz e dal cento della nostra conca sembra di stare in un presepe circondato da casette di cartone.

17 agosto 2008 - Chacaltaya - Valle delle Anime - Canon Palca
Anche oggi si parte all'alba, con il nostro pulmino iniziamo a salire verso il quartiero 'Lo alto' la zona più povera e squallida di La Paz come testimoniano le sue strade sterrate e le case senza intonaco ma dove, come sempre, brulica la vita. Tutto è un fermento specialmente nei giorni di festa, come oggi festa della bandiera, dietro ogni svolta c'è un campo di calcio pieno di bambini che giocano e adulti che fanno il tifo. Il ghiacciaio Chacaltaya è imponente e incombe sul nostro pulmino che si avvicina ai suoi piedi; da qui iniziamo a salire una stradina stretta, ci passa un solo mezzo per volta, e tutta tornanti. Il paesaggio montano è puntellato di cumuli di neve ai lati della strada e di laghetti con i colori che vanno dal rosso all'ocra, dei minerali che arricchiscono queste terre, al blu intenso dell'acqua…….sono semplicemente meravigliosi Incastonati nel marrone della montagna. Ma, nonostante questa meraviglia la strada è così stretta che ogni tanto è indispensabile chiudere gli occhi e.…. dire una preghiera.

Arriviamo al rifugio e da qui iniziamo la salita verso la nostra vetta: 5.530 metri. La salita ci lascia tutti senza fiato sia per il bel panorama sia per la fatica immane di muoversi a questa altezza con l'ossigeno rarefatto; ma la voglia di arrivare a toccare il cielo è tanta e questo senso di vertigine misto di impazienza e fiato corto non ferma nessuno di noi passettino dopo passettino raggiungiamo la nostra meta! E' bella la soddisfazione di esserci arrivati attraverso la fatica e bello è sedersi in cima a questa montagna e dominare tutto dall'alto; sedersi a pensare e rimirare con tutto il mondo ai miei piedi. Ritorniamo al rifugio per rifocillarci dopo tanta fatica e alleviare il nostro mal di testa con un fantastico mate de coca.
Dopo tutta questa meraviglia riprendiamo il nostro pulmino e la strada tutta tornanti per ritornare verso La Paz. Ci fermiamo a mangiare un panino nella zona residenziale della città vicino a un parco giochi, tutto verde, pulito e ordinato. Questa città è incredibile: sembra tre città in una la parte residenziale con le sue villette nuove e le strade larghe e pulite, la parte del centro con il caos di venditori, mercatini e traffico e la parte alta con le sue baracche e la povertà di chi ci abita. Ora si va diretti alla Valle delle Anime dove la leggenda narra che delle anime si sini trasformate nelle formazioni rocciose che vediamo tutto intorno a noi e che si colorano di crepuscolo. Sotto alle rocce c'è Incastonata una chiesetta bianca forse costruita li per tenere a bada tutte quelle anime che vengono risvegliate e invocate dai riti di alcool, fiori e fuoco di cui troviamo i resti poco lontani. Da qui si prosegue verso il Canon Palca….o almeno vorremmo ma a quanto pare l'altitudine rende difficoltoso il movimento non solo alle persone ma anche al nostro pulmino che inizia a fare le bizze e ci fa fare una bella passeggiata a piedi per arrivare all'imboccatura del canyon. Scendiamo nel canyon per ammirare l'effetto di protezione e di isolamento che queste rocce calcaree costantemente erose da vento e acqua ci danno.

E' strano sapere che stiamo vedendo qualcosa che magari tra un mese per aria e vento sarà diverso, con un'altra forma o, magari sarà definitivamente crollato. Nel profondo del canyon il sole sparisce in fretta e la temperatura di abbassa con altrettanta velocità. Questo è il segnale della fine della nostra gita, Torniamo indietro visto che la strada che ci aspetta è tanta….e tutta in salita. Diventa buio nel giro di pochi minuti e ci troviamo immersi nell'oscurità, al freddo, con una sola pila a disposizione e i latrati dei cani in lontananza. Oltre alla fatica e a un po' di paura per tutta questa natura che ci circonda c'è anche il dubbio di aver sbagliato strada e di proseguire faticosamente nella direzione in cui non troveremo il nostro pullman ad attenderci. Ma la natura stessa viene in nostro soccorso, con i suoi mezzi ovviamene, e una luna piena grande e luminosa sorge per noi al contrario, o così ci sembra visto che siamo sotto l'equatore, con una velocità che ci lascia tutti sbalorditi. Ci fermiamo ad ammirarla in un silenzio estasiato mentre esce da dietro il ghiacciaio che per i suoi raggi, riverbera una luce blu da sembrare fluorescente. La luce della luna illumina i nostri passi verso i fari del pullman che ci aspetta per riportarci sani e salvi, dopo questa risalita avventurosa dal canyon, a La Paz.


