E'
l'alba del sabato (ore 6.00) quando tocchiamo il suolo Afgano e confesso con una
certa emozione. E' la prima volta che mi succede.
VENERDI 30 LUGLIO 2004 E' alle 3.30 del mattino che lo squillo della sveglia mi
fa sobbalzare dal letto ed iniziare così questa nuova avventura. Avrei per la
verità un po' di sonno. I preparativi degli ultimi giorni mi hanno impegnato
molto. I controlli dei materiali fatti più volte, i problemi con i pesi che alla
fine risultano sempre eccessivi: cosa togliere, cosa aggiungere. Alla fine poi
chiudo tutto e sarà poi all'arrivo che verificherò se nulla è stato dimenticato.
Ciò che manca sarà comperato sul posto. La corsa in macchina fino a Schio per
prendere Gianni e Daniela. Mustafà che arriva alle 4.00 per accompagnarci fino a
Verona e riportare la macchina a Bassano. La strada per Schio è veloce e in meno
di mezz'ora siamo a casa dei compagni di viaggio. E' cambiata parecchio quella
strada che tante volte avevo percorso per andare lavoro. Le indicazioni che
Gianni mi aveva dato il giorno precedente non sono sufficienti per portarmi a
destinazione devo ricorrere alle moderne attrezzature che la tecnologia mi mette
a disposizione (cellulare) per farmi guidare nell'oscurità di Schio. Si caricano
i voluminosi bagagli dei compagni di viaggio. Si sposta, si spinge si modificano
le sistemazioni ed alla fine, un po' sulle ginocchia, un po' sotto ai piedi
riusciamo a caricare il tutto. Poi via una veloce corsa fino a Verona. Benché
sia il giorno d'inizio delle vacanze estive il traffico è contenuto e
sonnolento. Non si è ancora mosso il grande flusso dei vacanzieri. Arriviamo
perciò velocemente all'aeroporto e procediamo subito al disbrigo delle pratiche
per l'imbarco. Come prevedevo superiamo di parecchio il peso che ci è concesso
portare (33 KG) ma una gentile ragazza del check in ci fa pagare un sovrappeso
di soli 7 kg. Imbarchiamo il tutto con destinazione Istanbul. Non possiamo fare
l'imbarco diretto per Kabul non essendo in possesso dei biglietti per tale
destinazione perché dobbiamo ritirarli alla Ariana di Istanbul. Al nostro arrivo
ad Istanbul, per il ritiro dei bagagli ed il loro reimbarco , dobbiamo pagare il
visto di ingresso in Turchia di 10 € a testa. Sarà la prima delle probabili
gabelle che dovremo certamente pagare anche in futuro. Finalmente riusciamo a
ritirare i bagagli ed i biglietti, ed alle ore 21.30 siamo i primi a fare il
check in ed a ritirare le carte di imbarco. Con sorpresa notiamo che il volo
anziché partire all'1.30 come previsto, parte alle 23.45, di conseguenza anche
l'arrivo a Kabul sarà anticipato. La vettura della cooperazione Italiana con
Falcone sarà all'aeroporto alle 9.00. Dovremo aspettare. Il viaggio si svolge
regolarmente con un dignitoso aereo della compagnia di bandiera Afgana. Non è
pieno , parecchi sono i posti vuoti. Ciò che colpisce maggiormente è la totale
assenza di personale di servizio femminile. Le poche donne a bordo sono delle
occidentali e qualche afgana tra i passeggeri. Tutte all'approssimarsi
dell'arrivo provvedono a coprirsi il capo con veli e fazzoletti.

SABATO 31 LUGLIO 2004 E' l'alba del sabato (ore 6.00) quando tocchiamo il suolo
Afgano e confesso con una certa emozione. E' la prima volta che mi succede.
Certamente le notizie che ho acquisito in tutti questi anni dalla stampa e dalla
televisione hanno condizionato il mio stato d'animo al momento dell'arrivo. Mi
sento in una condizione di vigile attenzione nello spostarmi anche all'interno
dell'aeroporto. Al contatto poi con la realtà locale tutto si tranquillizza.
Mi
sembra di essere in uno dei tanti aeroporti del terzo mondo già altre volte
utilizzati. E' vero che qui si nota una maggiore presenza di velivoli militari.
Ciò che colpisce invece è la non rara presenza di occidentali che molto spesso
sono accompagnati in auto per la partenza con la scorta di guardie del corpo in
pieno assetto di guerra, protetti da giubbetti antiproiettile ed armati con i
mezzi più moderni. Non so se sbaglio ma ciò mi da l'impressione di un eccesso di
prudenza e solo una esibizione di forza e potenza militare. A me sembra tutto
tranquillo. Le persone sono cordiali e gentili. Se posso fare un paragone mi
sono sembrati più duri ed arcigni i poliziotti turchi che non quelli Afgani.
Al
nostro arrivo come immaginavo non abbiamo trovato la macchina a riceverci. Siamo
arrivati con circa 3 ore di anticipo. Decidiamo di attendere l'ora stabilita per
l'appuntamento. Nell'attesa giro un po' per l'aerostazione. Esploro questo primo
angolo di Afganistan e subito noto i primi segni di quella tipica incuria e
cattiva manutenzione che caratterizzano questi poveri paesi. Gli arredi
malconci, i muri sbrecciati, soffitti che portano ancora i segni dei vecchi
scontri che ci sono stati in questi luoghi, serramenti sconnessi con sozze
vetrate con attaccata ancora la polvere di chissà quanti mesi. Ad una di queste
stanno lavorando due individui armati di luridi stracci che intingono in una
bacinella di acqua color fango. Non riesco a capire se il loro compito sia
quello di pulire la vetrata o spalmare la polvere ad essa attaccata
impregnandola del lerciume dei loro stracci. Nell'indifferenza generale
continuano a svolgere imperterriti il loro lavoro. Tra il via vai continuo di
chi arriva e parte, tra i saluti e le lacrime della gente scruto in
continuazione il piazzale antistante gli arrivi alla ricerca della nostra
macchina. All'ora stabilita non è arrivato ancora nessuno. Chiamo più volte col
telefono l'Ambasciata Italiana ma il funzionario che avevamo contattato
dall'Italia risulta irreperibile. Durante uno di questi tentativi, vengo fermato
da una signore che parla la mia lingua e si presenta come colonnello
dell'esercito italiano, il quale sentendomi parlare nel suo stesso idioma ed
intuendo che stavo colloquiando con l'Ambasciata Italiana, si offre di portarci
con la sua vettura alla sede dell'Ambasciata. Nel ringraziarlo per la sua
cortesia gli spiego che sto cercando di contattare Falcone della Cooperazione
Italiana perché con lui eravamo d'accordo di incontrarci all'arrivo.
Fortunatamente il colonnello conosce il numero del suo cellulare ed in pochi
minuti lo contattiamo. Finalmente riesco a parlargli e mi avvisa che sarebbe
giunto da noi entro pochi minuti. Scopro poi al suo arrivo che era già venuto
all'aeroporto all'ora stabilita ed avendo saputo che il volo era arrivato con
tre ore di anticipo ha pensato che fossimo già andati all'hotel e quindi è
ritornato in città. E pensare che quando è arrivato ci aveva anche notato ma non
aveva pensato di contattarci!!!. Arriviamo finalmente al nostro hotel Kabul Inn
dove troviamo la macchina prenotata per noi e dove dopo una breve chiacchierata
e bevuta di the decidiamo di riposarci un po' fino alle 17.00. Andremo poi al
suo ufficio per concordare assieme i piani futuri e per organizzare la cena per
la sera in compagnia di alcuni suoi amici italiani e con Alberto Cairo della
Croce Rossa Internazionale. All'ora stabilita ( 17.00 ) ci troviamo con Gianni e
Daniela per andare presso l'ufficio della Cooperazione a trovare Fabrizio
Falcone. Rimaniamo li fino alle 19.30. Ci presenta alcuni suoi collaboratori
locali ed italiani. Programmiamo il nostro itinerario di visite ed incontri per
i giorni seguenti. Ci fissa l'appuntamento con i responsabili dell'AKDN ( Aga
Kan Development Network) e si stabilisce per domani sera la cena con Cairo ed
amici. Con un suo collaboratore del Panjir si programma un incontro per il
nostro rientro a Kabul con i famigliari di Massud ed una visita alla vicina
valle del Panjir. Siamo un po' stanchi per viaggio e decidiamo di rientrare in
albergo. Daniela corre direttamente a dormire mentre io Gianni consumiamo una
breve cena al ristorante dell'albergo. Rimaniamo a chiacchierare del nostro
progetto di viaggio e delle idee per il futuro.
Delle necessità che i nostri
attuali e futuri progetti abbiano tutti delle finalità di carattere umanitario.
Che il viaggio non sia fine a se stesso, che abbia un proseguo anche con
possibili sviluppi in un rapporto futuro. Commentiamo anche le notizie avute da
Fabrizio sulla gente locale e sugli interventi umanitari.
In loco si parla di
interventi notturni fatti dagli aerei americani diffondendo pesticidi sui campi
di papaveri rendendo non più coltivabile tutto il territorio per un lungo
periodo. Di notte si sentono gli aerei volare sulle campagne ed una sottile
pioggia cade su tutto. Il terreno risulterà poi inquinato e non solo per i
papaveri sarà impossibile la coltivazione. Parliamo e commentiamo queste ed
altre notizie. Alla fine la stanchezza prende il sopravvento e decidiamo di
andare a dormire.
DOMENICA 01 AGOSTO 2004
Come in tutti i paesi islamici non è giorno di festa qui alla domenica e
possiamo procedere ai preparativi per la nostra partenza per i corridoi del Wakan. Passiamo col mezzo che abbiamo a disposizione alla sede della Ariana per
l'acquisto dei biglietti del volo per Faizabad. Giriamo per i fatiscenti uffici
della compagnia aerea ed alla fine riusciamo ad individuare quello che può
emettere i biglietti. Non esistono sistemi computerizzati ma solo il vecchio
metodo della penna. Ci sono due tavoli vecchi ed instabili nella piccola stanza.
In uno un gruppo di donne chiacchiera alacremente mentre nell'altro il
funzionario della compagnia ci fa accomodare per la compilazione dei biglietti.
Un viavai continuo di varie persone. Una di queste porta anche dei viveri che
posa sul tavolo di lavoro. Finalmente in mezzo a questo caos riusciamo ad avere
i nostri biglietti. L'andata è fissata per il giorno 4 mentre il ritorno viene
lasciato aperto. Stabiliamo di rientrare a Kabul il giorno 7 settembre.
Espletate queste pratiche ci facciamo accompagnare dall'autista all'Università
dove abbiamo appuntamento per le ore 10.30 col professore responsabile della
cattedra di lettere. Sono molto gentili ed interessati al progetto di visita e
ricerca nella zona del Wakan ed ad una eventuale collaborazione con l'Università
Italiana per un iterscambio culturale. Giriamo un po' per l'Università ed
osserviamo gli studenti nelle pause delle lezioni. Ci sono più donne di quanto
potessi pensare che frequentano i corsi universitari sembra che siano veramente
passati i tempi del restrittivo regime Talebano. Certo, gli edifici portano
ancora i segni dell'incuria e delle battaglie che si sono svolte in questi
luoghi anche durante gli scontri tra le varie fazioni dopo il ritiro delle
truppe di occupazione russe. Il traffico caotico della città ci prende ancora
quando ci spostiamo per andare all'altro appuntamento presso gli uffici dell'AKDN.
Il funzionario con cui parliamo non si dimostra subito interessato ai nostri
problemi. Alla fine però ci fornisce alcune indicazioni che potrebbero tornarci
utili. Siamo già a metà pomeriggio e passiamo le ultime ore in attesa di
incontrarci con Fabrizio Falcone girando per il mercato alla ricerca di un abito
per Daniela. Alla fine acquisterà anche un burka. Passiamo un paio di ore
girando tra i negozi suscitando la curiosità delle tante persone presenti. Non
ci sono altri stranieri in giro, ed è ovvio che si diventi subito oggetto di
attenzione da parte di tutti i locali. Girando tra i vari negozi incontriamo un
conoscente della nostra guida che parla molto bene l'italiano essendo vissuto
alcuni mesi in Italia. Ci accompagna in giro ed alla fine ci scambiamo gli
indirizzi con l'intenzione di ritrovarci al nostro rientro dal Wakan. Il
mercato, contrariamente a quanto potevo immaginare, e pieno di ogni sorta di
mercanzia che i commercianti esibiscono con i tradizionale metodi dei mercati
asiatici. A Kabul si trova di tutto. Me lo confermano anche gli italiani della
cooperazione e dell'Ambasciata Italiana con cui siamo in contatto. Siamo
veramente molto lontani dalla realtà che potevo immaginare e da quanto descritto
e riportato dalla nostra stampa. Esiste, e mi confermano esisteva anche durante
il periodo Talebano, un mercato ricco e fiorente come in qualsiasi altro paese
asiatico. Forse un tempo per alcune merci si svolgeva in un modo più clandestino
ma i prodotti frivoli dell'occidente arrivavano anche durante il proibizionismo
dei talebani. Scatto alcune fotografie. Le persone non sono per nulla restie a
farsi riprendere. Unica eccezione le donne che alla vista dell'obbiettivo
corrono a coprirsi. Oramai siamo nel tardo pomeriggio e dobbiamo rientrare per
prepararci per la cena. Siamo ospiti di Fabrizio Falcone che ha invitato alcuni
suoi amici italiani tra cui Alberto Cairo della Croce Rossa Internazionale. La
cena si svolge allegramente con cibi italiani che si possono trovare facilmente
in città. Esiste un negozio gestito da un italiano che fornisce anche tutti i
prodotti all'esercito italiano in tutte le zone di guerra dove operano i nostri
militari. Questa persona sembra sia bene introdotta a livello ministeriale.
Cairo ci racconta del suo lavoro e dei problemi che quotidianamente sono da
risolvere in queste zone. Ci fornisce inoltre alcune importanti notizie per il
nostro viaggio e si attiva subito per contattare alcune persone che collaborano
con lui in quelle zone. Ci accordiamo inoltre per un incontro e per una più
approfondita visita all'ospedale della Croce Rossa di Kabul al nostro rientro.
LUNEDI 02 AGOSTO 2004
Dall'hotel ci dirigiamo di buonora all'ufficio della Cooperazione Italiana (sfruttiamo la cortesia di Fabrizio Falcone) per inviare alcune e mail ai
corrispondenti dell'AKDN in Badakshan affinché ci organizzino alcuni servizi in
loco prima del nostro arrivo. Passiamo quindi all'Ambasciata Italiana per
l'incontro stabilito con Batori. Gentilmente si sottopone alla raffica di
quesiti di Gianni. E' la persona che dispone delle notizie più attendibili
essendo stato recentemente nella zona che noi dovremo percorrere.
Ha risalito il
corridoio di Wakan circa 20 gg. fa fino a Sarhad de Wakan e poi ha attraversato
il confine scendendo in Pakistan dal passo di Boroghil per rientrare in Italia.
Sono queste le più recenti notizie che riusciamo ad ottenere.

