Siamo
diretti nel Borneo, che oggi viene chiamato Kalimantan. Il nostro obbiettivo è
l'orango o forse meglio l'urangutan, "la persona della foresta" ,che è l'unico
grande primate non africano...
...
ma seriamente minacciato di estinzione. Sopravvive soltanto qui e a Sumatra.
Dopo i gorilla e gli scimpanze di Uganda e Ruanda sentivamo l'impellente bisogno
di avvicinare anche questo bellissimo animale.
Voliamo a Giava. Atterriamo a Yogyakarta. Da qui proseguiamo in auto sino a
Semerang, dove, dopo tre ore, risaliamo in aereo alla volta di Pangkalan Bun.
In aeroporto ci attende Nanang, il simpaticissimo organizzatore della nostra
crociera fluviale nella giungla del Tanjung Puting National Park.
Ci accompagna sin dentro il porto sul grande fiume Kumai, ove ci imbarchiamo
subito sul 'Kalimantan 1', il caratteristico klotock, uno scafo a motore di
dodici metri sul quale navigheremo per cinque giorni lungo il Sekonyer e i
canali che solcano la foresta.
L'equipaggio, con cui stringiamo subito un amichevole rapporto, comprende tre
persone: un pilota, un assistente e un cuoco. C'è anche una guida parlante
francese. Unici passeggeri Luciana ed io.
Lo spettacolo offerto dalla natura è indescrivibile. Una riviera lussureggiante
di palmizi, di felci gigantesche e di piante tropicali, le più svariate e
sconosciute, di colori smaglianti, dal giallo al rosso, dal verde al tabacco,
dall'ocra all'arancio, emergenti dalle acque calmissime dei fiumi di color
cioccolato o nero come la pece. Dove si celano i coccodrilli e i gavial. Uno
scenario affascinante, sempre nuovo e mutevole, avvolto dal più assoluto
silenzio, rotto soltanto dal palpito sommesso del motore, dalle urla delle
scimmie e dal canto degli uccelli. Tutto un altro mondo. Respiriamo a pieni
polmoni l'aria profumata che ci accarezza il viso.
A CONTATTO CON IL GRANDE PRIMATE ROSSO ...
Scendiamo a terra per avventurarci nel folto della foresta pluviale.
Raggiungiamo Camp Leakey, il centro di riabilitazione degli oranghi, istituito
da Birute Galdikas, la scienziata canadese che ha dedicato la sua vita alla
difesa di questi nostri progenitori, definiti antropomorfi, perchè ci
rassomigliano tanto.
Avvistiamo per primo un maschio vecchio e malato che giace a terra, sfinito.
Proviamo tanta pena per questo animale davvero umanissimo.
Via via gli incontri si fanno più frequenti. Ci imbattiamo prima in un cucciolo
giocherellone che fa il trapezista come al circo, Poi incrociamo il big, il
capo, una bestia enorme, dall'ampio faccione e dalle spalle imponenti che incute
timore. Uno splendido esemplare dalla fluente pelliccia rosso vinaccio di
oltre un quintale.
E dopo una femmina con il proprio rampollo che ha occhi dolci e profondi.
Alcuni oranghi si muovono a terra, altri volteggiano in aria, volando da un
albero all'altro con inaudità abilità.
Ci teniamo sempre a debita distanza .Seppure l'animale sia stato reintrodotto
nella foresta, resta sempre pericoloso. Qualcuno si dimostra addirittura feroce
e aggressivo.
Ne sa qualcosa un malcapitato turista inglese che lo scorso anno è stato
aggredito ed azzannato da un soggetto infuriato.
Durante il giorno restiamo seduti in coperta, dove ci vengono serviti dei pasti
e degli stuzzichini davvero squisiti. La notte stendiamo due materassini sul
piano di capestio e ci rifugiamo sotto una coltre di lana. Sopra di noi e sui
due lati un tendone per ripararci dal freddo.
Il terzo giorno ci addentriamo nel fitto della giungla, dove il sole filtra a
fatica tra le chiome maestose di alberi altissimi come l'ebano, il mogano, il
teak.
Il percorso risulta molto difficoltoso e accidentato. Dobbiamo aprirci varchi
tra rovi ed arbusti e camminare nel fango, affondando nel fogliame marcito e
scavalcando tronchi e radici, molto infidi e scivolosi.
Nella notte è piovuto, accrescendo ancor più il grado già molto elevato di
umidità. Tant'é che la terra esala vapori. Inoltre siamo continuamente insidiati
dalle sanguisughe che si conficcano nelle gambe e dobbiamo guardarci dagli
attacchi delle formiche e delle zecche, davvero molto pericolose. Sostiamo ad
osservare delle piante carnivore a forma di calice. Dopo quattro ore di
marcia siamo costretti ad arrenderci. Ce ne restavano almeno altre sei. Dinanzi
a noi si para una vasta palude che dovremmo guadare per raggiungere la sponda
opposta. Ma l''acqua torbida è profonda anche più di un metro. Non ci resta che
fare dietro front. Intanto si scatena un violento nubifragio. Non appena a bordo
ci togliamo gli abiti zuppi di pioggia e ci infiliamo sotto la doccia, che ci
ritempra, spruzzandoci addosso l'acqua tiepida, pompata direttamente dal fiume.
I giorni seguenti ritorniamo nella giungla, lungo percorsi meno impegnativi.
Raggiungiamo Tanjung Harrapan, dove esiste un altro centro di
riabilitazione degli oranghi.
Ne avvistiamo molti, ma anche macachi, gibboni e nasiche, scimmie con una sorta
di proboscide, presenti solo nel Borneo. Di tanto in tanto incontriamo qualche
cinghiale e qualche cervo. Ma non ci capita mai di vedere l'orso malese e tanto
meno il leopardo.
Testo di Giuseppe Cotichini
Foto di Luciana Ciocci
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