18 agosto 2008 - Tiwanako
Oggi si parte verso un altro misterioso sito Inca. Lungo la strada per arrivare al sito incontriamo una miriade di cani fermi sull'attenti ai bordi della strada e che seguono senza scomporsi il nostro passaggio in attesa di cibo. Arrivati alla biglietteria del museo uno studente di storia si propone come guida della giornata, accettiamo per ascoltare i suoi racconti e dare un maggior senso a quello che vedremo. La nostra guida ci porta per le sale di questo museo nuovo e ancora in parte in costruzione e ci mostra da prima una statua enorme con le braccia ripiegate sul busto che ricorda l'arte polinesiana e fa supporre un collegamento tra la popolazione Tiwanako, precedente a quella Inca, e loro. La statua di terracotta pesantissima e tutta decorata con teste di condor e messaggeri tiene in una mano lo scettro, simbolo del potere politico, e nell'altra la coppa simbolo del potere religioso. Poi la nostra visita si snoda tra le sale di questo museo dove sono conservati gli utensili di questa civiltà: vasi, coltelli rituali e soprattutto i loro crani che venivano schiacciati alla nascita perché prendessero una forma allungata, segno distintivo di appartenenza alla casta nobiliare.

E, a colpirci maggiormente, la mummia sepolta in un canestro in una posizione accucciata su se stessa che pensavano le avrebbe permesso di rinascere a nuova vita semplicemente alzandosi. Poi andiamo nella parte all'aperto del sito archeologico dove, grazie ai soldi dell'Unesco, ma anche del governo boliviano e di altre società private, i lavori fervono e moltissimi studenti di archeologia sono alla ricerca di quello che ancora è celato in questo sito. Il sito si compone di tre siti al suo interno il regno dell'alto venerato nell'osservatorio astronomico, il regno della terra in cui si trova la famosa porta del Sol e il regno del basso venerato nello spazio all'aperto a cui si accede scendendo alcuni gradini. La nostra guida accanto alla piscina del centro astronomico del sito ci disegna nella terra la croce Inca e ci insegna a contare i mesi su questo calendario; gli Inca iniziavano a contare i mesi da giugno e ogni angolo di questa croce rappresentava un mese.

Poi si va all'area rituale dove si trova la famosa porta del Sol, è molto più piccola e meno imponente di come me l'aspettavo. Siamo tra gli ultimi a vedere la vera porta del Sol nel luogo in cui al solstizio d'estate i raggi del sole percorrevano tutta l'area rituale fino a raggiungerla e passaci in mezzo. Presto la porta sarà sostituita da una copia e l'originale sarà messa del museo per proteggerla dagli agenti atmosferici. L'area rituale è costruita in modo da garantire la diffusione della voce, quando il sacerdote parlava al centro di questo altare all'aperto la popolazione che era fuori sentiva perfettamente le sue parole che venivano Incanalate e amplificate attraverso delle apposite aperture costruite nei muri di cinta. Ci aspetta l'ultima parte del sito dove si trovano i resti di porte oramai cadute e di templi e dove possiamo toccare queste pietre che furono rese liscissime dal lavoro di migliaia di uomini e decorate con placche d'oro Incastonate nella roccia, in cui restano ancora i buchi del furto spagnolo. Ora la visita è davvero finita e, dopo l'acquisto dei souvenir di rito, il nostro pullman ci guida sicuro lungo la panamericana e i suoi paesaggi sterminati di terra, nuvole e cielo di ritorno a La Paz.