Poi sarà nostra
cura verificare il tutto. Toccherà a noi decidere nelle varie situazioni. Le
notizie sono tuttavia rassicuranti. I Waki ed i Kirghisi sono persone a quanto
risulta molto cordiali ed ospitali anche se talvolta esistono degli attriti tra
di loro per l'utilizzo dei pascoli da come ci informano agli uffici dell'AKDN.
La partenza per il Badakshan si prospetta sotto i migliori auspici. Cerchiamo di
raccogliere più notizie possibili. A tale scopo fissiamo un appuntamento per
domani sera a cena nel nostro albergo assieme a Falcone. Partiamo
dall'Ambasciata Italiana per la visita del palazzo di Babur. La strada per
giungervi attraversa il sempre caotico centro. L'aria mi sembra sempre più
irrespirabile per la cappa di smog che copre la città e penetra anche nei più
reconditi angoli degli alveoli polmonari. Mi sembra che oggi sia più
irrespirabile dei giorni precedenti. Forse la situazione è peggiorata a causa
del vento forte che spira. Quando arriviamo al palazzo ci rendiamo subito conto
della situazione disastrosa in cui si trova. Gli anni di guerre e combattimenti
tra le varie fazioni in lotta hanno lasciato una traccia indelebile
sull'edificio che ora a malapena lascia trasparire le ricchezze ed i fasti di un
tempo. La zona è stata teatro di forti scontri. I segni dei proiettili sono
molto evidenti su ciò che rimane delle mura del palazzo. L'AKDN sta lavorando
alla sua ricostruzione cercando di renderlo allo splendore di un tempo con
ingenti finanziamenti ed un numero elevato di tecnici ed operai. Raccolgo
un'abbondante quantità di immagini per documentare quanto resta. Il pomeriggio
passa a casa della nostra guida che vuole presentarci il padre, ex professore di
letteratura. Con orgoglio ci mostra la dimora appena ricostruita: in parte con i
soldi ed i finanziamenti per i profughi ed in parte con quanto guadagnato
lavorando per la Cooperazione Italiana. Prima di entrare in casa ci fa attendere
alcuni minuti che gli servono per allontanare le donne della famiglia. Quando
tutto è pronto siamo invitati ad entrare in una modesta stanza dove fanno mostra
gli unici poveri arredi costituiti da un letto/divano ricoperto da un tappeto
che funge da copriletto, ed un altro tappeto disteso a terra sul quale sono
gettati alcuni cuscini e dove sta seduto in lettura l'anziano padre. Sono tutti
di etnia Pastun. Hanno vissuto molto tempo come profughi nella città di
Paschawar in Pakistan e sono rientrati in Afganistan solamente da un paio di
anni dopo la resa dei Talebani. I pochi soldi raggranellati lavorando con gli
italiani e gli aiuti per i profughi hanno permesso la ricostruzione della loro
casa. Sul retro di essa sono ancora evidenti i resti di quanto rimane del
vecchio edificio distrutto dalla guerra. Il pomeriggio passa tra disquisizioni
letterarie e raffronti linguistici tra Daniela e l'anziano professore. Il solito
the servito alla maniera Afgana accompagna la conversazione: tutti seduti a
terra attingendo dalla comune teiera. Quando il the finisce viene rimpiazzato
con altro preparato dalle donne di famiglia che, bussando senza farsi vedere,
danno il segnale che è pronto. Alla nostra conversazione partecipano solo i
maschi di famiglia. Anche per i bambini vale la stessa regola: sono ammessi solo
quelli di sesso maschile. La curiosità non impedisce alle bimbe di far capolino
furtivamente dalla porta per scomparire poi velocemente quando qualcuno di noi
volge verso di loro l'attenzione. E' molto radicata anche qui a Kabul nella
capitale la concezione che la donna non deve apparire in pubblico. Siamo assieme
a persone che vivono in città, a contato con occidentali, che lavorano da
parecchio tempo con italiani, con un grado di istruzione elevato ( la nostra
guida è laureata in lettere ed il padre un ex professore di scuola superiore)
eppure la donna è mantenuta in uno stato di segregazione anche presso i ceti più
colti. Cosa ci aspetterà quando incontreremo i pastori che vivono sulle
montagne!!!! Prima dei saluti Daniela viene invitata a fermarsi per conoscere le
donne di famiglia. Noi siamo esclusi dall'incontro. Il volto scoperto delle
donne di famiglia, anche se queste non indossano abitualmente il burka, può
essere visto dagli estranei solo se di sesso femminile .Avevo potuto constatare
che non indossavano il burka poiché le avevo intraviste transitare davanti alla
vetrata della stanza in cui eravamo accomodati per il the. Stiamo forse
iniziando a verificare la reale condizione femminile in questo paese. Quanto ci
sia da scoprire ancora non posso immaginare; quanto sia lontana da ciò che
supponevo la realtà di questo paese. Non ho trovato scenari di guerra come
possono far supporre le descrizioni dei nostri giornali e mezzi televisivi. E'
si una città che porta evidenti i segni di tanti anni di scontri. Le case hanno
ancora evidenti sulle facciate le ferite lasciate dai proiettili sparati senza
risparmio. Parecchie sono ancora le zone con macerie e rottami bellici. La luce
elettrica può ancora mancare alla sera e gli hotel sono costretti a ricorrere ai
gruppi elettrogeni per garantire l'illuminazione. Le zone di possibili attentati
sono ancora protette da abbondanti apparati difensivi. Malgrado questo è una
città che vive la sua vita normale. Col suo traffico caotico, i suoi commerci
nel bazar, la gente che lavora regolarmente. Nessuno pensa più alla guerra. Dà
l'impressione di una città che vuole vivere la sua vita dimenticando prima
possibile quanto ha vissuto negli ultimi anni.
MARTEDI 03 AGOST0 2004
Ultimo giorno di permanenza a Kabul prima di partire per il Badakhshan. Si passa
la mattinata girovagando per il mercato cittadino alla ricerca di pubblicazioni
che parlino del paese. Saliamo con l'auto su di una collina dalla quale si ha
una visione panoramica della città. Incontriamo anche tre fuori strada con
militari francesi che salgono sullo stesso punto per ammirare il panorama.
Purtroppo la costante coltre di polvere e smog che copre sempre la città ci
impedisce di avere una visione nitida. L'agglomerato si estende a perdita
d'occhio verso le montagne circostanti. Sono brulle, non un filo d'erba le
copre. Le difficili condizioni economiche ed il freddo intenso invernale hanno
portato la popolazione a compiere un radicale disboscamento delle colline che
circondano la città. A ciò ha contribuito anche la forte siccità. Un progetto
della cooperazione italiana sta cercando di effettuare il rimboschimento di
alcune di queste colline. Fabrizio, che segue il lavoro, manifesta molte
perplessità sulla riuscita di un tale progetto in particolar modo nel momento in
cui tutto sarà lasciato nelle mani dei locali. Ci perdiamo fino alle 13.00 per
le strade del mercato e quindi rientriamo all'hotel per il pranzo assieme al
nostro autista. Saldiamo il conto con lui e lo congediamo fissando
l'appuntamento per il nostro rientro. Salgo in camera dopo aver saldato il conto
dell'albergo ed inizio a preparare i bagagli per la partenza di domani mattina
all'alba. Questa sera come programmato avremo ospiti per cena Batori e Fabrizio.
Spero che lassù, tra le montagne del Pamir, la vita sia più tranquilla che in
città. Il traffico caotico ti stordisce. Lo smog generato dagli scarichi delle
auto ti entra nelle narici infiammando le vie respiratorie. La polvere completa
il tutto entrando in ogni dove. Qua e la si scorgono ancora i segni della guerra
ma l'impressione è che la città si stia avviando verso la normalizzazione.
Quello che si nota è una immagine completamente diversa da quanto la nostra
stampa e televisione presentano. Quanto sia diversa lo si sente parlando con gli
operatori che lavorano in queste zone. La scorsa sera, a cena, parlando con
Alberto Cairo vengo a sapere che la situazione degli approvvigionamenti dei
prodotti sanitari è completamente diversa da quanto immaginavo. Non c'è
assolutamente mancanza di medicinali in queste zone. Capita talvolta che
arrivino addirittura delle eccedenze e non si sappia come distribuirle. Secondo
il suo parere non esiste coordinamento per i materiali che vengono inviati.
Un'altra critica che si sente fare riguarda il fatto che i militari provvedano
talvolta ad interventi umanitari provocando confusione tra la popolazione la
quale non distingue più le associazioni umanitarie dai militari. Entrambi
vengono identificati come un'unica entità e ciò provoca talvolta delle
situazioni pericolose per gli operatori. Mi spiega inoltre la situazione che ha
provocato il ritiro dei Medici Senza Frontiere dal paese. Avevo letto di questo
nei quotidiani italiani e non nego che mi aveva causato una certa apprensione
anche in previsione del nostro viaggio. Ho pensato, da come veniva presentata la
faccenda, ad uno stato di belligeranza ancora in atto. La realtà a quanto mi
racconta Cairo è completamente diversa. Sembra certo che siano state vittime di
una faida interna alla locale polizia della zona dove operano e non di un
attacco contro le associazioni umanitarie e gli occidentali. Il vecchio capo
della polizia locale, destituito per incapacità, ha ordinato l'esecuzione dei
membri di MSF per dimostrare l'incapacità del suo successore a mantenere
l'ordine. La cosa è stata subito scoperta ma il regime di omertà e collusione
che vige in quelle zone ha finora impedito che fossero presi dei provvedimenti
nei confronti dello stesso. A seguito dell'indecisione delle autorità
nell'applicare la giustizia l'associazione MSF ha deciso di ritirare tutto il
suo personale dal paese finche non sarà perseguito il colpevole di cui è ben
nota l'identità. Non si tratta quindi di un attacco contro occidentali o
associazioni di volontariato ma di un comune atto di criminalità.
MERCOLEDI 04 AGOSTO 2004
Oggi è stata una giornata abbastanza dura. La levataccia alle 4.30 del mattino
per partire col volo per Fayzabad alle 6.30. Durante la notte ho dormito poco
per la preoccupazione di non svegliarmi in tempo essendo andato a riposare
piuttosto tardi. Inoltre il raffreddore che si era preannunciato ieri è
scoppiato rabbiosamente in nottata. Partiamo regolarmente malgrado le
preoccupazioni. All'aeroporto di Fayzabad, troviamo come stabilito la vettura
dell'AKDN ad accoglierci e per portarci nei loro uffici in città. Passiamo tutta
la mattinata a raccogliere notizie e per cercare l'auto che ci accompagnerà fino
alla fine della pista che entra nel corridoio di Wakan. Passiamo anche
dall'ospedale della Croce Rossa dove ci accordiamo per una visita che faremo al
nostro ritorno. Partiamo quindi per Barak dove arriviamo dopo circa 4.00 ore e
siamo accolti nella guest house dell'AKDN ( 20 $ a testa pensione completa).
Abbiamo attraversato posti incantevoli ma per tutta la strada il raffreddore non
mi da tregua ed appena arrivo, dopo aver preso dei medicinali, vado a dormire.
Speriamo che domani vada meglio.

