...
I finestrini dell'aereo sono ancora chiusi e siamo nel bel mezzo all'oceano
indiano in coincidenza di qualche fuso orario. Il personale serve la colazione e
attendiamo sonnecchiando l'arrivo a Colombo.
Dai finestrini
ora entrano le prime luci dell'alba ma si vede ancora niente altro che mare.
Qualche ora dopo la mappa segnala che stiamo per arrivare a destinazione ed
inizia la discesa verso la capitale dello Sri Lanka. L'atterraggio avviene alle
14:30 ora locale, per cui, tolte le cinque ore di fuso orario, diventano quasi
nove ore di volo da Milano.
L'aeroporto di COLOMBO appare spartano ed essenziale. Ritiriamo in fretta
i bagagli e cambiamo allo sportello 50 euro per prevenire le spese iniziali. Il
cambio appare buono a 107,59 per un totale di 5379,5 rupie: molto superiore a
quello citato nella Lonely Planet, ormai risalente a diversi anni fa. Il gruppo
di italiani che hanno scelto come noi Azemar si riunisce sotto l'unica guida di
Gianfranco, un ragazzo sulla trentina. Tutti insieme sappiamo ora chi sono i
nostri compagni di viaggio: una coppia di ragazzi (Luca e Marzia), una coppia di
signori (Ambrogio e Gabriella), due ragazze (Doriana e Patrizia), e poi ancora
un'altra signora, Franca, e un altro ragazzo, Mauro. Dieci in tutto, provenienti
da diverse parti d'Italia e di età diverse.
Aspettiamo Gianfranco mentre sbriga qualche commissione e formalità, per
avviarci poi al bus. Due ragazzi, tra i tanti in fila come usanza da queste
parti, portano le valige al nostro posto per cento metri e spendiamo così le
nostre prime 50 rupie di mancia. Fa parecchio caldo e il sole picchia.
L'autobus, del tutto simile ai nostri italiani, risulta praticamente vuoto
essendo soltanto in dieci! Durante il primo tratto, Gianfranco approfitta per
presentarsi e spiegare alcune cose su usi, costumi e tradizioni locali. Prima di
tutte: non spaventarsi per la guida tremenda dei singalesi, che effettuano
sorpassi azzardati e si infilano da tutte le parti senza apparente ragione, non
risparmiando di tagliare la strada di netto e suonare il clacson a più non
posso. Non c'è bisogno di aggiungere niente altro, perché ce ne rendiamo conto
dai primi chilometri
A questo punto, essendo il volo in ritardo, dobbiamo azzardare una scelta
difficile: al posto di andare subito in hotel come previsto inizialmente dal
programma, e poi fare il giro della città compreso nel pacchetto, Gianfranco
propone di optare prima per il tour, visto che sono già le tre e mezza del
pomeriggio e alle sei in punto fa buio. Dopo un giorno di viaggio intero,
soprattutto per noi che da Cagliari abbiamo dovuto aspettare tante ore a Milano,
risulta massacrante. All'unanimità votiamo comunque per il tour per non perdere
la possibilità di vedere Colombo. Il sogno di una bella doccia, un lauto riposo
e di un pasto decente è solo rimandato. Del resto, siamo in vacanza: bisogna
essere super attivi!
Dopo un'ora di tragitto passiamo di fronte al nostro hotel. Difficile dire
quanti chilometri abbiamo fatto dall'aeroporto. Di sicuro è invece facile
affermare che la città di Colombo appare sterminata tra un susseguirsi continuo
di case, negozi, veicoli di ogni genere (dai carretti ai tuk-tuk, agli autobus
sgangherati alle utilitarie, assai rari le auto lussuose). Me l'aspettavo assai
più piccola e contenuta, ma probabilmente è molto estesa per la mancanza di
palazzi alti. Per il resto il panorama è quello tipico dei paesi orientali:
tanti mercatini, bancarelle colorate, traffico indemoniato.

La nostra prima tappa è un tempio induista. Appena scesi dal bus
l'impatto non è davvero dei migliori, assai più duro e crudo di quello che si
avverte passeggiando per le strade di Bangkok. Alle catapecchie decadenti si
affiancano angoli di immondezzaio, dove gatti e cani randagi, quasi tutti con
evidenti segni di malattie e in condizioni precarie, cercano qualcosa da
mangiare. Per fortuna non ci sono anche persone. Tutto questo in appena cento
metri di strada che separano dal tempio. Speriamo che il resto della città non
sia tutto così!

