Scorro verso il basso. L'immensa Panamericana
si dispiega ancora, centellinando le sue più meridionali estremità e offrendomi
visioni senza fine....
....costituite da praterie, boschi di eucalipti
intercalati da composti frutteti.
Ho compiuto duecento chilometri e il paesaggio sta mutando: niente più
agrumi, i quali cedono il passo al frumento e all'allevamento estensivo del
bestiame. È sufficiente volgere il capo a sinistra per osservare lo scivolio
costante di montagne sempre più innevate: ammiro a lungo il loro colore pieno,
totale, cangiante, che le fa apparire ancora più imponenti.
Avvolto nella coperta azzurro-verde della Tur-Bus, questa mattina ho varcato la
linea invisibile che mi ha condotto nella Región IX. L'Araucanía è qua attorno a
me, dentro di me. 'Eccomi', mi sono detto con la fierezza potente di colui che è
in movimento. Lontano dallo scopo, fuori dalla meta, alla ricerca di un qualcosa
inafferrabile in continua evoluzione: la strada, l'alterità, l'io.
Dopo un cambio nella assopita e squadrata Temuco, il bus Jac mi traghetta verso
Pucón. Il momento si avvicina. Lo so, tra poco arriva... sì, adesso lo posso
vedere.
Nonostante la preparazione, l'immaginazione viene ancora scavalcata in avanti
dalla Natura: conico, perfetto, bianco dalle pendici fino al suo vigoroso
culmine; una parte non meglio definibile della cima sbuffa pigre ondate di
vapore tra le nuvole zuccherose che veleggiano alte. Assaporo l'impossibilità di
descrivere meglio il vulcano Pucón e l'assenza di intelligibilità che esso
offre: una imperscrutabilità a cui mi adatto serenamente. Credo di non aver
gustato mai nulla di meglio.
Fuori dal Terminal degli autobus di Pucón visito un paio di hostales economici,
optando per quello che mi ispira maggiormente. È gestito da una coppia notevole:
lui biondo, appassionato, con cognome tedesco, lei è una peruviana dai modi
cortesi e fini.
Esco quasi subito nel cielo punteggiato di bianco, nell'aria fresca leggermente
aromatica della Araucanía. La cittadina è ordinata, con ville, case per turisti
e il centro declinante verso il lago. Seduto sulla sabbia scura, in pace,
stupefatto, ammiro il vulcano che si specchia nelle tranquille acque lacustri le
quali sfidano vincenti la leggera brezza che circola impertinente. Tutt'intorno
vigilano boscose montagne tinteggiate di un bianco lieve.
Il giorno dopo prendo un micro bus che mi conduce verso l'interno montagnoso. Il
cielo porta nuvole umide dall'Oceano ma non concede loro la pioggia. Mi fermo
all'imbocco di un sentiero. Ai lati ci sono statuarie catene montuose che
preservano l'ampia valle ondulata, rigogliosa di boschi e prati. Chiazze di neve
resistono nelle zone in ombra. Cammino piano osservando e annusando quello che
mi circonda. Ora incontro pecore che strappano filamenti di erba giallastra, poi
sparute case dai comignoli fumanti. Voltando il capo ritrovo la massa del
vulcano Pucón: sembra che l'ancestrale silenzio soffiato nella valle sia
impresso dalla sua presenza.
Ancora qualche chilometro per sentieri e strade sterrate e raggiungo l'area
delle pozze di acqua calda, los Pozones, semplici piscine all'aria aperta che
racchiudono l'acqua proveniente dal sottosuolo.
Vago tra le pozze d'acqua termale nudo, solo, attraversando climi proibitivi ed
incarnando alla perfezione le metafore del viaggio ma anche quelle della natura
umana. Fuori c'è la neve morente, dentro, nell'acqua, la temperatura supera i
quaranta gradi; due condizioni insostenibili che però riescono a compenetrarsi,
due stati dove il corpo e la mente vengono messi alla prova. Dopo qualche
immersione scelgo di rimanere fuori il più possibile, camminando lentamente tra
le piscine vuote. Le braccia avvolgono spasmodicamente il petto tempestato dai
brividi ma continuo questa strana e spontanea sfida con l'ambiente. Spogliato
dai vestiti e dalle cose, con il luccichio dell'acqua negli occhi e la
rifrazione della neve sul corpo, sotto il cielo e i monti dell'America australe,
trovo parte dell'essenzialità perduta.
L'accogliente acqua manda odori sulfurei, di terra e minerali. Rivoli caldi
confluiscono in un torrente di montagna ricco di pietre levigate. Tolgo le
ciabatte dai piedi con difficoltà. Come in un battesimo risolutivo immetto la
mia nudità tremante e randagia nel liquido vaporoso, ponendo termine alle
sofferenze provocate dal freddo, per accoglierne altre.
Stefano Marcora
http://travel-ontheroad.blogspot.com
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