GIOVEDI 05 AGOSTO 2004
Ho passato la notte abbastanza bene ed al mattino quando mi alzo mi sento
ristabilito ed in forma. Accompagnati da un incaricato dell'AKDN che ci guida,
andiamo al mercato per acquistare i viveri che ci serviranno durante il percorso
nel Wakan. E' questo infatti l'ultimo posto dove si può trovare di tutto. Oltre
alle vettovaglie acquistiamo anche delle pentole necessarie per cucinare.

Partiamo verso le 13.30. il paesaggio nel primo tratto risulta abbastanza simile
a quello già percorso da Faizabad poi la vallata cambia improvvisamente ed
appare in tutta la sua bellezza. I colori ricordano quelli già visti nelle
vicine zone del Pakistan. L'ocra intenso macchiato talvolta di azzurro e marrone
colora i pendii sassosi e ripidi dei versanti che precipitano nella valle in cui
scorre il fiume Warduj che nasce nelle vicinanze di Iskaschem.
La pista
sconnessa segue il fondovalle costeggiando il fiume ora sulla destra ora sulla
sinistra orografica ed attraversandolo su fragili ponti o, dove questi sono
crollati, su guadi ove è richiesta molta perizia per trovare il cammino. Il
fiume accompagna la strada per tutto il suo percorso scendendo impetuoso quando
la valle si restringe e diventa più ripida, quando invece si allarga e la sua
pendenza diminuisce esso trova la possibilità di correre più placido e calmo
disegnando sul greto sassoso i suoi meandri. Attraversiamo durante il tragitto
ampie distese coltivate a papaveri. E' da questa zona che proviene la maggior
quantità di oppio nei mercati dell'occidente.
L'Afganistan è il maggior
produttore al mondo e questa sostanza arriva nei mercati europei ed americani
attraverso i trafficanti Russi che qui hanno il monopolio dell'acquisto. Le luci
del tramonto che ci accompagnano nell'ultimo tratto incendiano le montagne e
quando arriviamo in vista della nostra meta incomincia già a fare buio. Abbiamo
impiegato 7 ore per compiere il tragitto. Siamo ancora una volta ospiti della
guest house dell'AKDN. Daniela viene messa a dormire in una stanza separata per
le donne e trova come compagna una canadese di origine Tagika mentre io e Gianni
ci sistemiamo in una camerata per uomini. Si dorme su alcuni cuscini gettati a
terra. Anche la cena viene servita in ambienti separati: gli uomini vengono
divisi ancora una volta dalle donne. Incontriamo un ragazzo francese ed uno
belga arrivato dal Tagikistan. Mi conferma che la strada meridionale del Pamir è
percorribile senza problemi. Quante notizie diverse da quanto riportato da guide
e giornali si raccolgono sul posto durante il viaggio. A quanto afferma questo
ragazzo belga il Tagikistan è un paese tranquillo e percorribile in auto. Sulle
guide avevo letto che questo itinerario non era sicuro. In particolar modo si
consigliava di evitare la strada meridionale che percorre il Pamir parallela ai
confini con l'Afganistan. E' solo direttamente sul posto che si raccolgono
notizie attendibili. Alla guest house ritroviamo anche dei tagiki che lavorano
per conto dell'AKDN che avevamo incontrato la sera precedente.
VENERDI 06 AGOSTO 2004
La partenza è prevista presto in mattinata. Come sempre ci sono imprevisti. Il
primo inizia con un ritardo dovuto al nostro autista che sta cambiando la gomma
dell'auto che già il giorno precedente aveva iniziato a sgonfiarsi leggermente.
Poi la ricerca del carburante, essendo questo l'ultima località dove è possibile
trovarne, ci fa perdere ancora una mezzora. Finalmente partiamo. Sono oramai già
le 8.30 del mattino. La partenza di buonora era richiesta poiché era necessario
arrivare al villaggio di Khandud prima delle ore 14.00. Un impegnativo guado si
trova infatti alcuni chilometri dopo questo villaggio e le acque che scendono
dai ghiacciai sovrastanti ingrossano il fiume nel pomeriggio rendendo più
difficoltoso il passaggio. Iniziamo a percorrere la valle del Wakan. La strada,
talvolta con uno sterrato agevole altre volte con fondo più impegnativo corre
parallela al mitico fiume Pamir ( Oxus, Amu Daria). La valle si snoda ampia a
formare il bacino del fiume. Esso funge da confine tra l'Afganistan ed il
Tagikistan. Nel versante opposto si nota la strada che corre parallela in
territorio Tagiko. Frequenti sono i villaggi sulla riva opposta. Si ha
l'impressione che in territorio Tagiko l'ex Unione Sovietica abbia fatto
maggiori investimenti di quanto invece fatto in Afganistan dai locali governi.
Esistono molti più insediamenti agricoli che si arrampicano sulle pendici dei
monti che non sul territorio Afgano. La strada stessa che percorre il lato
opposto del confine Tagiko è asfaltata ed inoltre si nota una palificazione che
porta energia elettrica a tutti i villaggi. Sul versante Afgano invece la strada
è una pista spesso anche in pessime condizioni. Non noto nessuna palificazione
ne segnali di insediamenti per la fornitura di energia elettrica. Il paesaggio è
meraviglioso. La valle percorsa circa 700 anni fa da Marco Polo e prima ancora
da Alessandro Magno si propone in tutta la sua bellezza. La strada corre
talvolta vicina e strapiombante sul fiume. Altre volte si allontana per cercare
un passaggio più agevole tra le pietraie del fondovalle. Arriviamo al villaggio
di Khandud dove veniamo registrati all'ufficio di polizia e siamo ricevuto dal
capo del villaggio il quale inizialmente ci comunica che non è più possibile
effettuare il guado. In un secondo tempo cambia idea e decide di accompagnarci
lui stesso fino al punto di attraversamento. Il guado dista circa 5 chilometri e
lungo la strada raccogliamo altre tre persone esperte del luogo che ci indicano
il passaggio. Dopo alcuni tentativi troviamo la giusta via e con qualche
difficoltà riusciamo a transitare e ad oltrepassare la zona dove l'acqua è più
impetuosa.
Passato il guado la pista riprende ben visibile e facilmente
identificabile. Una corsa ancora di un'ora e arriviamo al villaggio di Qala
Panja.

Siamo ricevuti anche qui dai notabili del paese. Incontriamo il capo
villaggio ( un principe locale) ed anche la persona che dovrebbe fornirci i
cavalli per la salita nei pascoli del Pamir. Incontriamo anche il medico inglese
di cui ci aveva parlato Alberto Cairo. Siamo ricevuti nella sua casa. Ci sono
anche la moglie ed i tre figli piccoli. All'interno della casa regna il
disordine più totale. Passiamo anche qui un paio d'ore a conversare ed a
raccogliere notizie. I bimbi si dimostrano subito molto socievoli con noi. Con
molta probabilità è la curiosità per i nuovi venuti. Vivono qui da parecchi anni
ma ci comunicano che rientreranno in Europa il prossimo anno. Mi danno
l'impressione di una famiglia hippy più che la famiglia di un medico
occidentale. Quando incomincia a fare buio rientriamo nella casa del capo
villaggio dove ceniamo seduti sul pavimento, usando le mani ed attingendo
dall'unico piatto. Passiamo la notte. Dormiamo in una spoglia stanza su
materassini a terra disposti attorno alle pareti. Il padrone di casa, che ci
aveva ricevuti all'arrivo, viene a trovarci e si sofferma a chiacchierare fino
alle 22.00. Domani staremo tutto il giorno in questo villaggio.
SABATO 07 AGOSTO 2004
Passo la notte abbastanza bene. I sintomi del raffreddore sono quasi
completamente scomparsi. Certo questo ambiente polveroso non favorisce una
rapida guarigione. La luce filtra presto dalle finestre che sono prive di
imposte. Incomincia ad albeggiare alle 4.00 del mattino ed il paese con le prime
luci dell'alba incomincia ad animarsi. E' questa la stagione di maggior attività
del villaggio. In inverno le temperature possono arrivare per un lungo periodo a
-20° C e tutte le attività si fermano. I collegamenti diventano difficili e
talvolta le popolazioni nomadi arrivano alla fine del periodo freddo con scarsa
disponibilità di viveri. Alle 8.00 andiamo col medico inglese dal comandante
della polizia di frontiera per l'ottenimento del visto per risalire la valle
fino ai laghi di Chaqmaqtin. Qui nascono i primi problemi. Il nuovo comandante,
insediatosi solo da alcuni giorni, ci comunica che è necessario un visto che
rilasciano a Faizabad. Ritornare indietro significherebbe, tra andata e ritorno,
perdere circa una settimana. Il colloquio, condotto dal medico inglese che
contribuisce alla traduzione, si svolge in un'atmosfera surreale. Il capo della
polizia che con aria di superiorità ascolta e sentenzia separando gli interventi
con lunghissimi silenzi e sguardi nel vuoto. I subalterni che dispensano
consigli. Prendono i passaporti che vengono registrati in un vecchio quaderno.
Fanno alcuni commenti sul mio in quanto le fotografie risultano prive di barba
che in questi giorni ho lasciato crescere incolta. Il capo inoltre è incuriosito
dai visti dei miei precedenti viaggi. Alla fine, quando pensiamo che tutto sia
risolto ed i documenti siano in regola, arriva come una doccia fredda la
richiesta del visto rilasciato a Faizabad. Decidiamo di chiamare l'ambasciata
italiana col telefono satellitare e Batori si dimostra subito disponibile ad
intervenire. Chiede di richiamarlo e di metterlo in comunicazione col capo della
polizia. I due per mezzo dell'interprete dell'Ambasciata Italiana si parlano ed
alla fine tutto è risolto. Possiamo partire. Nel pomeriggio Daniela partecipa ad
una riunione delle donne del villaggio a cui noi uomini non siamo ammessi.
Mentre Gianni passa il pomeriggio a sistemare carte io mi faccio una passeggiata
per il paese accompagnato da due figli del capo villaggio. Scatto molte
fotografie ed un filmato che poi rivisto in serata sullo schermo della
telecamera suscita la curiosità di tutti presenti.
DOMENICA 08 AGOSTO 2004
Altra giornata di trasferimento in auto. Partiamo al mattino di buonora ( ore
6.00 ) sperando di arrivare prima di mezzogiorno. Le notizie avute parlavano di
un viaggio di circa 4.00 ore. Ancora una volta le indicazioni risultano
sbagliate. Il tragitto risulta essere di 8 ore con i soliti guadi ed il solito
fondo sconnesso. Impieghiamo anche più tempo perché perdiamo la ruota di scorta
a dobbiamo ritornare sulla strada percorsa per cercarla. Se non sbaglio è la
quinta volta che si stacca dalla sua sede sul fondo della macchina. Mentre le
altre volte c'eravamo accorti subito questa volta nessuno aveva notato la
mancanza o sentito il rumore al momento del distacco. Dobbiamo ripercorrere il
cammino già fatto. Dopo circa mezzora di ricerca a ritroso per la strada,
decidiamo di scendere presso alcune case di un villaggio e aspettare che
l'autista ripercorra la strada fatta. Approfittiamo di questa sosta per visitare
il villaggio e scattare alcune fotografie. Siamo ricevuti in una casa dove viene
offerto il solito the col pane. Dopo circa un'ora arriva anche il nostro autista
felice per aver ritrovato la ruota smarrita. Riprendiamo finalmente la strada
nella speranza di non avere più inconvenienti simili. Il percorso è veramente
mozzafiato. La pista corre sempre parallela al fiume Wakan abbiamo lasciato la
valle dell' Amu Daria subito fuori dal paese di Qala Panja. Il Wakan è un
affluente del Pamir che contribuisce con le sue acque ad ingrossare questo
storico fiume. Nasce nelle alte montagne ai confini con la Cina, ed alimentato
durante il suo viaggio dai molti affluenti che scendono dai grossi bacini
glaciali che incombono sulla valle, confluisce nell'Amu Daria circa 5 chilometri
prima di arrivare a Quala Panjia. La vallata che percorre è veramente maestosa.
A volte si restringe costringendo le acque in vortici tumultuosi e spumeggianti.
In queste zone il fiume è costretto tra le ripide pareti scavate nelle antiche
morene e la strada si inerpica per gli instabili pendii a cercare il passaggio
nei punti più alti dove la valle si allarga. In questi tratti la pista passa su
precipizi incombenti sul fiume che si vede scorrere tumultuosamente nel
fondovalle. E' in questi luoghi richiesta all'autista la massima perizia ed
attenzione. A volte la valle si allarga. Il fiume corre più calmo distendendo le
sue acque tra le ghiaie dove talvolta si notano ampie distese verdi di prati
alimentati dall'acqua e dove pascolano le mandrie dei pastori Waki. Dai lati
della vallata scendono rigogliosi torrenti alimentati dai ghiacciai sovrastanti.
Alla nostra destra abbiamo il confine Pakistano, verso sud, non molto lontano e
possiamo osservare le cime più alte ricoperte da grandiosi ghiacciai. Sono i
versanti settentrionali delle montagne. Dietro queste cime corre la Karakorun
Hight Way che ho già percorso parecchi anni fa. La meta dove dobbiamo arrivare,
il paese di Sarhad de Baroghil, lo raggiungeremo dopo un percorso durato 8 ore.
Il paese costituito solo da alcune case sparse dove vivono trenta famiglie (
Circa 300 persone) si adagia su di una piana immensa alla confluenza di due
vallate. Una sale verso il confine del Pakistan al passo di Baroghil in
direzione nord mentre l'altra conduce alle sorgenti del fiume Wakan ed ai laghi
di Chaqmaqtin dove si trovano i pascoli dei pastori Waki e Kirghisi.