Osserviamo esterrefatti la facciata del tempio, ricca di statue e sculture che
fuoriescono ogni dove creando giochi di profondità superbi e colorati. Dei
mendicanti appostati si avvicinano al nostro groppo, in chiaro atteggiamento
d'elemosina. Pochi centesimi di euro per questa gente sono soldi che valgono.
Gianfranco afferma che il loro stipendio medio mensile varia tra i venti ai
cinquanta dollari per i più fortunati. Dare cento rupie di mancia, che
equivalgono più o meno a un euro, vuol dire regalare un'intera giornata di duro
lavoro ad un singalese. E' anche vero che chiedere l'elemosina non è mai bello,
come non è bello vedere queste povere persone dalle facce sofferenti e
consumate, spesso a petto nudo e scalze, tutte intorno che aspettano di ricevere
qualcosa.
Lasciamo le scarpe all'ingresso ed entriamo nel tempio. La parte visitabile non
è molto grande: si fa appena il giro di qualche stanzone. Gli affreschi e
l'interno in generale sono un po' trascurati, ma in tempi migliori dovevano
essere di uno splendore accecante. Un signore anziano segue me e Stefania ed
accenna qualche incomprensibile parola in inglese per improvvisarsi una sorta di
guida. Inutile dire che all'uscita chiede la mancia, la quale Gianfranco informa
comunque non essere affatto obbligatoria in nessun caso. Mentre riprendo le
scarpe lascio così venti rupie al signore, che non pare molto soddisfatto e
continua a chiedere con un atteggiamento che quasi mi indispettisce.

Proseguiamo in autobus per raggiungere il tempio buddista di Gangaramaya.
L'ingresso è a pagamento e costa 100 rupie a testa. Beh, almeno si mettono le
cose in chiaro da subito: si paga prima e niente mancia! L'entrata è
stravagante, con tanti gingilli, statuette e doni sparsi ovunque. All'interno
sembra più che altro un museo, con oggetti e reliquie di ogni genere, alcune
molto colorate e alquanto bizzarre. L'antico si fonde col moderno senza vie di
mezzo. Usciamo all'aperto in un cortile interno, di fronte a centinaia di statue
disposte in modo ordinato ed equidistanti che creano un bel colpo d'occhio. Di
lato un'auto d'epoca perfettamente conservata rende ancora più l'idea del museo
stravagante. Un'altra sala di oggetti e sbuchiamo in un altro cortile con un
gigantesco albero Bodhi. Dopo qualche spiegazione di Gianfranco in italiano e
della guida del tempio in inglese, torniamo infine all'autobus.

La nostra prossima meta è un negozio di souvenir, che Gianfranco consiglia di
guardare con attenzione per iniziare a rendersi conto dei prezzi. Di passaggio
possiamo osservare velocemente dai finestrini alcuni monumenti tipici di
Colombo, quali il tempio sul lago, il Trade Center, e l'originale Municipio
costruito come identica copia della Casa Bianca! Il negozio è diviso in tre
piani, ricchi di un'infinità di oggetti e souvenir di ogni genere: statuette in
legno, maschere tipiche, stoffa e batik, vestiti, parei, dipinti, prodotti
artigianali, spezie, cartoline, e altro ancora. Nonostante io e Ste ci siamo
ripromessi prima di entrare di non spendere nulla, visto che questo è solo il
primo negozio che visitiamo, non possiamo non essere colpiti da innumerevoli
cosette deliziose che attendono di essere portate a casa. L'acquisto ricade su
un simpatico e originale elefantino, ricavato scolpendo una noce di cocco, con
tanto di proboscide e tratti dipinti in nero: meraviglioso! Il suo costo è di
360 rupie (3,5 euro).
Finito lo shopping è giunta, per la gioia di tutto il gruppo, l'ora di
raggiungere finalmente l'hotel per riposare e riempire il nostro stomaco con un
pasto decente che non si vede ormai da due giorni.
Il 'Trans Asia' hotel (5
stelle e probabilmente il migliore di tutta la capitale), colpisce subito per la
lussuosa hall d'ingresso, spaziosa e luccicante. Veniamo accolti in un'atmosfera
cortese e rilassante. Sediamo ad un tavolo dove viene offerto un ottimo soft-drink di benvenuti, mentre Gianfranco sistema le formalità alla reception e
ritira per noi le chiavi delle stanze. La nostra è la n° 134 al primo piano.
Rimaniamo d'accordo col gruppo di cenare tutti insieme e diamo un appuntamento
alla sala ristorante.
Saliamo le scale per il primo piano il quale appare, come in quasi tutti i
grossi hotel di questa categoria, un enorme labirinto di corridoi lunghissimi e
porte tutte uguali. Troviamo la nostra camera, bella e spaziosa, senza nulla da
obiettare. Tranne che le prese di corrente non sono europee e il nostro
adattatore non 'adatta' poi tanto bene
riusciamo comunque a risolvere il
problema alla bene e meglio. Nel frattempo arrivano i facchini a consegnare le
valige: altre 30 rupie di mancia. Facciamo una bella doccia e, neanche il tempo
di aprire le valigie, è già ora di scendere all'appuntamento. Non potevamo
prendercela con più calma?
Torniamo al ristorante passando per il salone, dove una ragazza singalese canta
dal vivo sotto una piacevole musica di un pianoforte a coda, e troviamo già
tutti a tavola: ma come hanno fatto a fare così in fretta? Dopo pochissime
parole di Gianfranco a capotavola, andiamo a prelevare tutto il possibile e
l'inimmaginabile dal buffet. La nostra prima cena non delude certo le
aspettative: il cibo è vario, abbondante e buono. Passiamo dagli stuzzichini ai
primi, secondi, verdure e dolce. Nonostante mi sforzi di leggere la descrizione
delle pietanze, ammetto che risulta molto più semplice andare a 'naso' e occhio:
quello che ispira si mangia, il resto può aspettare un altro giorno. Avendo
Gianfranco a lato, ne approfitto per chiedergli qualche informazione e scopro
con stupore e piacere che anche lui è sardo, delle parti di Olbia!
Soddisfatti della cena, torniamo in camera a riposare. Domani ci si alza presto
per il trasferimento al Dickwella, nell'estremo Sud dello Sri Lanka. Non
possiamo che restare di stucco nel sentire che occorrono cinque ore di bus per
fare 180 chilometri
23 Ottobre - In autobus sulla costa. Centro di tartarughe marine. Arrivo al
Dickwella Village.
La sveglia è alle 6.30 in punto. Scendiamo a fare colazione, sempre insieme al
nostro gruppo Azemar, dopodiché andiamo alla reception per il chek-out. 490
rupie per le bevande della cena, che non erano incluse nel pacchetto (solo per
la prima notte, gli altri giorni per fortuna sono all-inclusive). Un po' care in
effetti, ma si sa: negli hotel di lusso funziona così!
Alle 7:30 siamo già tutti all'ingresso. Arriva il bus e partiamo. Le prime due
ore e mezzo di viaggio sono tutte nel centro abitato, un continuo scorrere di
case basse e bancarelle, persone che vanno a lavoro, scolaresche, gruppi di
ragazzi in chissà quali manifestazioni locali che ai nostri occhi appaiono, a
dir poco, folcloristiche. Non capisco più se siamo ancora a Colombo, in
periferia, o chissà dove.
Finalmente si vede l'oceano, con scorci sempre più frequenti. Stiamo seguendo
pari pari la costa, tra paesaggi ripetitivi e pianeggianti, ma in alcuni punti
pure molto belli e suggestivi. Le abitazioni diradano lasciando spazio ad una
lussureggiante vegetazione verde di alte palme, mentre i sorpassi, per noi
azzardati e senza senso, si ripetono costanti su una strada ad appena due
corsie, stretta e non certo in perfette condizioni. Fatti da un autobus poi
appaiono ancora più inopportuni, ma così è la guida nello Sri Lanka! La cosa
singolare è che non si corre ad alta velocità, e non ci si ferma praticamente
mai per l'assenza di semafori o ingorghi. Si tiene una velocità costante sui
40-50 chilometri orari: tutto ciò che va più lento viene superato, compresi
veicoli, automezzi, altri autobus, che siano su rettilineo o in curva.
Ovviamente discorso analogo vale per chi va più veloce di noi, che non si
risparmia di operare il sorpasso del nostro bus tra suonate continue di clacson
e virate brusche per rientrare in corsia.
Sostiamo di passaggio ad un centro tartarughe, per osservare la crescita
e l'allevamento di questi meravigliosi animali centenari. Il biglietto
d'ingresso costa 100 rupie (1 euro). Da un pezzo di terreno, protetto da un
recinto, sbucano dei bastoncini di legno: qua sono deposte le uova delle
tartarughe, come viene spiegato dalla guida. Più avanti invece una vasca
contiene centinaia di piccolissimi esemplari appena nati che si fanno le prime
nuotate. Ne prendiamo una in mano per accarezzarla: è bellissima! In altre
vasche ancora nuotano quelle più grandi, le quali mostrano un guscio stupendo,
che pare disegnato dalla mano di un grande artista. Si fanno accarezzare
tranquillamente senza ritrarre la testa, sono abituate alla presenza umana.