19 agosto 2008 - lungo viaggio verso Cuzco
Oggi tappa di trasferimento, ma anche questa giornata, come molte altre inizia all'alba, per recarci alla stazione degli autobus e riuscire a partire con il primo bus pubblico verso il Perù. Non me lo sarei mai aspettata ma l'organizzazione della vendita biglietti, assegnazione posti è ottima e i posti sono comodi! Visto che il viaggio durerà fino a sera ci danno persino la colazione al sacco. Il panorama è brullo e montano mentre la strada che costeggia le aree rurali dove ancora gli aratri sono tirati dai buoi non ci fa pesare la noia del viaggio. Anche al ritorno dobbiamo rifare le procedure di immigrazione tra Bolivia e Perù, scendiamo prima del ponte che fa da tramite tra i due paesi percorrendo a piedi questa terra di mezzo dimenticata da Dio e dagli uomini dove la povertà, il caos, il disordine, la puzza sono tutti esasperati fino all'estremo e l'arte di arrangiarsi vendendo le mercanzie più disparate è esasperato fino al limite e mi colpisce ancora pur avendolo già visto.

Sbrigate le formalità torniamo in terra peruviana e arriviamo ormai col buio all'ombelico del mondo: Cusco. La vediamo da lontano, tutta illuminata con le classiche luci gialle e azzurre che la fanno risplendere e nonostante l'ora tarda e la stanchezza del viaggio non possiamo non andare a fare un giro nella gigantesca Plaza des Armas, centro della città che sorge sul vecchio spazio cerimoniale Inca, e ammirare la maestosità delle chiese con le facciate in pietra scolpita, e l'ordine e la ricchezza che traspaiono da questo scorcio di città. La piazza è circondata da ristoranti, locali e negozi tutti in stile coloniale e con i famosi balconcini di legno scolpito a volte dipinti di marrone a volte di azzurro. Questa cittadina di costruzione spagnola ha un fascino tranquillo e sereno di chi ama far scorrere il tempo e la vita secondo i ritmi naturali.

20 agosto 2008 - Pisac - Ollantaytambo - Chinchero - Cuzco
In una splendida giornata di sole lasciamo Cusco con il pulmino per andare a visitare i paesi inca di cui si trova ancora traccia nella Valle Sagrata, la valle sacra, attraversata dal fiume Urubamba che ha salvato gli Inca nei periodi di siccità perché ha sempre permesso di coltivare lungo le sue rive.
Iniziamo da Pisac un piccolo villaggio il cui maggior punto di attrazione è il mercato coperto che offre tutto il meglio dell'artigianato locale e che fa vacillare la nostra debole volontà a resistere agli acquisti. Poi ci dirigiamo al sito archeologico che porta lo stesso nome e che si trova in montagna, tutto strutturato con dei terrazzamenti che consentivano la coltivazione del crinale della montagna; essendo in montagna anche qui ci attende una faticosa salita per arrivare alla parte alta di questo vecchio villaggio inca, vicino al cielo, dove é giusto che si i trovino i tempi innalzati a venerazione le forze della natura. Le rovine sono pietre immense, lavorate, perfettamente lisce e perfettamente Incastrate tra di loro, senza che ci passi oggi, a distanza di tutti questi anni neanche un'unghia. Il tempio del sole e il tempio della luna sono costruiti con gli ingressi di forma trapezoidale che già gli Inca aveva intuito essere più resistenti in caso di terremoto e si vedono nel tempio tutte le nicchie con la stessa forma in cui venivano messi i vasi per officiare le cerimonie. Oltre che l'ingegneria anche l'astronomia era una arte raffinata, in cui gli Inca eccellevano, basta vedere le pietre che fungevano da calendario solare e che con le proiezioni delle loro ombre segnavano i solstizi.


Da qui la vista domina la valle ti fa pensare a come gli Inca si sentissero padroni del mondo e vicino ai loro dei da quassù, con una sensazione mista di forza e compiacimento per quello che erano riusciti a costruire.
Dopo un pranzo veloce ci disperdiamo in un mercato meraviglioso, forse il più bello e vario fino ad ora, poco fuori Pisac, e disperdiamo è il termine esatto visto che ritardiamo l'orario della partenza; manca sempre qualcuno impegnato a fare l'affare della vita e chi si offre di andare a cercarlo a sua volta viene inglobato in questo mondo di bancarelle colorate e oggetti d'artigianato a prezzi assolutamente incomparabili con quelli italiani. E' dura ma riusciamo a ritrovarci tutti e a partire per la tappa successiva della Valle Sagrata: Ollantaytambo. Qui si trovano i resti di una fortezza Inca che si sviluppa sul lato della montagna, anche qui il sito archeologico è tutto in salita, e si fa la solita faticaccia a scalare questi gradoni che portano su. La vista che si gode dall'alto su tutto il sito ripaga della fatica, la sensazione è di dominare questo spazio immenso e i resti delle case del villaggio che si vedono a valle in lontananza. Il sito è suggestivo e pieno di fascino e fa costantemente pensare alla fatica necessaria a trasportare le pietre, usate per la costruzione dei templi, su per i terrazzamenti della montagna. Qua e la si trovano dei massi di pietra che sono stati abbandonati e che sono chiamate pietre affaticate, abbandonate perché impossibili da spostare.