Il tramonto
alla sera è indescrivibile. Le montagne si infiammano di un'ocra ancora più
intenso mentre le cime coperte di neve si stagliano in cielo in tutta la loro
imponenza. La luce radente del sole evidenzia maggiormente le rughe e le crepe
delle calotte glaciali. Il verde della piana assume un colore più marcato mentre
gli animali pascolano tranquillamente con le ultime luci della giornata. Alla
sera incontriamo il capo della polizia che alloggia nel nostro stesso stabile
messoci a disposizione da Tashi Bay, il rais locale.
LUNEDI 09 AGOSTO 2004
Oggi giornata di riposo dopo i trasferimenti dei giorni scorsi. In mattinata
prendiamo accordi con i portatori per i cavalli per i prossimi giorni. Provvede
a tutto il boss locale Taschi Bay il quale contatta le persone che dovranno
seguirci per tutto l'itinerario nel Piccolo Pamir. lo vedo discutere
animatamente con i locali che sono pervenuti. Alla fine una stretta di mano
sembra chiudere l'accordo definitivo. La trattativa si svolge con un rituale
curioso fatto di gesti, di sguardi, di ammiccamenti e poi le mani si riunisco in
un'unica stretta a suggellare il contratto. Un po' come i nostri mediatori di un
tempo. Il capo della polizia che avevamo incontrato ieri è partito stamani molto
presto con tutto il suo seguito. Con molta probabilità compirà il nostro stesso
cammino. La persona che Taschi Bay ci ha assegnato come responsabile dei
portatori mi invita nella sua casa che si trova vicina al nostro alloggio.
Eseguo circa mezz'ora di filmato e scatto parecchie fotografie all'interno. Si
tratta di una famiglia molto numerosa. Non riesco a capire le connessioni di
parentela tra i vari individui. Ci sono molte donne di età diverse e tantissimi
bambini.

L'atmosfera è della massima cordialità e simpatia. Le donne sono
diverse da quelle incontrate nei giorni precedenti. Sono a viso scoperto e non
dimostrano la minima timidezza nei confronti degli stranieri ne della macchina
fotografica. Mi permettono di visitare tutta la casa. La cucina, nera di fumo, è
la stanza dove si svolge la maggior parte della vita domestica. Al centro del
soffitto un largo foro lascia filtrare l'unica luce che illumina il locale e
funge anche da camino. Su un lato della stanza un soppalco in legno serve da
letto. Nel mezzo uno scavo circolare funge da cucina e stufa per riscaldare.
Altre stanze della casa servono da ripostiglio e da ricovero per gli animali.
Sul tetto piano vengono disposte ad essiccare delle ciambelle fatte con sterco
di animale. Serviranno il prossimo inverno come combustibile per il
riscaldamento . Mi offrono quel poco che hanno in segno di ospitalità: pane,
the, yogurt. Sono davanti alla casa dove alloggiamo e sto scrivendo. Provo un
grande senso di pace e tranquillità anche se un po' di nostalgia mi fa sentire
la mancanza delle abitudini domestiche. La valle si perde alla mia destra. Le
donne sono chine sui campi a raccogliere il grano maturo. E' con le ore del
tramonto che il paesaggio assume i suoi colori più intensi. Le montagne si
infiammano. E' l'ora più propizia per la fotografia. Giro per il villaggio e
raccolgo parecchie immagini. La gente è sempre molto disponibile. E' forse la
prima volta che non sono costretto a scattare di nascosto per non essere
soggetto a continue richieste di danaro. Qui succede il contrario. E' necessario
scattare le fotografie di nascosto affinché il soggetto non si metta in posa. In
questa zona il turismo è inesistente.

MARTEDI 10 AGOSTO 2004
Oggi si inizia a camminare presto. Alle 7.00 i cavalli e gli asini sono pronti
per essere caricati. Contrariamente a quanto concordato ci danno più asini e
meno cavalli. I soliti problemi di questi paesi : si pattuisce una cosa e poi
viene cambiata dopo pochi minuti. Alla fine partiamo. Gli asini sono molto
carichi. Abbiamo tre cavalli a disposizione per noi. Preferisco camminare per
buona parte del percorso per accelerare il normale fenomeno dell'aclimatamento
alla quota. Il sentiero si inerpica per pendii scoscesi in un continuo sali
scendi per attraversare le vallate che tagliano il nostro percorso. Molto più in
basso alla nostra destra scorre il fiume Wakan. Valichiamo anche un passo di
4300 mt, il punto più alto del cammino odierno. Alle 17.00 arriviamo in una
piana dove piantiamo le nostre tende.

I portatori ci comunicano che sarà l'unica
volta che utilizzeremo le tende poiché i prossimi giorni saremo ospitati nelle
case dei pastori. Cuciniamo in fretta qualcosa ma essendo a 3.300 mt.
L'esperimento con la pasta risulta infruttuoso . Dopo la cottura si presenta
come una massa bianca e collosa. Decidiamo di sbucciare tutte le mele che
abbiamo comperato al mercato e le cuciniamo in una pentola. Abbiamo scoperto che
stavano marcendo. Finiamo la cena al buio più completo e non appena possibile mi
corico nella mia nuova tenda. Oggi per l'intera giornata ho tenuto il telefono
spento. Ora devo fare i conti con la ricarica delle batterie. A sera, prima di
coricarmi, lo accendo per verificare se c'è qualche messaggio. Ne trovo uno di
Gigi che mi augura buon viaggio. In cielo le stelle sono moltissime e di una
luminosità straordinaria che solo a queste altitudini si può osservare. E' il 10
agosto, la notte di San Lorenzo. Ho visto un paio di stelle cadenti come pure le
sere precedenti. Il panorama anche qui è incantevole: gli spazi, i silenzi, i
colori, la sensazione di libertà che solo in mezzo a tanta natura riesco a
provare.
MERCOLEDI 11 AGOSTO 2004
Stamattina partiamo alle 7.00 ed arriviamo alle 16.00 nel posto fissato per il
pernottamento ( 4180 mt). Siamo arrivati tardi perché i portatori oggi hanno
effettuato due soste un po' troppo lunghe. Abbiamo lasciato la vallata
principale del Wakan ed abbiamo iniziato a salire verso i pascoli alti dei Waki.
Il sentiero segue gli affluenti del Wakan tagliando trasversalmente i ripidi
costoni delle montagne. In fondo alla vallata il fiume scorre sinuoso e rigonfio
di acqua. Siamo costretti ad attraversarlo su di un precario ponte di legno che
collega le due opposte sponde che cadono a precipizio sul fiume. Più in alto, in
prossimità della nostra meta, la vallata si allarga. Sopra di noi crinali sui
5000 mt. ci accompagnano nel cammino con le creste ancora innevate e contornate
da cornici di neve residui delle abbondanti nevicate invernali. Piazziamo le
nostre tende vicino alle dimore dei pastori. Sono veramente gentili ed ospitali.
Ci offrono del pane e nulla vogliono in cambio. Per i prati pascolano liberi
yak, mucche e pecore. Alla sera gli animali vengono raccolti vicino ai ricoveri
dei pastori. Anche qui i cani eseguono diligentemente il loro lavoro di raduno
delle mandrie. Una brezza leggera si alza al tramonto. Siamo ad oltre 4000 mt di
quota e l'aria si fa pungente al calare del sole; le cime innevate sul confine
Pakistano sono le ultime ad essere abbandonate dai suoi raggi. Qui nella valle
l'ombra arriva molto prima. E' bello osservare le cime che brillano all'ultimo
sole. Col tramonto le attività dei pastori volgono al termine, tutti ritornano
alle loro case. Per domani mattina abbiamo l'autorizzazione per fare alcune
fotografie all'interno delle abitazioni ed alle donne che qui vivono.

E' delle
donne, nella comunità Waki, il compito di accudire il bestiame nei pascoli
estivi. Qui oramai è il tramonto. Oggi salendo, quando lo sguardo si perdeva
lontano nella valle e la vista si attardava sulle cime coperte di neve, mentre
osservavo lo scorrere lento del fiume laggiù nella valle, ho sentito un nodo
stringermi la gola. Lontano dalle frenesie del nostro mondo, dalla esasperata
competitività dalla mancanza di sincerità mi sono sentito completamente libero.
Solo questi luoghi riescono a trasmetterti simili intense sensazioni. Sono
sudicio, si mangia male, molto spesso stanco per le fatiche della giornata ,ma
mi sento libero.
GIOVEDI 12 AGOSTO 2004
Questa notte nelle tende si è fatta sentire la rigida temperatura esterna. A
mezzanotte ho avuto anche dei sintomi di disturbi intestinali. Avevo preso
freddo prima di coricarmi. Per precauzione avevo prelevato dal sacco dei
medicinali un disinfettante intestinale. Al mattino tutto è risolto. Come di
consueto, sia la gente del villaggio che i nostri portatori, iniziano a
sistemare le loro cose alle prime luci dell'alba. Qui incomincia ad albeggiare
verso le 4.00. Quando li sento muoversi fuori dalla tenda decido di restare
ancora per un po' nel mio sacco a pelo. La tappa di oggi non è molto impegnativa
e lunga. Si parte alle 8.00 e si cammina con tutta tranquillità. Oggi voglio
anch'io riposarmi ed effettuo tutto il percorso a cavallo. Ne abbiamo a
disposizione uno a testa ma i giorni precedenti avevo preferito camminare. Verso
la metà del percorso ci fermiamo per un paio di ore in un ricovero per pastori.
Ci sono alcune famiglie riunite con uomini, donne e bambini. Si dimostrano
cordiali ed ospitalissimi. Ci offrono pane e the non chiedendo denaro in cambio.
Anche qui sono molto richieste le fotografie senza chiedere soldi. Alle 15.00
arriviamo alla nostra meta. Un villaggio di pastori a 4385 mt di quota.

