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Sumatra: a contatto con il rosso urang utang PDF Stampa E-mail
Scritto da Giuseppe Cotichini   

Siamo diretti nel Borneo, che oggi viene chiamato Kalimantan. Il nostro obbiettivo è l'orango o forse meglio l'urangutan, "la persona della foresta" ,che è l'unico grande primate non africano...




... ma seriamente minacciato di estinzione. Sopravvive soltanto qui e a Sumatra.
Dopo i gorilla e gli scimpanze di Uganda e Ruanda sentivamo l'impellente bisogno di avvicinare anche questo bellissimo animale.
Voliamo a Giava. Atterriamo a Yogyakarta. Da qui proseguiamo in auto sino a Semerang, dove, dopo tre ore, risaliamo in aereo alla volta di Pangkalan Bun.
In aeroporto ci attende Nanang, il simpaticissimo organizzatore della nostra crociera fluviale nella giungla del Tanjung Puting National Park.
Ci accompagna sin dentro il porto sul grande fiume Kumai, ove ci imbarchiamo subito sul 'Kalimantan 1', il caratteristico klotock, uno scafo a motore di dodici metri sul quale navigheremo per cinque giorni lungo il Sekonyer e i canali che solcano la foresta.
L'equipaggio, con cui stringiamo subito un amichevole rapporto, comprende tre persone: un pilota, un assistente e un cuoco. C'è anche una guida parlante francese. Unici passeggeri Luciana ed io.


Lo spettacolo offerto dalla natura è indescrivibile. Una riviera lussureggiante di palmizi, di felci gigantesche e di piante tropicali, le più svariate e sconosciute, di colori smaglianti, dal giallo al rosso, dal verde al tabacco, dall'ocra all'arancio, emergenti dalle acque calmissime dei fiumi di color cioccolato o nero come la pece. Dove si celano i coccodrilli e i gavial. Uno scenario affascinante, sempre nuovo e mutevole, avvolto dal più assoluto silenzio, rotto soltanto dal palpito sommesso del motore, dalle urla delle scimmie e dal canto degli uccelli. Tutto un altro mondo. Respiriamo a pieni polmoni l'aria profumata che ci accarezza il viso.

A CONTATTO CON IL GRANDE PRIMATE ROSSO ...
Scendiamo a terra per avventurarci nel folto della foresta pluviale.
Raggiungiamo Camp Leakey, il centro di riabilitazione degli oranghi, istituito da Birute Galdikas, la scienziata canadese che ha dedicato la sua vita alla difesa di questi nostri progenitori, definiti antropomorfi, perchè ci rassomigliano tanto.
Avvistiamo per primo un maschio vecchio e malato che giace a terra, sfinito.
Proviamo tanta pena per questo animale davvero umanissimo.
Via via gli incontri si fanno più frequenti. Ci imbattiamo prima in un cucciolo giocherellone che fa il trapezista come al circo, Poi incrociamo il big, il capo, una bestia enorme, dall'ampio faccione e dalle spalle imponenti che incute timore.  Uno splendido esemplare dalla fluente pelliccia rosso vinaccio di oltre un quintale.
E dopo una femmina con il proprio rampollo che ha occhi dolci e profondi.
Alcuni oranghi si muovono a terra, altri volteggiano in aria, volando da un albero all'altro con inaudità abilità.
Ci teniamo sempre a debita distanza .Seppure l'animale sia stato reintrodotto nella foresta, resta sempre pericoloso. Qualcuno si dimostra addirittura feroce e aggressivo.
Ne sa qualcosa un malcapitato turista inglese che lo scorso anno è stato aggredito ed azzannato da un soggetto infuriato.


Durante il giorno restiamo seduti in coperta, dove ci vengono serviti dei pasti e degli stuzzichini davvero squisiti. La notte stendiamo due materassini sul piano di capestio e ci rifugiamo sotto una coltre di lana. Sopra di noi e sui due lati un tendone per ripararci dal freddo.
Il terzo giorno ci addentriamo nel fitto della giungla, dove il sole filtra a fatica tra le chiome maestose di alberi altissimi come l'ebano, il mogano, il teak.
Il percorso risulta molto difficoltoso e accidentato. Dobbiamo aprirci varchi tra rovi ed arbusti e camminare nel fango, affondando nel fogliame marcito e scavalcando tronchi e radici, molto infidi e scivolosi.
Nella notte è piovuto, accrescendo ancor più il grado già molto elevato di umidità. Tant'é che la terra esala vapori. Inoltre siamo continuamente insidiati dalle sanguisughe che si conficcano nelle gambe e dobbiamo guardarci dagli attacchi delle formiche e delle zecche, davvero molto pericolose. Sostiamo ad osservare delle piante carnivore a forma di calice.  Dopo quattro ore di marcia siamo costretti ad arrenderci. Ce ne restavano almeno altre sei. Dinanzi a noi si para una vasta palude che dovremmo guadare per raggiungere la sponda opposta. Ma l''acqua torbida è profonda anche più di un metro. Non ci resta che fare dietro front. Intanto si scatena un violento nubifragio. Non appena a bordo ci togliamo gli abiti zuppi di pioggia e ci infiliamo sotto la doccia, che ci ritempra, spruzzandoci addosso l'acqua tiepida, pompata direttamente dal fiume.


I giorni seguenti ritorniamo nella giungla, lungo percorsi meno impegnativi.  Raggiungiamo Tanjung Harrapan, dove esiste un altro centro di riabilitazione degli oranghi.
Ne avvistiamo molti, ma anche macachi, gibboni e nasiche, scimmie con una sorta di proboscide, presenti solo nel Borneo. Di tanto in tanto incontriamo qualche cinghiale e qualche cervo. Ma non ci capita mai di vedere l'orso malese e tanto meno il leopardo.

Testo di Giuseppe Cotichini
Foto di Luciana Ciocci


www.SafarieDintorni.it

 

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