Siamo proprio di fronte ad una bella, lunghissima spiaggia oceanica, con sabbia
d'orata e tratti di un bel prato verde acceso sovrastato da alte palme di cocco.
Scopriremo presto che questo è il tipico paesaggio costiero singalese.
Lasciato il centro, proseguiamo il tragitto sostando solamente un'altra volta
per la cosiddetta pausa 'toilette', doverosa dopo ore e ore di autobus, in un
market che vende stuzzichini e bibite di vario genere. Durante l'attesa mi
guardo intorno alla strada: siamo proprio in un altro mondo, che non assomiglia
per niente a quello occidentale!
Passiamo Galle, importante città costiera del Sud dal punto di vista commerciale
per la sua posizione e dal punto di vista storico e culturale per il forte
portoghese e i caratteristici pescatori su gambi di legno. Ne vediamo alcuni in
mare, pescando, appesi a quel loro singolare trampolo che li rende tanto famosi.
Passiamo anche Matara e, superato il punto estremo meridionale dello Sri Lanka,
giungiamo finalmente dopo pochi chilometri a Dickwella, un modesto e piccolo
paese di pescatori e artigiani.
Il nostro hotel, che prende il nome dello stesso
villaggio, è sulla strada principale. Entriamo che sono le 14:30, dopo sette ore
dalla nostra partenza! Nonostante abbia visto le stupende foto panoramiche in
Internet, rimango davvero sorpreso dalla bellezza di questo posto.
Veniamo accolti con una allegra cerimonia di rito che consiste, tra suoni di
tamburi e strani strumenti a fiato, nell'accendere una candela ed esprimere un
desiderio. Vanno avanti prima le donne e poi gli uomini. Beviamo un drink
dissetante e veniamo accompagnati in camera, la n° 37, la quale risulta
accogliente, spaziosissima, con finestra e uscita anche dalla parte opposta
verso il prato verde che dà sulla spiaggia. L'arredamento è interamente in
legno, le lenzuola sono decorate con petali colorati, e un grande sole dipinto
risplende sorridente sopra il nostro letto. Che dire, siamo contenti ed
eccitati!