Nella parte alta del sito si trova la fortezza con le sue pietre lisce e perfettamente unite, non finisce mai lo stupore sulle abilità degli Inca nel lavorare la pietra. Sulla montagna dall'altra parte della valle si trovano i depositi di cibo messi in alta montagna perché così sfruttavano il fresco e la ventilazione del luogo per una migliore conservazione; accanto ai granai, si nota una conformazione di roccia particolare che nella mitologia inca ha il volto del dio protettore, ricorda un volto umano con un naso piuttosto pronunciato e che sembra fare la guardia ai depositi alimentari. Il vento forte sembra spingerci via verso la valle, e infatti scendiamo per andare a vedere il villaggio e la parte di fontane rituali, le piccole piscine, tutte di forma trapezoidale come richiedeva la moda del tempo, costruite per fare in modo che al solstizio d'estate i raggi del sole entrassero a energizzare l'acqua. La cosa più affascinante è la magia della fontana al quarzo dove si può fermare lo scorrere dell'acqua solo passandoci su un dito……grazie al sale presente sulla pelle.


Riprendiamo a percorrere la via della valle e vediamo che fuori da molte delle case abitate, vengono esposti o dei drappi rossi o dei cestini in vimini. Ci spiegano che sono le insegne peruviane per identificare i produttori di 'chichia', il drappo rosso, e i produttori di pane, il cesto in vimini. Perché non sperimentare la 'chichia', la bevanda degli Inca; entriamo da un produttore che oltre alla degustazione, non un granché il gusto della bevanda è veramente acido, ci illustra anche come funziona il processo di fermentazione del mais da cui si ottiene.


Il nostro giro non è ancora finito dobbiamo ancora salire sigh…..al paesino del Cincero, qui la salita è veramente ardua non tanto per la fatica delle gambe, piuttosto per la fatica che si fa a resistere al canto delle sirene dello shopping che arriva dai mille negozietti che costeggiano l'unica strada per arrivare alla piazza. Questa volta resistere e d'obbligo, fa buio presto qui, visto che è inverno e non vogliamo perderci il tramonto dall'alto della piazza. Arriviamo appena in tempo a goderci lo spettacolo, dopodiché facciamo un giretto nella bella chiesa in muratura bianca che gli spagnoli durante la loro dominazione si sono premurati di costruire sui resti della città inca che avevano distrutto. La chiesa dentro è magnifica e magnificamente lasciata andare, rovinata dall'umido e con il soffitto splendidamente ricamato di cui rubo una foto. Tutto questo cattolicesimo, costruito sulla base dei mura inca che continuano con dei mattoni, il tutto ricoperto dall'intonaco bianco spagnolo a ricoprire i vecchi disegni Inca avrebbe bisogno di un bel restauro!



Quando usciamo dalla chiesa è buio notte ma le luci rendono l piazza e la chiesa e il suo campanile bianco ancora più suggestivi, con tutte le donne che nel perimetro della piazza hanno steso a terra la loro mercanzia in un'atmosfera che ha del sogno. Il tutto circondato dai resti delle mura inca ch e sembrano voler proteggere la chiesa bianca e il suo campanile in un'atmosfera e in una solitudine che ha dell'irreale.
Al nostro ritorno dalla gita Cusco ci aspetta con le sue strade illuminate e la sua atmosfera da cittadina sudamericana fiera e orgogliosa. E' così bella che merita un giro anche di notte, ci avventuriamo per le vie alte del quartiere San Blas, il più bello della città, e percorriamo la stradina Inca con il muro perfettamente conservato e con il guardiano che ci sgrida quando proviamo a toccarlo, il muro non deve essere sporcato con le mani ci dice, mentre ci impedisce di assaporarne la levigatezza della pietra e contare i ben 12 angoli della pietra più famosa che lo compone.