Sopra di
noi svettano le cime innevate che fanno da corona alla valle che abbiamo
risalito. Siamo venuti da sud in direzione nord. Di fronte a noi abbiamo una
barriera di montagne che domani supereremo. Si intravedono già le morene dei
ghiacciai. La valle è molto bella ed ampia. Siamo accampati sulla destra
orografica leggermente più alti del fondovalle. Laggiù scorre lento il fiume.
Accanto a noi un affluente porta le sue acque al corso principale. Scende dalle
montagne alle nostre spalle, verso ovest dove alle 17.00 tramonta il sole. I
versanti di fronte sono ancora illuminati. Lontanissima, sul greto del fiume,
passa una carovana di animali. Va nella direzione da cui noi proveniamo. Col
sole che tramonta si alza una leggera brezza. La temperatura scende rapidamente.
Mentre sto scrivendo ho accanto a me 4 portatori che incuriositi osservano cosa
sto facendo e commentano nella loro lingua. I nostri animali girano liberi
attorno al campo bevendo nelle pozze di acqua e nutrendosi con la fresca erba
che qui cresce in abbondanza. Domani mi hanno detto che ci aspettano 5.00 ore di
marcia. Si dovrebbe trovare ancora un insediamento Waki dove passare la notte.
VENERDI 13 AGOSTO 2004
Partiamo alle 7.00. Il percorso di oggi ci porta ancora a transitare per i
tipici paesaggi del Pamir. Ampie vallate glaciali con fiumi impetuosi nel
fondovalle dove pascolano le mandrie degli animali. I fianchi laterali assumono
talvolta l'aspetto dolomitico con colori chiari e rossastri che si infiammano
maggiormente nelle ore del tramonto. Altre volte scendono invece con ghiaioni
scuri col tipico colore della roccia vulcanica. Ci alziamo di quota. Valichiamo
un passo di 4800 mt. Non sono ancora completamente acclimatato ed il camminare
mi provoca un forte affanno nella respirazione. Decido di usare il cavallo che
ho a disposizione. Le cime che incombono su di noi ( 6000/7000 mt) ora
incominciano ad essere incappucciate di neve e dai pendii scendono abbondanti
colate di ghiaccio. E' verso le 16.00 che arriviamo in vista della nostra meta
giornaliera. E' un gruppo di ricoveri per pastori. Come al solito sono molto
gentili e ci mettono a disposizione una tenda dove passeremo i prossimi due
giorni.
Decidiamo di fermarci qui un paio di giorni sia per raccogliere del
materiale sugli usi e costumi essendo questo uno dei più grossi insediamenti dei Waki in montagna, sia anche per recuperare un po' di forze. Appena arrivati ci
mettono a disposizione la tenda per gli ospiti e ci offrono subito del the con
pane. Stasera saremo ospiti anche a cena.
SABATO 14 AGOSTO 2004
Ho dormito bene all'interno della yurta. E' una struttura povera ma
confortevole. Si dorme per terra sui tappeti. Non si sente il vento che soffia
all'esterno al riparo delle spesse pareti di feltro che avvolgono la struttura
portante di legno e che servono sia come isolante termico che acustico. Passiamo
tutta la giornata a fare riprese e a scattare fotografie dell'insediamento. Mi
soffermo a lungo all'interno delle abitazioni. Il fumo è densissimo e la
visibilità scarsa. Mi piace osservare questa gente mentre assolve le pratiche
quotidiane. La cura degli animali occupa buona parte della giornata. I greggi
escono al mattino presto e rientrano alla sera. E' a quest'ora che viene
effettuata la mungitura. Determinanti in questa operazione sono le donne. Sembra
che anche qui, come in tante altre comunità' debbano sostenere gli oneri
maggiori nella cura della famiglia e nel governare gli animali. Durante la
giornata lavorano il latte munto il giorno precedente. Preparano il formaggio
che viene messo ad asciugare sui tetti delle case. Altro compito delle donne è
di accudire i bambini che si portano sempre appresso. All'interno delle scure e
fumose dimore si svolge buona parte del lavoro domestico: la preparazione del
formaggio, la bollitura del latte. I bimbi passano con le madri buona parte del
tempo all'interno di questi locali. Mentre eseguivo delle riprese nella
semioscurità ho sentito un gemito provenire da un cumulo di stracci. Sotto c'era
un neonato. Certamente si portano appresso fin da piccoli dei grossi problemi
respiratori vivendo in questi ambienti fumosi. Inoltre la loro alimentazione e
povera e molto spesso accusano grosse carenze vitaminiche. Non si nutrono mai di
frutta e verdura non essendo disponibile a queste quote. La carne stessa viene
utilizzata pochissimo nei loro pasti. Gli animali sono utilizzati
prevalentemente come merce di scambio. Riprendo quanto mi è possibile anche in
condizioni precarie di luce. Loro, sia le donne che gli uomini, sono sempre
molto disponibili e cordiali. Nel tardo pomeriggio, quando rientrano le mandrie
dal pascolo, assisto alla mungitura prima delle pecore e capre e poi degli yak.
Alla sera ceniamo a base di carne. Abbiamo acquistato per 2000 Afgani una capra
che ci è stata cucinata per la cena.

DOMENICA 15 AGOSTO 2004
Avevamo previsto di passare anche questa giornata presso questo insediamento e
di partire domani mattina. Su consiglio della nostra guida decidiamo di partire
oggi e di percorre circa due ore di strada portandoci così più avanti sulla
tappa di domani che dovrebbe farci arrivare nella zona degli insediamenti
Kirghisi. Siamo a 4480 mt. di altezza e la quota si fa ancora sentire. I
movimenti sono lenti ed ogni lavoro costa fatica. Va' comunque meglio dei giorni
precedenti. E' piacevole oziare fuori della nostra yurta. Osservare la valle
laggiù che si distende in lontananza. Sopra alla mia testa incombe un
meraviglioso ghiacciaio dal quale esce un flusso continuo di acque che alimenta
il torrente che scorre vicino al villaggio. I resti di antiche morene indicano
quanto più estesa fosse un tempo la colata glaciale. Le stesse ampie vallate che
abbiamo percorso sono ciò che rimane degli immensi bacini glaciali che qui
esistevano migliaia di anni fa. Oggi è ferragosto in Italia. Qui è un giorno
come gli altri. Ho perso la cognizione del tempo. Unica scadenza il 1° settembre
un appuntamento con l'autista che in tre giorni di viaggio dovrà riportarci a
Faizabad per riprendere l'aereo per Kabul. Qui il tempo scorre lento regolato
più dalla natura che dall'orologio. Sono i ritmi ciclici del giorno, della notte
e delle stagioni che regolano la vita di questa gente. Tra circa 40/50 giorni le
giornate si accorceranno, la temperatura diventerà molto rigida. E' l'ora di
scendere a valle. Quassù la vita diventa impossibile. Le temperature scendono di
parecchio sotto lo zero rimanendovi per alcuni mesi. Per gli animali diventa
impossibile il pascolo. Ci spostiamo verso un altro insediamento per spezzare la
tappa di domani che risulterebbe eccessivamente lunga. Camminiamo per circa due
ore. Anche qui ci accolgono con la consueta ospitalità. Dormiamo in una yurta
allestita per gli ospiti.

All'orizzonte si vedono delle maestose cime innevate.
Sono nella direzione del Pakistan. Enormi ghiacciai scendono dalle vette. La
guida mi informa che passeremo in quella direzione tra tre giorni, sulla via del
ritorno. La dimora dove passiamo la notte è più confortevole della precedente.
Al centro fa bella mostra una stufa a legna con un tubo che esce dalla sommità
della yurta. I nostri ospiti si offrono di accendere il fuoco per la notte.
Preferiamo rimanere senza il tepore della stufa. I nostri sacchi a pelo ci
offrono già il calore necessario per la notte. Vogliamo evitare la possibilità
di passare una notte immersi nel fumo come succede nelle abitazioni dei pastori.
Entrando in quelle stanze scure per fare delle fotografie ho già sperimentato il
fumo che ti assale la gola e ti brucia gli occhi.
LUNEDI 16 AGOSTO 2004
Partiamo verso le 7.30 del mattino. Saliamo per un breve tratto che ci porta a
5.000 mt di quota. Ancora ghiacciai e cime innevate ci accompagnano nel
percorso. Per la prima volta sulla sommità del passo transitiamo in prossimità
di un laghetto verde smeraldo alimentato dalle nevi delle vette circostanti. Da
qui si incomincia a scendere. Siamo sullo spartiacque. Da questo punto le acque
vengono convogliate verso la vallata del Wakan ed il suo fiume omonimo. Non
appena si inizia a scendere nel nuovo versante la valle incomincia ad aprirsi.
Preludio agli immensi spazi di cui l'occhio potrà godere non appena la vallata
si aprirà maggiormente. Ecco di fronte a noi l'immenso paesaggio alla confluenza
delle valli che scendono dalla Cina e dai laghi di Chaqmaqtin. Assieme si
uniscono a formare il comune percorso del fiume Wakan che seguiremo i prossimi
giorni sulla via del ritorno. Piantiamo la tenda presso le postazioni oramai in
disuso di una vecchia base militare Russa qui insediata ancora ai tempi del
governo di Najibullah in località Buzi Gunbad. Veniva rifornita attraverso i
valichi del vicino Tagikistan. Ora tutto si trova nel più completo stato di
abbandono. Oltre a questo insediamento deserto non c'è traccia di altri esseri
umani. Oggi per la prima volta abbiamo incrociato un ragazzo kirghiso che col
suo yak era alla ricerca di sterco animale da utilizzare come combustibile. E'
in queste zone che dovremo incontrare i pastori Kirghisi, già forse domani
dirigendoci verso i laghi di Chaqmaqtin.
MARTEDI 17 AGOSTO 2004
Partiamo di prima mattina. Prima di prendere la direzione della nostra meta, una
deviazione di pochi minuti nelle vicinanze della base militare, ci porta a
visitare quello che rimane di un vecchio cimitero. Le tombe sono state tutte
devastate, con molta probabilità ancora dai militari che stavano nella base. Il
luogo è molto suggestivo, sia per la posizione in cui si trova che per il
fascino che emanano questi ruderi. Doveva un tempo essere un luogo molto sacro.
I resti di alcune tombe evidenziano una particolare cura nella costruzione,
segno evidente che dovevano essere sepolti dei personaggi illustri. In circa 6
ore di cammino arriviamo alla nostra meta: il primo insediamento kirghiso.
Durante il percorso facciamo la solita sosta per il pranzo e per far riposare
gli animali. Solamente alla partenza mi accorgo casualmente che ad una trentina
di metri da noi c'è una bellissima sorgente termale di acqua calda nella quale i
nostri portatori avevano a turno fatto il bagno senza avvisarci di tale
possibilità. Mi dispiace di aver perso tale occasione. Mi sento sufficientemente
sporco e quindi disponibile per un bel bagno. Arriviamo all'accampamento
kirghiso dove ci accolgono con la solita ospitalità. I pastori abitano in yurte
mentre noi siamo ospitati in una costruzione in muratura. Ci vivono circa 50
persone. Anche qui si ha la chiara sensazione che siano le donne a svolgere la
maggior parte dei lavori mentre gli uomini si perdono in interminabili
discussioni ed inutili ozi. Siamo ricevuti nella tenda del capo. Mentre lui e
gli altri uomini della famiglia si intrattengono con noi a conversare, una donna
sfaccenda all'interno della tenda senza mai alzare gli occhi dal suo lavoro.
Alla sera ci viene offerta una cena a base di carne di yak. Poi stanchi, nella
stessa stanza, stendiamo i tappeti sui quali passeremo la notte. Pur essendoci
alzati di quota non fa freddo ed il ricovero è ben riparato.