Mi affaccio alla finestra e scorgo due sdraio per prendere il sole ed un
appendino per stendere i vestiti, mentre un ragazzo in lontananza mi saluta e
dice di andare da lui. Non c'è tempo di esplorare adesso, non apriamo neanche le
valige e usciamo subito a pranzare visto che sono le 15:00 passate. Percorriamo
il pittoresco vialetto coperto, anch'esso in legno, che dalla reception porta
alla nostra e alle altre camere e più avanti al centro del villaggio, dove c'è
una bella piscina, due palme altissime e una sala all'aperto dove si tengono i
pasti quando fa bel tempo, come in questo caso. Delle simpatiche e colorate
rappresentazioni di pavoni ed elefanti sui muri, con tanto di senso di
profondità da farle apparire quasi sculture, rendono il tutto molto pittoresco.
Troviamo anche stavolta tutto il gruppo già a tavola: ma questi sono dei
fulmini! Andiamo a verificare immediatamente che il menù sia di nostro
gradimento. Le pietanze non sono molto variegate ma c'è il nostro caro e amato
forno a legna con un cuoco pronto a preparare delle invitanti pizze. Perché
rifiutare una proposta così allettante? Durante il pranzo Gianfranco parla un
po' del come sia costituito il villaggio, cosa si può fare, degli orari da
rispettare e così via. Suggerisce che è sempre meglio, come in tutti gli hotel,
non lasciare denaro contante in giro per la stanza, ma di non preoccuparsi
minimamente per altre cose, anche di valore, poiché una denuncia per furto da
queste parti è considerata molto grave e sarebbe la rovina del dipendente che
tiene caro al suo lavoro ed alla sua dignità. Spiega poi che i tour sono tutti
di mezza giornata e si svolgono durante il pomeriggio. A tal proposito possiamo
scegliere tra diverse alternative e stabiliamo subito, per iniziare, i giorni in
cui vogliamo fare le due gite incluse nel pacchetto, quella a Matara e quella al
tempio di Mulkirigala.
Finito il pranzo esploriamo il villaggio insieme a Gianfranco, che mostra come
prima cosa il centro di massaggi Ayurveda. Conosciamo il dottore responsabile,
dall'aria giovanile e simpatica, il quale offre una seduta di massaggio ai piedi
a tutti, da provare quando si vuole, per assaggiare le delizie delle tecniche
Ayurveda. Ci spiega i principi e i benefici in termini di salute e benessere che
si possono raggiungere con più sedute, le quali ovviamente sono più vantaggiose,
sia in termini monetari che di risultati, acquistate a pacchetti di più giorni.
Torneremo senz'altro a provare il massaggio nei prossimi giorni!
Proseguiamo sul lato mare, di fronte alle nostre camere (chiamiamole così, ma
sembrano vere e proprie casette sul prato verde a pochi metri dalla spiaggia),
dove raggiungiamo gli sdraio e il bar, e torniamo alla reception, dove su un
lato c'è il negozio di artigianato e souvenir di Gianna. Gianna è un'italiana
che sta qui al Dickwella e fa un po' da mediatrice. La sua figura è ambigua
quanto importante. Di fatto è lei che fa un po' da padrona e direttrice,
organizza le gite, dà ordini al personale singalese, divide il suo tempo ed i
pasti con noi. Stiamo un po' nel negozio e compriamo un bellissimo pareo per 600
rupie.
Torniamo così in stanza, riposiamo qualche minuto e io e Ste da soli usciamo per
una passeggiata sulla spiaggia, prima del tramonto. Il posto è splendido: la
spiaggia d'orata si perde sulla sinistra fino all'orizzonte insieme alle
altissime palme che la costeggiano, le quali a tratti arrivano fino all'oceano
perennemente mosso. Sulla destra invece gli scogli segnano la punta del Dickwella, dove le onde si infrangono con fragore provocando alti spruzzi
d'acqua. In riva come in mare notiamo alcune barche di pescatori locali, dalla
strana forma. Il posto sull'imbarcazione è piccolo, al massimo per due o tre
persone, lungo e stretto, tutto da un lato. Dal lato opposto, collegato con due
archi in legno, c'è una sorta di contrappeso, evidentemente per questioni di
equilibrio, il quale mi ricorda buffamente quella sorta di strana imbarcazione
di tubi che Conan, nella fortunata serie di quel meraviglioso ed indimenticabile
cartone animato, aveva creato per fuggire via dalla sua isola nativa. E' proprio
vero che la realtà supera di gran lunga la fantasia.