21 agosto 2008 - Urubamba - Cuzco
Oggi ci dedichiamo agli sport estremi, rafting nel fiume Urubamba che per nostra fortuna non essendo stagione delle piogge scorre tranquillo. Gonfiamo i gommoni, ci mettiamo addosso le tute e i caschetti e dopo un breve corso sulle regole di sicurezza formiamo tre squadre, buttiamo i gommoni in acqua e inizia la sfida. Si inizia una guerra fatta di schizzi, urla, risate, sputi, insulti e sfottò. E' sempre bello vedere il lato bambino che prende il sopravvento di stimati professionisti. Dopo le fatiche della battaglia il meritato riposo; pagaiando si gode della pace e del silenzio di questa valle, sui cui crinali che ci avvolgono si vedono ancora i segni sempre presenti del passaggio degli Inca con le loro torrette di avvistamento. La traversata è lunga e nel nostro pagaiare c'è sempre impegno e spirito di squadra per guidare il gommone, per superare le parti rischiose di questo fiume e le rapide che sembra ci vogliano ribaltare. Sempre i nostri remi che si alzano a festeggiare il superamento di un passaggio particolarmente difficile e poi sbattono sull'acqua come a voler ringraziare il fiume. Ce anche chi, non contento di essersi completamente bagnato durante la navigazione si butta in acqua e per provare l'emozione di farsi trascinare per un breve tratto nelle fredde rapide dell'Ururbamba. Arriviamo alla fine del percorso e stanchi ma felici e allegri facciamo onore al pic-nic di pollo, cavoli e altre verdure assolutamente pepate che i nostri accompagnatori hanno preparato per noi; crogiolandoci al caldo sole e godendoci il meritato riposo.

Ora si torna a Cuzco, che per la prima volta dopo tre giorni, riusciamo a vedere con la luce del sole, e anche così è Incantevole. Facciamo il giro di Plaza des Armas e riusciamo ad entrare nelle chiese finalmente aperte. La cattedrale che è un susseguirsi di tre chiese collegate tra di loro da un passaggio interno ma costruite in tre stili differenti. Ci avventuriamo all'interno delle chiese mentre c'è la funzione lo stile all'interno è di un barocco veramente esagerato ma si trovano dei pezzi mirabili come l'altare tutto in argento massiccio e un dipinto dell'ultima cena in cui il Cristo offre ai suoi apostoli il Cuy, il porcellino d'india che in Perù si mangia arrosto. Gli abitanti di Cuzco sono molto riservati e gelosi della loro privacy, ci chiedono gentilmente, ogni tre passi, di spegnere le nostre macchine fotografiche e ci impediscono di spiare attraverso la porta che lascia uno spiraglio sulla chiesetta della Sagrata Familia mentre sulla porta che dalla cattedrale conduce a la alla Iglesia del Triunfo capeggia un cartello che indica 'ingresso vietato ai turisti'!!!! Ci affacciamo allora all'Iglesia della Compagnia in cui non riusciamo a entrare perché sta chiudendo e ripieghiamo, a fare un giro nel chiosco dell'università che ha l'ingresso proprio accanto. Nei chioschi troviamo i ragazzi che al posto di ripassare le lezioni si sfidano in un torneo di scacchi. Mentre calano le prime ombre e sale il freddo della montagna, che durante il giorno lascia sempre il posto a un bel sole caldo, ci dirigiamo verso il nostro albergo passando per Calle Loreto dove, con una buona dose di fantasia, le pietre del muro Inca che costeggia la strada formano la figura di un puma; animale sacro per gli Inca. Mentre torniamo un 'Cristo Redentor' si illumina dall'alto del colle domina la città e la protegge come un fantasma benevolo accompagna anche noi.


22 agosto 2008 - Aguas Calientes
Cusco la vediamo sempre un po' di sfuggita, sembra voler prendere confidenza poco per volta prima i svelarsi in tutta la sua bellezza. Anche oggi infatti prendiamo il treno presto, prendiamo il treno…..per andare ad Aguas Calientes ai piedi del Machu Pichu, la tappa più attesa e misteriosa dell'intero viaggio. Partiamo presto con il treno Backpacker riservato ai turisti che si recano al Machu Pichu e dopo diverse manovre, avanti e indietro sulle rotaie, riusciamo a lasciare Cuzco e ad avviarci lungo la valle dell'Urubamba e percorrere l'ultima distanza che ci separa da questa montagna mitica. In questo clima d'attesa che quasi annulla la bellezza della vegetazione ormai tropicale verde rigogliosa e abbondate e tutte le capriole che il fiume fa sui massi alla destra del nostro treno per attirare l'attenzione dei turisti che ci viaggiano. Il treno viaggia veloce e prima del suo capolinea fa una sola fermata per far scendere i turisti che faranno il cammino Inca. Ad accoglierli in questa non stazione improvvisata in mezzo alla giungla due signore che offrono loro delle orchidee che qui crescono spontanee.