MERCOLEDI 18 AGOSTO 2004
Si passa il tempo oziando tra le yurte. E' una giornata di riposo che si
trascorre scattando foto e facendo interviste ai locali. Il cielo rimane coperto
per tutta la giornata e soffia un vento piuttosto freddo. Si è diffusa la voce
che ho dei medicinali e tutti vengo per farsi medicare e curare. Mi sento un
medico. Eseguo terapie solamente nei casi in cui non ho il minimo dubbio oppure
applico medicazioni esterne. Non somministro nessun tipo di antibiotico.
Passiamo lunghe ore in conversazione col capo e mentre gli uomini si dedicano a
tale attività con noi le donne procedono nelle loro molteplici incombenze: dalla
lavorazione del latte, alle cure dei bambini, alla preparazione dei pasti, al
confezionamento dei vestiti. La tenda del capo è la più grande e la più ricca di
suppellettili all'interno. Un focolare centrale provvede a mitigare la
temperatura del locale. Sulle pareti fanno bella mostra molti rotoli di tappeti
che appoggiano su tutta una serie di valigie metalliche. Un orologio in plastica
scandisce le ore ed ogni volta tutti i presenti controllano con quello al polso.
Da una piccola culla ricoperta da uno spesso telo colorato esce il gemito di un
piccolo nato da pochi mesi.
E' già stato sottoposto alle mie cure ieri per una
piccola ferita al glutei. E' un via vai di persone, prevalentemente uomini, che
incuriositi vengono a vedere gli stranieri. Siamo la novità del momento. In
questo ultimo anno non è passato nessun forestiero. Alla sera ci richiudiamo
abbastanza presto nel nostro ricovero poiché la temperatura cala rapidamente. Ci
accendono anche una rudimentale stufa in ghisa per riscaldare un po' l'ambiente.
Si cena come al solito a base di riso.
GIOVEDI' 19 AGOSTO 2004
Oggi sostiamo al villaggio kirghiso e spendiamo la giornata per visitare i
vicini campi dove ci sono altri gruppi. Partiamo di prima mattina. Subito fuori
dal villaggio, nell'attraversamento di un guado, vengo letteralmente
disarcionato dal mio cavallo. La mia prima preoccupazione è stata di sfilare i
piedi dalle staffe. Cadendo picchio con la schiena su di un sasso. Mi alzo
dolorante e per un po' preferisco non cavalcare. Procedo a piedi. Dedichiamo la
giornata alla visita dell'insediamento e poi rientriamo costeggiando il lago di
Chaqmaqtin. Alla sera il solito menu a base di riso. Abbiamo anche due ospiti
afgani che sono saliti in queste zone per promuovere la prossima campagna
elettorale a favore del candidato Karzai. Come al solito si cena alle 20.00. Una
grande tovaglia sudicia serve per posare i viveri. Unica variante per noi
occidentali alcuni cucchiai che servono per attingere il riso dall'unico piatto.
Per tutti gli altri niente posate ed il cibo viene portato alla bocca con le
mani. Alle 22.00 si spegne la lanterna e buona notte.

VENERDI' 20 AGOSTO 2004
Faceva freddo ieri notte. Siamo stati costretti ad accendere la minuscola stufa
per riscaldare la piccola stanza dormitorio. Con sorpresa , al risveglio ,
notiamo le cime sopra di noi ricoperte di un manto bianco di neve fresca.
Partiamo alle 7.00. il cammino di oggi è abbastanza impegnativo poiché abbiamo
deciso di non pernottare alla vecchia base militare russa di Busay Combad ma di
proseguire fino ai pascoli di Baykarà . Abbiamo circa sette ore di cammino da
compiere. Siamo costretti a guadare parecchie volte i vari torrenti che
incontriamo ed anche il corso principale del Pamir che scende dalla vallata che
porta in Cina. Operazione laboriosa che richiede parecchio tempo. Si devono
infatti trasbordare tutti i carichi sui cavalli, anche quelli degli asini. Il
fiume in questo tratto e profondo ed impetuoso. I piccoli asini non sarebbero
riusciti ad attraversarlo senza danni col carico. Costeggiamo il fiume sulla
sinistra orografica per raggiungere la nostra meta. Ci alziamo di parecchio dal
suo corso . Attraversiamo paesaggi incantevoli con formazioni geologiche molto
interessanti. In alcune zone il paesaggio è molto simile alla valle della Luna
di La Paz in Bolivia. La nostra meta, Baykarà, si trova in un piacevole posto
adagiato ai piedi di un ghiacciaio che alimenta il ruscello che con le sue acque
poi si getta nel corso principale del Pamir. Un'ampia distesa di pascoli si
adagia ai lati del torrente dove sono situate le abitazioni e dove pascolano i
molti capi di bestiame.
SABATO/DOMENICA 21/22 AGOSTO 2004
Facciamo due giorni di sosta in questo luogo, zona di pascolo riservata agli
armenti di Taschi Bay. Il sabato andiamo a visitare un campo kirghiso a circa
un'ora di distanza. Rientriamo nel tardo pomeriggio costeggiando il lago di
Chaqmaqtin. Da questo lago nasce uno dei maggiori affluenti del fiume Wakan e si
unisce ad esso, per formare un unico corso, in prossimità della località di
Busay Combad. La vallata è ampia ed a nord fanno da corona le cime del piccolo
Pamir. Ad est si snodano i dolci pendii che portano al passo di Jaman che
conduce in Tagikistan. La giornata è nuvolosa e la temperatura è rigida.
Correnti di vento settentrionali addensano grandi nuvole sulle cime ricoperte di
neve. Sono le prime avvisaglie di una perturbazione che il giorno seguente
imbiancherà le montagne fino a quote relativamente basse. Attorno al lago i
ciuffi d'erba sono punteggiati dal bianco dei depositi salini. Le rive
pianeggianti ci permettono di arrivare nelle vicinanze dell'acqua. Senza
ostacoli il vento freddo che arriva da nord increspa leggermente la superficie
del lago. I cavalli pascolano liberamente mentre i portatori dormono distesi
sull'erba. La temperatura si abbassa ulteriormente quando le nuvole coprono il
sole. Siamo costretti ad un rapido rientro. Alla sera solita cena a base di riso
nella nostra yurta. Durante la notte all'improvviso mi ritorna forte il dolore
alla schiena nel punto in cui avevo colpito il sasso al momento della caduta. Mi
ero già dimenticato del colpo ricevuto. Non mi sento molto bene. I dolori sono
forti. Ogni movimento mi causa delle fitte dolorosissime. Forse ha una costola
incrinata !!!!!! Cerco di passare la notte nel modo migliore anche perché domani
mi aspetta una marcia di 4 ore. Siamo sulla via del ritorno. Mancano 3 tre notti
per arrivare al paese di Boroghil
LUNEDI 23 AGOSTO 2004
Trasferimento da Baykarà a Orumitel 7 ore di cammino. Facciamo a ritroso la
stessa strada fino a Busay Combad dove attraversiamo il fiume Wakhan su un
instabile ponte di legno costruito dai kirghisi in prossimità della vecchia base
militare russa. Qui il fiume rinforzato dal suo affluente che arriva dai laghi
di Chaqmaqtin si incunea tra due ripide pareti rocciose e scorre impetuoso pochi
metri al di sotto del ponte. Le assi che formano la pavimentazione poggiano su
due vecchie ed instabili traversine di ferro. Gli animali, dopo essere stati
scaricati dai loro carichi, lo attraversano timorosi. Un asino si rifiuta di
passarvi sopra ed i portatori devono faticare parecchio per persuaderlo.
Raggiungiamo la nostra meta verso le 16.00 e ci accorgiamo di essere di fronte
al luogo dove abbiamo pernottato le sere scorse sul versante opposto della
valle, alla destra orografica del fiume Wakhan. Piantiamo le tende nella zona
dove le erosioni delle piogge hanno trasformato il paesaggio rendendolo simile
alla valle della Luna di La Paz in Bolivia. Pinnacoli policromi fanno da corona
al nostro accampamento. Il giallo intenso ed il marrone scuro delle argille si
accendono alle luci del tramonto. In lontananza, sull'altro versante della
valle, si scorgono gli hailog dove abbiamo passato i giorni precedenti. Durante
il trasferimento ho avuto alcune difficoltà per il dolore causato dal colpo
ricevuto durante la caduta da cavallo. I portatori sono stati molto solerti
nell'aiutarmi mentre salivo o scendevo dalla mia cavalcatura. Ciononostante mi
sembra che stia migliorando. Speriamo perché vorrei camminare un po' i prossimi
giorni.
MARTEDI 24 AGOSTO 2004
Partiamo alle ore 7.30 per un'altra tappa di trasferimento. A quanto ci ha detto
la guida ci aspettano circa 7 ore di cammino. Arriviamo dopo Langar alle 16.00 e
piantiamo il campo in riva all'ennesimo affluente del fiume Pamir. il percorso
si presenta vario attraversando ampie pianure e vallate che costeggiano la
destra orografica del Pamir. per buona parte della mattinata abbiamo sempre
sulla nostra sinistra i pascoli di Baykarà. E pensare che in linea d'aria siamo
vicinissimi mentre noi abbiamo dovuto compiere, per attraversare il fiume, un
giro che ci ha impegnato per quasi due giorni. Il percorso di oggi, nella parte
finale, segue il fiume sulla sua destra orografica; ora abbassandosi a livello
della acqua altre volte risalendo le ripide fiancate della valle. Dove piantiamo
la tenda il clima è più mite. Ieri notte la temperatura era scesa sotto lo zero.
La tenda al mattino era ricoperta di ghiaccio. Stasera il campo viene piazzato
vicino ad un ricovero per pastori. Qualcuno che ci ha preceduto ha lasciato
acceso il fuoco ed un fumo acre invade ancora la zona. Non appena incomincia a
far buio mi chiudo in tenda. Anche questa sera avrò ospite il capo dei portatori
che da alcune sere passa la notte nella mia tenda trovandola più comoda che non
dormire all'addiaccio. Oramai è diventata un'abitudine. Con la giustificazione
che mi presta le coperte per farmi lo schienale per la notte, cosa che mi
allevia il dolore alla schiena, viene dormire all'interno della tenda. Tutti i
ragazzi stasera mi sembrano più in fermento del solito. Probabilmente sentono
l'avvicinarsi della casa. Stanno suonando con i rudimentali strumenti in loro
possesso come hanno fatto tante altre sere. Oggi però mi sembra diverso. C'è una
maggior aria di festa. Anche per loro forse c'è un po' di nostalgia. Sono poco
lontano dalla tenda in cui mi sono rintanato. Il vento è calato quando finiscono
la festa. Sento solo il rumore del torrente vicino. Mi sento bene rinchiuso
nella mia tenda, come protetto. La schiena incomincia a darmi meno fastidio.
Oggi ho camminato per parecchie ore. Lo stesso spero di poter fare domani.
MERCOLEDI 25 AGOSTO 2004
Questa mattina si parte presto , si prospetta una lunga tappa di circa 7 ore. Si
percorre tutta la vallata del fiume Wakhan mantenendoci sempre alla sua destra
orografica. Il sentiero taglia i ripidi versanti della valle fluviale. Un paio
di volte si abbassa a livello del fiume dove sono state costruite delle
passerelle artificiali per facilitare il cammino tra la parete rocciosa e
l'acqua tumultuosa.