Torniamo al centro del villaggio, dietro la piscina. Un muro bianco segna la
recinzione del Dickwella verso la spiaggia sul versante opposto dove il sole
tramonta. Qui l'arco di spiaggia è più piccolo e riparato ma ciò non toglie che
l'oceano sia comunque sempre mosso e anzi, all'orizzonte, alquanto inquietante
con possenti onde che si infrangono sugli scogli. Si vedono molti pescatori al
lavoro, mentre dal cancello rivolto alla spiaggia veniamo catturati dai bambini
locali, che iniziano a parlare in italiano, sorprendendoci non poco. Sono in
tre, un maschietto e due femminucce. La più sveglia è la bambina che porta il
nome di Nilani, che avrà circa 12 anni. Stefania intraprende una conversazione
mentre io continuo le riprese e le foto. Una guardia del Dickwella tiene da
lontano d'occhio la situazione, probabilmente per evitare che i bambini
scavalchino la recinzione. Loro si mostrano molto simpatici e, tra qualche
parola in italiano e gesticolazioni varie, riusciamo a scoprire i loro nomi,
l'età, dove vivono e cosa fanno.

Terminiamo la passeggiata, proprio al calare del tramonto, sopra la terrazza
panoramica dove si tengono anche gli spettacoli notturni in una sorta di mini
teatrino. La musica di Michael Jakson in sottofondo ci accompagna mentre
ammiriamo sbalorditi la visuale a 360° della costa.

All'orizzonte si scorge
chiaramente anche il faro di Dondra, estremo punto del Sud dello Sri Lanka.
Conosciamo un animatore del posto, un ragazzo della nostra età, anche lui molto
simpatico, cordiale, e incredibilmente loquace con una gran voglia di parlare in
italiano ed imparare parole nuove. Dice che è solo quattro mesi che lo sta
imparando, il che sembra fantascienza visto che conversa già benissimo

Rispuntano i bambini sotto di noi, che si fermano a parlare ancora per qualche
minuto. Li osserviamo poi giocare sugli scogli con gli spruzzi d'acqua. Hanno
tutti degli splendidi sorrisi e dei bellissimi visi, che trapelano gioia e
serenità, cosa che ci conforta molto dal momento che a Colombo la situazione
sembrava assai più disastrata. Alle sei in punto il sole tramonta, regalando uno
splendido e breve spettacolo di un colore rosso intenso, che non manchiamo di
documentare con tante fotografie e riprese.

La cena si svolge in una apposita sala di ristorazione, grande ed accogliente,
con la solita formula buffet e prima bevanda inclusa. Le pietanze sono più varie
del pranzo: troviamo qualcosa della cucina italiana e qualcosa di tipicamente
locale. Siamo sempre tutti insieme, il gruppo Azemar al completo più Gianfranco
e Gianna, i quali propongono per i giorni successivi di organizzare una cena più
particolare a base di aragosta e pesce. Un'idea interessante che viene accolta
con successo!
Notiamo, come a pranzo, che in tutta la sala sediamo soltanto noi e una
famigliola di inglesi. Ed è effettivamente così: in tutto il villaggio, che può
contenere 165 persone circa, siamo poco più di dieci! Situazione che ha i suoi
pro ma anche i suoi contro. I vantaggi sono che avendo tutto per sé si gode
questo favoloso paradiso senza vedere turisti in giro: del resto già dalla
passeggiata di stasera abbiamo realizzato che siamo lontani anni luce da luoghi
o affollati o di turismo di massa. Qui pace e solitudine regnano sovrani in
mezzo a suoni, odori e immagini di una natura solitaria ed primordiale. I contro
di conseguenza sono che, essendo così pochi, abbiamo tutti addosso, dal
personale del Dickwella ai procacciatori della spiaggia.
In quanto a questi, Gianna e Gianfranco ci mettono subito in guardia. Li
chiamano i 'Beach Boys', sono dei ragazzi pescatori che per arrotondare lo
stipendio, molto povero, abbordano i clienti del villaggio proponendo di fare
gite e visite di posti nelle vicinanze. Non sono cattivi o per forza truffatori,
però è stato segnalato qualche spiacevole inconveniente in passato nei confronti
di alcuni turisti. Ci viene consigliato perciò, se vogliamo passeggiare in paese
o optare per alcune escursioni, di chiedere comunque ai ragazzi che lavorano al
Dickwella, che possono dare maggiori garanzie e sono sotto la responsabilità
dell'hotel. Lo davamo in realtà per scontato già da prima, ma ci accorgeremo
presto che le cose non sono poi così semplici e si è instaurato un particolare e
complicato rapporto di amore e odio tra il Dickwella, villaggio costruito sotto
la direzione italiana, nei confronti della popolazione e del paese omonimo.
Alle ventidue in punto, finita la cena, saliamo sulla terrazza panoramica nel
mini anfiteratro, per assistere al primo spettacolo serale intitolato 'Jubox'.
Gianfranco presenta scherzosamente la serata al microfono, calano le luci e
iniziano diversi balletti di svariate canzoni, interpretati con grande foga e
precisione da un gruppo di sei animatori, nonostante il pubblico sia di appena
dieci persone! Si muovono molto bene questi singalesi e rimaniamo
sorprendentemente colpiti dal loro innato senso del ritmo, dal fisico scolpito,
dalla grinta e volontà, che rendono lo spettacolo interessante ed originale.
Terminato il tutto, passeggiamo una mezzora ammirando estasiati il meraviglioso
cielo stellato dalla terrazza panoramica, spostandoci poi nella piscina
illuminata in notturna di fronte all'oceano, e nel vialetto coperto dove
chiacchieriamo per lungo tempo con Franca. Scopriamo così che è una donna che
viaggia tantissimo da sola ed ha accumulato esperienze umane profonde e
straordinarie durante le sue memorabili avventure. Rimaniamo colpiti in
particolare da quelle in Africa del Safari, dal fascino della popolazione e
delle riserve protette.
24 ottobre - La spiaggia del Dickwella. Massaggio Ayurveda. Tour: Mawella e il
'Blow Hole', il soffione dell'oceano.
La prima colazione è alle 8:30, nella sala ristorazione dove abbiamo cenato
ieri. C'è un bel panorama sulle vetrate che dà verso gli scogli, con l'oceano e
le possenti onde che creano alti spruzzi bianchi d'acqua. Il menù è il classico
internazionale: thè, latte, caffè, brioche, bacon e salsicciotti per i più forti
di stomaco. I succhi di frutta deludono un po': nessun paragone con quelli
tailandesi! Prima di andar via accordiamo con Gianna una passeggiata lungo la
spiaggia.
Torniamo in camera e alle 9:30 vediamo alcuni del nostro gruppo passare.
Li
raggiungiamo e iniziamo la lunga camminata verso l'arco di spiaggia d'orata, che
parte dal Dickwella e si prolunga per ben tre chilometri fino all'orizzonte.
Insieme a noi vengono alcuni ragazzi dell'hotel, e altri tre del posto, i
cosiddetti 'Beach Boys'. Rimaniamo un po' allibiti dall'immediato battibecco che
nasce tra questi ultimi e Gianna, con varie accuse a tratti anche pesanti per
varie vicende successe qualche giorno fa. Cerchiamo, nel limite del possibile,
di lasciare estranea la discussione e non rovinare l'atmosfera dello splendido
paesaggio che ci circonda.