Dopo quattro ore di viaggio arriviamo ad Aguas Calientes: ha il fascino dei luoghi sospesi e di passaggio, non solo noi ma tutti quelli che incontriamo dell'unica via ripidamente in salita del paese sono li in attesa, sono li solo per lui il Machu Pichu. A conferma di questa sensazione il fatto che il paese è formato da un'unica via piena di ristoranti e di negozi oltre al tentacolare mercato coperto in cui bisogna necessariamente passare, per uscire dalla stazione dei treni. Tutto eccessivamente turistico e costruito come sala d'attesa per vedere la montagna che ci domina e ci studia dall'alto con la testa nascosta dalle nuvole. Facciamo una breve passeggiata esplorativa per vedere il paese nel caldo umido che si trasforma in un pioggerella sottile mentre percorriamo la passeggiata lungo il fiume. Non si può fare molto altro se non dormire, per prepararci alla levataccia che ci attende domani o provare ad andare alle terme naturali che si trovano nel punto più alto del paese. Arrivati lassù su consiglio di altri turisti che ci dicono che le terme sono sporche e molto affollate desistiamo ma la ricerca del benessere ci fa cadere l'occhio su una delle numerose insegne che pubblicizzano i massaggi; ci facciamo tentare da un piacevolissimo ed economicissimo massaggio inca che ci toglie tutta la stanchezza accumulata negli ultimi giorni e ci farà gustare la cena in totale relax.

23 agosto 2008 - Machu Picchu
Oggi la sveglia squilla alle 4.30, è la levataccia peggiore di tutto il viaggio eppure sarà l'adrenalina, sarà l'attesa che sta per compiersi di salire sul Machu Pichu non sento la benché minima traccia di sonno o stanchezza. Partiamo dall'albergo che è ancora buio e ci rechiamo alla fermata del bus che ci porterà su per la montagna di Machu Pichu fino all'ingresso della città perduta degli Inca. Il bus si fa attendere lungo il fiume a fondo valle o forse è solo la smania di arrivare. Nel frattempo un serpentone umano si è accumulato lungo il muretto che costeggia il fiume e piano piano i nostri moderni autobus arrivano per traghettarci, tra i tornanti e una nebbia umida, verso la cima oscura e misteriosa della montagna più mistica della terra.
Quando entriamo tutto è avvolto dalla nebbia fredda e bassa del mattino e Machiu Pichu si svela poco a poco ai nostri occhi. La prima sensazione è di mistero e meraviglia mentre corriamo a metterci in fila per farci timbrare il biglietto che ci consentirà di vedere non solo Machu Pichu, la montagna vecchia, ma anche Huayna Pichu, la montagna giovane, a cui accedono solamente poche persone al giorno. I nostri sforzi e la nostra levataccia viene premiata, ci siamo guadagnati il nostro posto in paradiso!


Iniziamo il giro del sito: sembra che un incantesimo avvolga questi luoghi, la nebbia sembra proteggere la storia di chi ha vissuto questa montagna e la città perduta sembra non voglia ancora essere trovata del tutto. La guida che ci accompagna ci racconta la vita degli abitanti di questo sito mentre ci fa visitare le case con i muri in pietra ancora perfettamente conservati e con i tetti in paglia perfettamente ricostruiti; tutto sembra misteriosamente sospeso come se gli abitanti di questi luoghi fossero andati via solo da pochi giorni. Facciamo il giro della parte inferiore del sito dove si pensa vivessero i contadini per poi salire nella città alta con le case dei notabili e i templi. Attraverso uno stretto passaggio ci imbattiamo nella tomba reale: una nicchia trapezoidale grande abbastanza da accogliere un corpo per poi sbucare davanti al Tempio delle Tre Finestre e al Grande Tempio. Poco distante possiamo osservare una rosa dei venti, di precisione millimetrica secondo le nostre bussole, e un quadrante solare che funzionava ad energia pulita usando le ombre e le proiezioni solari a testimoniare lo studio e la conoscenza che gli Inca avevano delle evoluzioni degli astri. Anche qui ogni costruzione, in perfetto Inca style, è il risultato di un sapiente gioco di incastro come testimonia la pietra dai 32 angoli! Dalla città alta si ha una vista mozzafiato sull'intera cittadella, sulle montagne che la circondano e sulla gola profonda della valle mentre la montagna giovane sembra controllare tutti i nostri spostamenti e, paziente, ci attende. Da quassù i turisti che si aggirano numerosi tra questi luoghi sacri sembrano degli intrusi, gli unici esseri che sembrano avere il diritto di aggirarsi in questi luoghi sono forse i lama che brucano imperturbabili l'erba di queste montagne.