Nel tardo pomeriggio il paesaggio si fa famigliare.
Riprendiamo infatti il percorso compiuto il primo giorno quando siamo partiti.
Alla sera ci accampiamo per l'ultima volta in riva ad un affluente del Wakhan,
dove eravamo transitati il primo giorno. Il posto non è perfettamente
pianeggiante e le tende vengono piantate sul terreno leggermente inclinato. Per
tutta la notte abbiamo dovuto contrastare la forza di gravità che ci faceva
scivolare verso il basso.
GIOVEDI 26 AGOSTO 2004
Ultima tappa. C'è euforia nel gruppo dei portatori. Sentono la vicinanza di
casa. La nottata è passata in modo burrascoso. Verso le 23.00 vengo svegliato
dal caratteristico rumore della pioggia che batte sul telo della tenda. Piove
ininterrottamente e piuttosto forte fino alle 24.30. I poveri portatori che
dormono all'addiaccio si inzuppano completamente. Al mattino si alzano alle
prime ore dell'alba. Le cime circostanti sono imbiancate di neve fresca caduta
durante la notte. I portatori si riscaldano al fuoco e cercano di asciugare i
panni inzuppati. Si parte presto alle 7.00. dobbiamo compiere circa 6 ore di
strada. Il cammino di oggi ripercorre a ritroso la prima tappa dell'andata.
Continui sali scendi ci obbligano a fare circa 1800 mt di dislivello. Tra pendii
scoscesi, erte salite, ripide discese si arriva all'ultima vallata che si apre
sul panorama della vallata di Boroghil. Una ripida discesa fino alle case del
villaggio e poi il riposo nella casa di Tachi Bay.
VENERDI 27 - MARTEDI' 31 AGOSTO 2004
Giornate di sosta a Sarhad de Wakan alloggiando presso la casa per gli ospiti di
Tashi Bay. Le giornate passano tra riprese fotografiche ed interviste, in
particolare modo il primo giorno. Entriamo in tutte le case più caratteristiche
del paese per documentare gli usi ed i costumi delle popolazioni.
Il sabato
veniamo a conoscenza dell'esistenza in paese di una specie di bagno pubblico
ricavato deviando l'acqua di una sorgente termale. Finalmente riusciamo a fare
un bagno caldo dopo circa un mese. Passiamo buona parte della mattinata a
goderci questa inaspettata delizia. Il bagno è ricavato in una specie di fossa
quadrata di circa due metri di lato dove un tubo convoglia l'acqua calda della
sorgente. Attorno quattro pareti di paglia pressata ed argilla celano a sguardi
indiscreti il luogo. La luce arriva da una foro ricavato nel soffitto di legno.
Un acre odore di zolfo si diffonde in tutta la zona. Per due mattine visitiamo
la scuola del paese eseguendo delle riprese all'interno delle aule durante le
lezioni.

Gli insegnanti si dimostrano molto disponibili e ci fanno accomodare
durante le lezioni. La tanto temuta dissenteria arriva implacabile quando per il
secondo giorno ci portano le porzioni della capra che avevamo acquistato. Nella
notte io e Gianni abbiamo lo stomaco e l'intestino sconvolti. I segni del nostro
malessere restano visibili per alcuni giorni attorno al nostro alloggio non
essendoci servizi igienici in loco. I giorni , dopo il tanto agognato riposo,
passano sonnolenti nell'attesa dell'auto che dovrebbe riportarci a Faizabad. Il
piccolo paese che ci ospita è adagiato nei dolci pendii sulla destra orografica
del Wakan. Il fiume scompare col suo ampio greto in una immensa pietraia verso
Ovest. In questo punto il suo letto è molto largo. Si perde laggiù da dove
arriva anche la strada che ripercorreremo al nostro ritorno. Verso Sud la valle
conduce al passo Boroghil che in tre ore porta in Pakistan. Sul valico incombono
le ghiacciate pareti nord del Karakorum Pakistano con gli imponenti seracchi
pensili. Si riesce a scorgere, disegnata sui versanti della montagna, la traccia
della strada che porta verso il Boroghil. Ad est una cima a forma conica, quasi
fosse di origine vulcanica, divide due vallate. Quella di sinistra, più stretta
e scoscesa, l'abbiamo percorsa per salire sul Piccolo Pamir mentre nell'altra il
fiume Wakan si e scavato il letto con il suo corso impetuoso. In questa zona
esso si allarga per distendersi più placido nella vallata su cui si affaccia il
paese. A sud le ultime propaggini del Grande Pamir chiudono la vallata. Sono
cime di circa 5000 mt. ma prive di neve. Il forte sole estivo non permette su
questi versanti meridionali depositi di neve o la formazione di ghiacciai. Il
paese dissemina le sue piccole case negli ampi pendii tra il greto del fiume ed
i versanti meridionali. Le case sono sparse. Non esiste un nucleo compatto del
paese. Tra di esse distese di orti coltivati a grano disegnano con i loro
contorni irregolari forme geometriche a definire i limiti di proprietà.
MERCOLEDI 01 SETTEMBRE 2004
Oggi doveva arrivare il nostro autista. Avevamo concordato per il primo del mese
l'appuntamento. Cerchiamo di metterci in contatto con Faizabad per avere
notizie. Non riusciamo a comunicare con nessuna persona dell' AKDN. Erano stati
loro a trovare all'andata l'autista che ci aveva condotto fino a Sarhad de
Wakan. Con un telefono locale che forse risale ai tempi di Meucci facciamo dei
tentativi per collegarci con Quala Panjia per avere notizie se è transitata la
vettura col nostro autista. Nessuna novità confortante. Decidiamo allora di
allertare Fabrizio Falcone per trovare un'alternativa. Dopo varie telefonate
decidiamo in accordo con Fabrizio, di far partire un'altra vettura a Faizabad.
Attraverso le sue conoscenze ci comunica che la partenza sarà immediata, nelle
prime ore per pomeriggio. Lo prego inoltre di avvisare l'autista di acquistare
anche dei viveri al mercato poiché abbiamo esaurito le nostre scorte. Da alcuni
giorni i nostri pasti sono solo a base di pane riso e the. In serata Fabrizio mi
richiama al telefono per avvisarmi che il mezzo con i viveri è regolarmente
partito e che impiegherà circa 18 ore per il viaggio. Dovrebbe arrivare domani
in serata o nella mattinata di venerdì.
GIOVEDI 02 SETTEMBRE 2004
Oggi sarà una giornata di attesa: non siamo certi che arrivi l'autista con la
vettura da Faizabad. Al mattino una novità: le cime sopra di noi sono imbiancate
di neve fresca caduta durante la notte. Il limite della neve si trova solamente
alcune centinai di metri al di sopra del paese. Il paesaggio si presenta nel suo
abito invernale. Oggi dobbiamo solo attendere. Per ingannare la noia al mattino
mi dirigo verso la scuola per fare una passeggiata. Mentre mi sto avvicinando
noto una vettura appena giunta . Un tuffo al cuore: possibile che sia già
arrivato il nostro mezzo? Mi dirigo di corsa verso l'autista e come prevedevo mi
conferma che non sono venuti per noi. Si tratta di una vettura
dell'organizzazione umanitaria Focus che sta facendo una indagine in zona.
Dobbiamo purtroppo aspettare ancora. Nel pomeriggio mi arriva al satellitare una
chiamata da Quala Panjia da parte dell'autista che mi avvisa che sarà da noi in
serata ( verso le 19.00). aspettiamo invano alla sera notizie della macchina.
Più volte scrutiamo verso Ovest nella vallata sperando di vedere qualche fanale
di auto arrivare in lontananza. Dal telefono fisso del paese che si collega con
Quala Panjia ci arriva la notizia che la macchina è ferma per un guasto
meccanico. Sfortuna ancora una volta. Anche stasera ceneremo a base del solito
riso. Passiamo ancora una notte sognando pasti abbondanti e vari: il cuoco di
Kabul !!!!
VENERDI 03 SETTEMBRE 2004
Al mattino presto abbiamo, dal solito e provvidenziale telefono, la buona
notizia che la macchina è partita da Quala Panjia e che sarà da noi in
mattinata. Passeggiamo per la vallata per ingannare il tempo. Andiamo a far
visita a casa di uno dei portatori. Stiamo entrando nell'abitazione quando
sentiamo il rumore di un motore che si avvicina a velocità sostenuta. Sembra un
miraggio ma si tratta proprio di una vettura: molto probabilmente la
nostra!!!!!!. Corro rapidamente dalla collina in cui mi trovo per incontrare la
macchina. Riesco a fermarla gesticolando ed attirando l'attenzione dell'autista
gridando con tutto il fiato che mi rimane. Chiedo se sono venuti per prenderci.
Dopo un momento di esitazione per la difficoltà linguistica, non parlano bene
l'inglese, riesco a capire che sono venuti per noi. Con l'aiuto dei nostri
portatori trasbordiamo i bagagli dalla casa dove abbiamo passato questi lunghi
giorni di attesa fino al punto in cui la macchina ha dovuto fermarsi per
l'impraticabilità della strada. Carichiamo rapidamente i bagagli che già avevamo
preparato. Questa volta si parte davvero!!. Ultimi rapidi saluti e poi in
macchina. La meta di questa sera sarà Wakan dove contiamo di arrivare verso le
17.00. Il nostro autista giuda rapido e veloce anche se talvolta in modo anche
spericolato. Una brevissima tappa per salutare il medico inglese ed i notabili
di Quala Panja. Poi via ancora veloci a superare il guado dopo il paese. Poche
esitazioni ed anche se il livello dell'acqua è alto per l'ora tarda del
pomeriggio, non si ferma la nostra corsa. Dormiamo alla sera nel piccolo
ricovero dell'AKDN. Utilizziamo per cena i viveri che ci erano stati portati da
Faizabad. Qui non danno il vitto, solo un povero ricovero per la notte.
SABATO 04 SETTEMBRE 2004
Partiamo alle 6.00 del mattino. La meta è Faizabad. L'autista anche oggi corre
veloce, talvolta come sempre un po' troppo. Ha fretta di arrivare. Anche noi non
desideriamo altro. Ripercorriamo a ritroso la strada già fatta all'andata.
Facciamo una breve sosta ad Ischascim per il rifornimento di carburante. Nel
tardo pomeriggio ( verso le 17.00) arriviamo a Faizabad. Prendiamo alloggio
presso la sede dell'associazione Norvegese che ha provveduto ad inviarci l'auto.
Finalmente, dopo molti giorni, si mangia decentemente. Non più il solito riso
col pane affumicato e la solita tovaglia puzzolente. Ceniamo assieme ai tecnici
Indiani e Pakistani che lavorano per tale ente. La sede è situata vicino al
comando delle truppe tedesche dell'ISAF. Trascorriamo in questo luogo la nottata
e per la prima volta dopo molto tempo riusciamo a consumare pasti regolari.
Finalmente le tanto agognate patate fritte, del succulento melone, uno
spezzatino squisito di carne con patate. Questa è la nostra prima cena dopo un
mese di dieta Waki.
DOMENICA 05 SETTEMBRE 2004
Giornata tranquilla con visita con visita in mattinata al centro della Croce
Rossa Internazionale. Visitiamo tutti i padiglioni ed eseguo delle riprese
documentando tutta l'attività svolta. Sempre in mattinata passiamo dagli uffici
della Ariana per confermare il volo del rientro.