La spiaggia è a tratti larga e a tratti quasi
scompare sotto le altissime palme e la fitta vegetazione retrostante,
costringendo a camminare piacevolmente sull'acqua calda, quasi a temperatura
corporea. C'è molto vento e l'oceano è mosso, per cui non siamo ispirati a fare
il bagno anche se il fondale è molto basso e non comporterebbe alcun pericolo.
Il sole purtroppo è per la maggior parte del tempo coperto dalle nuvole, ma a
tratti, quando viene fuori, regala al mare vivaci colori con tonalità che vanno
dal verde smeraldo all'azzurro più intenso. Non si vede un solo turista su tutta
la spiaggia fino all'orizzonte! Ci siamo solo noi e qualche raro singalese del
posto che va a pescare, a fare il bagno al proprio cane o per una passeggiata
romantica con l'ombrellino.
I primi animali che incontriamo sono dei cagnolini, molti cuccioletti e altri un
po' più grandi, che vivono liberamente sulla spiaggia. Sono ovviamente randagi,
e non devono avere vita facile visto che presentano evidenti segni di malattie.
Meglio non accarezzarli, anche se innocui. Poi ci imbattiamo in un paio di
mucche ferme, chissà, magari a prendere il sole: non mi è mai capitato di
vederle in mezzo ad una spiaggia!
Nel frattempo i battibecchi continuano e i Beach Boys tentano assiduamente di
parlare anche con noi, sostenendo la loro buona fede e il fatto che non siano
imbroglioni. Una situazione un po' difficile di cui non diamo né giudizio né
critica, dal momento che siamo appena arrivati e non conosciamo le regole di
questi posti! Nel dubbio cerchiamo comunque di evitarli e non dare confidenza.
Siamo colpiti sempre dal fatto che anche loro parlino bene l'italiano, con
discreta conoscenza della grammatica ed un ampio vocabolario.

Il prossimo appuntamento con la fauna locale è il macaco col berretto, una
bertuccia molto comune nello Sri Lanka. Ce ne sono due per l'esattezza, legate
ad una corda su un ramo di un albero: una beve da una specie di biberon e
l'altra osserva indifferente. Chiediamo ad uno dei Beach Boys a fianco noi
perché siano legate, poiché è evidente che per prima balena l'idea che siano
messe lì apposta per i turisti. Risponde che non è così, sono là per altri
motivi e presto verranno liberate come prima. Non è del tutto convincente, però
potrebbe anche aver ragione.
Rimaniamo dietro al gruppo, rallentati dalle numerose foto e riprese. Li
raggiungiamo dopo un po', fermi ad ammirare un enorme riccio, piuttosto diverso
dai nostri, con lunghissime aculei neri. Impariamo anche come si crea una
resistentissima corda fatta con la peluria del guscio della noce di cocco, di
cui non viene sprecato proprio nulla!
Passiamo alcune barche e casette di pescatori e arriviamo alla fine della
spiaggia, ammirando tutto il golfo fino all'orizzonte. Dalla parte opposta si
scorge sul promontorio la pittoresca architettura del Dickwella. Franca è
l'unica coraggiosa a farsi il bagno nonostante il vento, mentre il resto del
gruppo, compresi noi, si accontenta di chiacchierare e guardare il bel panorama.