Dopo averci condotto in questo luogo magico e in questa atmosfera surreale la nostra guida ci saluta e ci lascia soli, ognuno con le proprie forze, ad affrontare la scalata a Huayna Pichu; la salita si rivelerà essere quasi un momento mistico, di sfida di se stessi e superamento dei propri limiti. All'ingresso della montagna segniamo i nostri nomi e l'orario di partenza su un registro che ci catapulta come per magia in un mondo selvaggio. La salita è faticosa e impegnativa nonostante tutto l'allenamento fatto durante il viaggio.

Gradoni enormi da scalare si susseguono senza tregua e ci tolgono il fiato e le forze e la volontà con una sensazione di salire a vuoto, senza arrivare mai da nessuna parte. Siamo stanchi e scoraggiati….finchè non arriviamo al belvedere, ci giriamo e una vista panoramica di tutto il sito archeologico di Machu Pichu ci stordisce con la sua bellezza perfetta da cartolina. E' lontano, piccolo, e perfetto con il sole oramai alto che ha spazzato via le nebbie della mattinata per far rilucere le pietre di queste costruzioni e gli donano una luce assolutamente irreale. Commossi da questa visione raccogliamo le ultime forze per completare la scalata della montagna e raggiungere il suo punto più alto da cui ammirare Machiu Pichu.

 Il nostro ritrovato vigore è messo a dura prova da passaggi che si fanno sempre più impervi: bisogna strisciare in un cunicolo sotto un masso enorme, inerpicarsi per una scaletta in legno, ma, nonostante mille difficoltà, alla fine ce la facciamo! In bilico su una roccia, con lo strapiombo della montagna che si vede se appena appena ci sporgiamo, ci godiamo la vista di Machiu Pichu che da qui è di una bellezza incredibile e, per un momento, da quassù, è lecito sentirsi padroni del mondo. E' bellissimo stare sospesi su queste rocce e nonostante la ressa continuiamo a trovare sempre una scusa, un'ultima foto, in una nuova posizione, per rimandare il momento in cui dovremo scendere e abbandonare questa sensazione di dominio e conquista. Rimandiamo fino all'estremo ma alla fine dobbiamo cedere, e andarcene.

La discesa non è meno faticosa della salita con in più la consapevolezza che non c'è più nulla da conquistare e con sempre presente sotto agli occhi gli strapiombi ai lati dei gradoni che, in alcuni tratti senza protezione, costeggiano la montagna e ci fanno venire le vertigini. Arriviamo al cancello di ingresso e controfirmiamo l'orario di uscita: 3 ore nette di meraviglia. Ci allontaniamo da questo luogo magico con un ultimo sguardo di saluto malinconico.
E' stata una giornata di incanto, fatica ed energia; la giornata più bella di tutto il viaggio.




24 agosto 2008 - Cuzco - 4 Ruinas
Dopo la giornata di ieri tutti abbiamo la sensazione che la vacanza sia inesorabilmente arrivata alla sua fine, ma ancora non vogliamo arrenderci e con le ultime energie ci catapultiamo di buon ora fuori dall'hotel.
In una bella giornata di sole inizia il nostro giro mattutino per la luminosa Cuzco. Ci avventuriamo nella parte alta della città nel quartiere San Blas con le sue viuzze pittoresche, i vicoli fitti di case dall'intonaco bianco e con balconi, porte e imposte in legno azzurro. L'atmosfera è sonnolenta come in un paese di mare alla domenica mattina e noi ci facciamo trascinare da questo clima di passi perduti nel nostro girovagare in un sali e scendi di stradine e gradini che non fanno annoiare le nostre rotule.
Scendendo verso il centro i negozi sono pieni di oggetti di artigianato raffinati, maglioni ben rifiniti, gioielli in argento e quadri. Tutto è li pronto che attende chi vuole spendere e su tutto domina un'aria da Sudamerica non arreso al suo destino come si sente in molte parti del Perù ma forte e dignitoso e orgoglioso delle sue origini Inca e di quello che hanno costruito.