Ci comunicano che il volo non
sarà effettuato come previsto il giorno 7. Non riusciamo ad avere notizie
precise di quando si possa partire. Ci informano che domani partirà un volo per
Kabul con la Kamair. Ci precipitiamo negli uffici della compagnia aerea per la
prenotazione. Il volo infatti è confermato ma solo domani si saprà l'ora della
partenza. Come previsto i biglietti in nostro possesso della Ariana non sono
validi e dobbiamo acquistarne di nuovi. Speriamo che poi a Kabul ci vengano
rimborsati quelli in nostro possesso.
Nel pomeriggio passiamo alcune ore al
bazar di Faizabad prima di rientrare nel tardo pomeriggio al nostro alloggio per
sistemare i bagagli per la partenza. Qui veniamo a conoscenza che anche un
tecnico della cooperazione Norvegese viaggerà con noi fino a Kabul.
LUNEDI 06 SETTEMBRE 2004
Alzata di buonora per andare alla compagnia e conoscere l'ora di partenza del
volo: ci comunicano alle 9.00. Con la vettura messaci a disposizione della Croce
Rossa andiamo direttamente all'aeroporto che si trova a circa 7 km dalla città.
Quando arriviamo non c'è ancora nessuno. Tra i pochi edifici fatiscenti si
aggirano solo alcuni militari di guardia ed alcuni venditori accovacciati
all'ombra dei muri sbriciolati. Appena ci vedono si affrettano ad esporre la
povera mercanzia in loro possesso: qualche pacchetto di caramelle, alcuni
pacchetti di sigarette e qualche confezione di biscotti piena di polvere.
L'aeroporto si anima con l'arrivo di un elicottero delle nazioni unite che
scarica dei materiali ed alcune persone che partono velocemente con delle
vetture che nel frattempo sono arrivate per riceverle. Si passa poi al grottesco
controllo dei bagagli, la conta degli stessi, una tassa per il sovrappeso che
regolarmente viene intascata dagli addetti. Finalmente arriva il nostro aereo.
Si scaricano velocemente i bagagli a bordo mentre scendono le persone in arrivo
da Kabul. Finalmente si procede all'imbarco. I controlli sono molto
approssimativi. I nostri bagagli a mano non vengono minimamente controllati. Un
vecchio aereo russo è il nostro mezzo di trasporto che in un'ora e venti minuti
ci porterà fino a Kabul. All'arrivo troviamo la macchina prenotata da Fabrizio
che ci porta fino all'albergo. Qui prendiamo contatto con l'Ambasciata Italiana
e con l'ambasciatore che ci fissa un appuntamento per Mercoledì 8 alle ore
12.00.
MARTEDI 07 SETTEMBRE 2004
Giornata di riposo aspettando che arrivi Fabrizio e per organizzare per i
prossimi giorni la nostra partenza per Bamian. Contatto Alberto Cairo per
fissare un incontro sapendo che domani parte per Faizabad. Ci accordiamo per il
giorno 12 Settembre al suo rientro. La giornata passa sistemando le ultime cose
ed oziando in albergo. E' il primo giorno di riposo completo di tutto il
viaggio.
MERCOLEDI 08 SETTEMBRE 2004
Il viaggio oramai volge al termine. Abbiamo ancora alcuni giorni a disposizione
e decidiamo di dedicare un po' di tempo per un'ultima visita della città di
Kabul anche perché i prossimi giorni abbiamo deciso di dedicarli ad una visita
alla valle di Bamian. In mattinata passiamo all'Ambasciata Italiana per un
incontro con L'Ambasciatore Giorgi il quale ha manifestato il desiderio di
incontrarci per avere un resoconto del nostro viaggio. Passiamo buona parte
della mattinata presso l'ambasciata ed in piacevole conversazione
con l'Ambasciatore che si dimostra molto interessato al progetto promosso
dall'Università di Venezia per un interscambio culturale tra l'Italia e le
Università locali. Egli dimostra una grande conoscenza delle problematiche
locali ed un particolare interesse allo sviluppo di più costruttivi rapporti tra
l'Afganistan e l'Italia. Ci racconta delle difficoltà incontrate nella
riapertura della sede diplomatica in quanto l'Italia è stato il primo paese ad
aprire l'Ambasciata dopo la sconfitta del regime dei Talebani. Ci comunica
inoltre che il suo mandato finirà a Dicembre e poi rientrerà in Italia.
GIOVEDI 09 SETTEMBRE 2004
Oggi abbiamo deciso di partire per Bamian. In mattinata non abbiamo ancora
notizie precise sull'auto che dovrà condurci in questo nuovo tragitto. La ore
passano tra interminabili trattative per trovare un mezzo. Le conferme seguono
alle smentite. Quando sembra che tutto sia pronto e che si possa partire arriva
la notizia che il mezzo non c'è oppure che non si trova un autista disponibile.
Finalmente alle 14,00 riusciamo a metterci in moto. Il tragitto è lungo, chi
parla di 6 e chi di 8 ore di percorso. Non abbiamo trovato un fuori strada e
siamo stati costretti ad optare per una Toyota Corolla. L'autista sostiene di
avere già fatto il percorso e che non ci sono problemi anche se non disponiamo
di un fuori strada. Ci dirigiamo velocemente per la strada asfaltata che, con
direzione Nord va verso la valle del Panschir. L'unico ostacolo al nostro
cammino in questo percorso sono i molti camion che rallentano la nostra marcia.
Dopo circa un'ora giriamo a sinistra per una strada che con direzione ovest si
inoltra per la valle che porta a Bamian. Qui finisce il manto di asfalto e siamo
costretti immediatamente a diminuire la nostra velocità. L'auto inoltre
incomincia subito a dimostrare la sua inadeguatezza a percorre strade non
asfaltate. Strani rumori incominciano a farsi sentire. A ciò si aggiunga la
spericolatezza nella guida del nostro autista. Più volte sono costretto a
richiamarlo per moderare la velocità e anche per tutelare della nostra
incolumità. Ogni volta che viene ripreso l'autista rallenta temporaneamente la
sua corsa per poi aumentarla gradualmente dopo pochi minuti. Questo
comportamento porta inevitabilmente al primo di una lunga serie di incidenti e
danni alla macchina. All'uscita di una curva, a velocità come al solito
sostenuta, non riusciamo ad evitare una serie di sassi appuntiti che coprono la
strada: foratura contemporanea di due ruote !!!!!!!! Siamo a circa 40 km da
Bamian e la sera incomincia a calare sulla valle. Unica persona un motociclista
che passa in quel momento e ci dice che non esistono officine in zona. Il nostro
autista cambia la ruota di scorta e poi decide di continuare con una ruota
forata. Come si può immaginare la parte in gomma sulla strada non asfaltata dura
ben poco. Dopo alcuni minuti infatti perdiamo il pneumatico ad incominciamo a
viaggiare col cerchio metallico. Il rumore all'interno dell'abitacolo è
assordante e non si riesce neppure a parlare. Unico aspetto positivo in questa
vicenda è che ora il nostro autista è costretto a viaggiare a velocità moderata.
Mente procediamo lentamente, sempre nuovi rumori si aggiungono a quelli oramai
famigliari dello sferragliare delle ruote. Arriviamo alle 11.30 alle porte di Bamian. Il paese a quell'ora è completamente deserto. Raggiungiamo l'unico
albergo del paese e prediamo possesso della nostra unica camera mentre l'autista
si incarica di cercare un'officina per l'indomani mattina presto che possa
effettuare una riparazione veloce in quanto sarebbe nostra intenzione di andare
domani ai laghi di Band e Amir.
VENERDI 10 SETTEMBRE 2004
Solo alle 10.00 del mattino il nostro autista rientra all'albergo dopo aver
riparato le gomme ed il cerchio danneggiato dal lungo percorso compiuto la sera
precedente con la gomma forata. Abbiamo una piccola discussione in quanto non
sembra intenzionato a partire ed inventa strane motivazioni. Sostiene che la
strada da percorrere richiede 12.00 ore e che quindi è tardi per incamminarsi.
In realtà sappiamo che il percorso è ben più corto 2/3 ore e perciò insistiamo
per partire. Probabilmente si è reso conto che la sua vettura non è adatta al
percorso da compiere. Malgrado ciò noi non siamo disposti a rinunciare alla
visita ai laghi di Band e Amir. Finalmente riusciamo a convincerlo e si parte.
Nel primo tratto la strada corre lungo la valle del fiume che bagna Bamian
attraversando zone coltivate a frumento e paesi abitati da popolazioni di etnia
Azarà. Le colture si sviluppano ai lati del fiume dove si adagiano i sonnolenti
villaggi. I versanti delle montagne sono brulli e solcati da profonde rugosità
generate dalle poche precipitazioni che caratterizzano il clima secco di questa
zona. Più procediamo più il paesaggio si fa arido e deserto. La vegetazione
scompare ed i villaggi si fanno sempre meno frequenti. Sulle riarse montagne si
scorgono solo solitari pastori con i loro greggi alla ricerca della poca erba.
Qua e là lungo la strada si notano i resti delle recenti battaglie sostenute dai
Talebani durante la loro ritirata di fronte alle truppe Tagiche ed Americane.
Dai vecchi mezzi militari abbandonati gli abitanti locali hanno asportato quanto
era possibile. Le vecchie carcasse arrugginite e ricoperte da erbacce ora
servono da terreno di gioco per i bimbi locali quasi a voler esorcizzare il
ricordo del recente e lungo conflitto. Il fondo stradale della pista non è certo
dei migliori e la solita guida sostenuta del nostro autista è la causa
dell'ennesima foratura. Inoltre non conoscendo bene la zona ci conduce per una
direzione sbagliata per circa un'ora. Fortunatamente una vettura dell'AKDN che
incrociamo lungo il nostro cammino ci indica la direzione esatta. Ritorniamo sul
percorso fatto per ricercare la giusta via che conduce ai laghi dove arriviamo
dopo circa un'ora. La strada che porta alla valle di Band e Amir discende ripida
e accidentata fino all'imbocco della gola da cui esce il fiume emissario dei
laghi. Qui si apre un paesaggio incantato. Ripidi contrafforti rocciosi ed
ardite guglie delimitano la valle. Il colore ocra dei versanti, generato dai
contenuti ferrosi della roccia, si fonde col verde fresco della vegetazione che
cresce attorno alle cristalline acque che pigramente escono dai laghi turchesi.
Uno dei posti più affascinanti dell'Afganistan. Per una serie di fortunate
coincidenze geologiche il paesaggio si è modellato con forme e colori che
incantano il visitatore. Il posto è frequentato dai pochi locali che possono
permettersi una gita durante la giornata di festa del Venerdì. Alcune piccole
barche in plastica vengono noleggiate per il divertimento dei pochi turisti che
si spostano remando sulle acque dei limpidi laghetti. Partiamo prima che i sole
tramonti dietro alle montagne anche perché non è prudente viaggiare durante la
notte. All'imbrunire arriviamo a Bamian.
SABATO 11 SETTEMBRE 2004
Quando le prime luci incominciano a lambire le rosse pareti della falesia di
Bamian siamo già sotto ai ripidi dirupi per osservare i giochi di ombre che i
raggi del sole compongono tra le grotte. Questo luogo fu in un lontano passato
sede di una fiorente comunità. Le grotte erano abitate da centinaia di monaci
che per secoli professarono in questi luoghi la loro fede e resero famoso e
potente il regno Buddista di Bamian. Il tempo e le intemperie hanno cancellato
molto di questa fiorente civiltà. Le guerre ed i conquistatori (Gengis Khan)
che hanno attraversato queste zone hanno ulteriormente cancellato le tracce di
questa prospera civiltà.

Quel poco che era rimasto è stato ulteriormente distrutto dalla furia
iconoclasta dei Talebani durante il loro breve governo. Ora le nicchie dei
Bhudda , vuote dopo la distruzione delle statue, lasciano un senso di sgomento e
di desolazione. Sui cumuli di detriti accatastati ai piedi della falesia
lavorano alcuni membri di una missione archeologica francese per recuperare
quanto possibile dalle macerie. Ben poco rimane dell'antico splendore di questo
luogo. In tempi più recenti qui risiedevano parecchie famiglie di Azara che
furono cacciate dai Talebani che minarono questi luoghi. Qualcuno sta cercando
di ritornare, una famiglia ha occupato alcune delle grotte e vi ha ristabilito
la sua dimora. Le poche celle che ancora conservano delle tracce di affreschi
sono protette da porte in legno sbarrate per difenderle dai furti e dalle
distruzioni. Tra i sentieri che collegano le varie grotte ci si deve muovere con
attenzione poiché in alcune zone la bonifica dalle mine non è ancora stata
completata. Verso mezzogiorno riprendiamo la via per Kabul. Riprendiamo la lunga
e disagevole pista che abbiamo percorso all'andata. Impieghiamo circa 7.00 ore a
compiere l'intero percorso. Ancora per due volte foriamo le gomme dell'auto.
Quando a sera arriviamo alla periferia di Kabul oramai è già buio. Stiamo
entrando in città e veniamo fermati ad un posto di blocco dove riusciamo a
passare facilmente quando veniamo identificati per occidentali. Le altre
macchine sono sottoposte a severi controlli. Alla periferia di Kabul l'autista
mi fa capire che siamo completamente senza freni e l'unico modo per fermare la
vettura è quello di ricorrere al freno a mano. Verso le 20.00 arriviamo al
nostro hotel.

Testo e foto di Giuseppe Bosio
Sito: www.viedelmondo.org
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