Si torna indietro, non prima però di osservare una stupenda aquila di mare che
sorvola l'oceano in cerca del bottino quotidiano. Il resto del gruppo prosegue
mentre io e Ste sostiamo diversi minuti estasiati da questo magnifico esemplare,
che riesco a riprendere bene (e soprattutto a vedere!) con la mia videocamera
digitale, la quale con uno zoom 20x è utilizzabile praticamente anche come
binocolo!
Stavolta rimaniamo molto arretrati e restano con noi solo due Beach Boys,
ragazzi appena sopra la ventina dal nome Gian e Upal. La loro conoscenza
dell'italiano è sorprendente e così, anche se all'inizio un po' diffidenti,
intraprendiamo un discorso approfondito sui loro usi e costumi. Spiegano che
sono pescatori, ma al di fuori degli orari di pesca cercano di arrotondare
qualcosa con i clienti del Dickwella. Non sono né procacciatori né venditori,
fanno semplicemente da accompagnatori, ma sono in grado di procurare, a
richiesta, quasi ogni cosa. Il loro modo di vivere è essenziale, hanno i beni di
primaria necessità e lo stato li aiuta, distribuendo riso, vestiti di scuola per
i bambini e così via. Ce lo spiegano proprio mentre passiamo di fronte ad un
piazzale retrostante la spiaggia, dove una folla di gente aspetta in fila
ascoltando una voce al megafono. Nello stesso posto domani si svolgerà il
mercato. Purtroppo tutto il mondo è paese e anche qua la politica gioca un ruolo
a doppia faccia. Gli aiuti arrivano soprattutto in periodo elettorale,
coinvolgendo molto donne e bambini che stanno in genere più in casa, mentre gli
uomini sanno bene che una volta passate le elezioni tutto tornerà come prima.
Rispondiamo di dovere con quello che succede in Italia: anche noi abbiamo i
nostri problemi, anche se ad un livello diverso.
Torniamo al Dickwella a mezzogiorno, e mentre gli altri si dividono tra sdrai a
mare e in piscina, io e Ste prendiamo la via dei massaggi Ayurveda. Visto che la
prima prova è gratuita, approfittiamone subito! Incontriamo il medico che ci
invita cortesemente ad entrare. E' una persona gentile, giovanile e molto
preparata. Spiega alcuni trattamenti e propone dei pacchetti interessanti, poi
fa accomodare all'interno. Qua si usa ancora separare le donne dagli uomini e
così io entro in una camera con il mio massaggiatore e Ste entra in un'altra a
fianco con una massaggiatrice. Ogni particolare è mirato a portare un senso di
relax fisico e mentale, come i dipinti sulle pareti e la dolce musica in
sottofondo. Il massaggio inizia spalmando sulla parte interessata, in questo
caso i piedi, un olio profumato, che dopo qualche minuto provoca una sensazione
di freschezza sulla pelle, del tutto simile a quella del balsamo di tigre,
ovvero l'equivalente di una caramella alla menta exraforte per la gola. Il
massaggio è proprio rilassante, molto più delicato di quello tailandese, e
termina dopo un quarto d'ora circa. Assicuriamo al dottore che torneremo senza
ombra di dubbio a provare qualcosa di più serio, e lasciamo il centro Ayurvedico
ormai ora di pranzo.
Alle tre pomeridiane in punto raggiungiamo la reception insieme a tutto il
gruppo. Aspettiamo il pulmino con Gianfranco per il tour a Mawella, che è stato
proposto all'economico prezzo di dieci euro a persona. Il conducente si fa
attendere, e dopo mezzora di ritardo finalmente partiamo. La prima meta è la
casa di Flavio, un italiano che ha investito qui nello Sri Lanka comprando un
magnifico terreno con visuale mozzafiato ed ha costruito una casa con piscina a
dir poco invidiabile. Per arrivarci percorriamo una strada sterrata stretta
molto suggestiva, piena di buche e a strapiombo sulla costa. Rimaniamo colpiti
dal panorama una volta entrati nella proprietà di Flavio. La tenuta sorge su un
colle verde con alte palme, di fronte all'oceano e ad un isolotto collegato alla
terraferma da un istmo di spiaggia che, durante l'alta marea, scompare. Il mare
è molto mosso sulla parte destra dell'istmo e più calmo sulla sinistra. E' qui
che faremo un po' di snorkelling.

Scendiamo un piccolo sentiero che porta alla spiaggia, dove troviamo diverse
barche di pescatori con i relativi proprietari, incuriositi. Il cielo è molto
minaccioso e non tarda più di qualche minuto a scendere giù il diluvio! A questo
punto ci dividiamo: io scelgo la nuotata con maschera e pinne seguendo gli
incitamenti di Gianfranco, mentre Stefania insieme a qualche altro del gruppo si
ripara in una capannina dei pescatori che ci osservano sempre più meravigliati.
Con il mare mosso, come prevedibile, la visibilità sott'acqua è piuttosto
limitata. Riesco comunque a vedere nel mio primo snorkelling di questo viaggio
qualcosa di interessante. Dopo una mezzora usciamo e la pioggia cessa. Risaliamo
a casa di Flavio e troviamo il resto del gruppo alle prese con la bertuccia
addomesticata di nome Rudi. E' un macaco col berretto per la precisione, basta
tendergli le braccia e salta sopra, mettendosi a pulire teneramente la pelle in
segno d'affetto. Stefania è entusiasta di questo simpatico animale che tiene in
braccio, mentre io non manco di riprendere e fotografare i momenti più
esilaranti.