Ovviamente nessuno di noi vuole riportare a casa i 'nuovo soles' da cambiare e quindi ci buttiamo in uno shopping vorticoso e godereccio.
Tornando verso la piazza troviamo la parata dei giorni dell'orgoglio indios e uno stuolo di peruviani in costumi d'epoca sfilano per le vie del centro ballando in splendidi costumi colorati e aprendoci un altro scorcio della vita e dell'orgoglio per le loro origini di questa bella popolazione. I balli e i costumi sono incantevoli, l'atmosfera di festa ci coinvolge e facciamo fatica a tornare verso il nostro hotel, punto di partenza per la gita del pomeriggio: raggiungeremo i 4 siti archeologici chiamati 4 Ruinas a cavallo.
La prima tappa del nostro pomeriggio è il maneggio, o qualcosa che ci assomiglia, dove troviamo ad attenderci i nostri cavalli, o qualcosa che ci assomiglia, più che cavalli ci toccano in sorte dei ronzini……ma con il loro caratterino e la loro intraprendenza che si manifestano subito nella prima salita subito fuori dal maneggio in cui ogni animale prende la sua strada, il suo ritmo, il suo passo e non tiene conto dei comandi del cavaliere. Ci dirigiamo sui pendii dolci subito fuori Cuzco con un vento gelido che si alza subito e ci accompagna per tutta la cavalcata; arriviamo al primo sito: la fortezza di Pukapukara di cui restano solo le mura esterne che percorriamo in tutta la loro lunghezza nella più completa libertà di movimento.

La seconda tappa a cui ci conducono i nostri bizzarri destrieri è Tambomachay: un luogo di culto Inca si cui restano intatte le fontane con il loro scorrere millenario di acqua sacra con cui gli Inca compivano i loro riti sacri. Saltiamo una delle Ruinas, perché inizia a fare buio e il vento freddo non ci molla un attimo, ma soprattutto perché dopo l'indigestione di magia del Machiu Pichiu i siti archeologici di oggi, seppur belli, ci sembrano davvero poca cosa. Il ritorno verso il maneggio è la parte più divertente di tutta la gita, esce lo spirito competitivo dei cavalieri e dei loro destrieri e ci lanciamo in un inseguimento all'ultimo respiro nel bosco, schivando gli alberi, a volte all'ultimo minuto, e gareggiando in velocità nella corsa, dei cavalli, e in abilità dei cavalieri improvvisati, a rimanere in sella! A piedi ci rechiamo a visitare la Ruinas che dall'alto domina e protegge la città di Cuzco: Saqsaywaman. Questa fortezza Inca è costruita con enormi blocchi di pietra del peso di diverse tonnellate, incastrate tra di loro senza lasciare il più piccolo spazio e creando delle muraglie a zizzag.
Dall'alto di quassù Cuzco è una distesa di tetti di tegole e con la luce rosata del tramonto iniziamo la nostra discesa verso l'ultima serata in Plaza de Armas.

25 agosto 2008 - Lima
Oggi inizia il viaggio di ritorno in Italia, la prima tappa del trasferimento è Lima. Abbiamo abbastanza tempo per passare un'altra giornata a girovagare in questo clima grigio e triste e sotto una pioggerella appiccicosa.
Le strade, le case, il traffico, tutto in questa città sembra senza speranza, neanche 'le vasche' per il corso centrale e i suoi negozi riescono a dare nuova luce al tutto. Forse è complice lo stato d'animo di fine vacanza ma non posso non essere d'accordo con la mia guida quando dice che Lima è la città più triste della terra !
Con questo strano sentimento di malinconia per la partenza, ma anche la gioia di aver visto meraviglie e vissuto giornate straordinarie da riempire gli occhi e il cuore per il lungo inverno milanese, che finisce l'avventura peruviana del gruppo vacanze 2008.






 

 

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