Adoperiamo una simpatica chiacchierata con Flavio, che racconta le sue
disavventure sulla casa inerenti i problemi di titolarità, gli imbrogli e le
difficoltà di ogni genere nell'acquistare e mantenere una proprietà all'estero
in un paese così diverso dal nostro come lo Sri Lanka. Non è stato facile
insomma, ma il posto è stupendo e direi che ne è valsa la pena!
Si fa ora di andar via. Durante il rientro in pulmino sostiamo a grande
richiesta di Gabriella in un villaggio di pescatori sulla spiaggia, che stanno
appena rientrando con un grosso bottino. Ci sono dei gran bestioni che giacciono
per terra qui!! Li scaricano dalle barche e li poggiano in terra su un apposito
spiazzo. Si riconoscono dei tonni, ma non saprei dire altre specie

Proseguiamo per Mawella, un altro villaggio diventato turistico per via del
cosiddetto 'Blow Hole', il soffione dell'oceano, raro fenomeno conosciuto in
soli dodici posti sul pianeta, di cui questo è il secondo per importanza. Così
cita la Lonely Planet e ne diamo atto per potercene vantare! Il tutto non è
niente di più che un alto e potente spruzzo dell'oceano, il quale fuoriesce
prepotentemente da una crepa sugli scogli (un vero e proprio buco) con la forte
pressione che si crea a seconda delle onde e della corrente oceanica. Pare che
nei periodi migliori possa raggiungere i 25 metri di altezza, che sono un
palazzo di dodici piani!

Parcheggiamo nei pressi del villaggio e veniamo immediatamente circondati dai
bambini, mentre i singalesi dietro le innumerevoli bancarelle invitano a
comprare ogni genere di cosa. C'è molta sporcizia per terra ed il terreno è un
po' fangoso. Seguiamo a piedi la strada principale che porta fuori dal paese
verso la costa mentre inizia nuovamente a piovere, per fortuna solo per qualche
minuto.
Una salita a gradoni, caratteristica per il colore rosso della terra che stacca
nettamente con tutto il verde circostante della prepotente e fitta vegetazione,
porta in cima ad un promontorio, con la costa a strapiombo sull'oceano. Il
paesaggio è molto bello e affascinante. Una folla di persone attende con ansia
che il soffione spruzzi via dal buco. Mi sorprende che in realtà siano tutti
singalesi. Non vi sono stranieri neanche qua e ho la chiara certezza ormai, dopo
appena un giorno, che il turismo in questa zona all'estremo sud dello Sri Lanka,
soprattutto in questo periodo, è una rarità quanto il Blow Hole stesso.
Il mare calmo e la corrente trasversale rendono l'attesa più lunga del previsto.
Lascio la fotocamera digitale a Stefania e mi dedico alle riprese della costa,
rimanendo stupito dalla vista in lontananza di un pavone solitario tra gli
scogli. Finalmente arriva il soffione tra la gioia e le urla di tutti! E'
davvero emozionante, con lo spruzzo alto e bianchissimo, preceduto da un
fragoroso boato. Se ne susseguono diversi uno dietro l'altro, aumentando la
nostra gratificazione per l'attesa.
Non resta che tornare al Dickwella, a pochi chilometri di strada da Mawella.
Durante la passeggiata per rientrare al pulmino, ammiriamo in qualche bancarella
incuriositi i souvenir e la cucina del pesce. Scattiamo delle foto ai bambini
locali, che appaiono estasiati mentre mostro loro un attimo dopo nel display
l'immagine nella fotocamera digitale. Chissà quale diavoleria tecnologica
penseranno che sia! Eppure rimango io stesso stupito, subito dopo, dal fatto che
anche loro sono molto più organizzati del previsto! Arriva un bambino che
consegna a me e Franca, anche lei con una videocamera digitale che scatta foto,
il suo indirizzo in singalese per spedirgliele! Quasi commossi dal suo sorriso,
promettiamo senz'altro di mandargliele una volta rientrati in Italia. Gianfranco
suggerisce tra l'altro, se vogliamo donare loro qualcosa, di dare caramelle o
penne per scuola, ma non soldi. Sono perfettamente d'accordo: dare soldi abitua
la gente a chiedere e a vivere di elemosina. E già molti lo fanno. Mi viene in
mente lo stipendio di venti dollari di un povero pescatore, e penso che se ogni
turista lasciasse pochi centesimi di euro a testa a chi chiede l'elemosina,
questi camperebbero senza far nulla a dispetto di chi invece suda per
guadagnarsi da vivere. Questo non è un paese che ha carenza di risorse primarie
come ne può avere uno africano in Etiopia che vive nel deserto, tanto per fare
un esempio. Qui c'è acqua, terra fertile da coltivare, mare ricco di pesci. La
loro povertà è assai diversa, e in ogni caso quello intendiamo per 'povertà' è
alquanto soggettivo. Non si può negare che il loro stile di vita sia per molti
del tutto essenziale e talvolta carente, ma questa gente vive comunque in modo
molto più naturale e semplice del nostro. Quei bambini che ridono e giocano
sulla spiaggia del Dickwella tutto il giorno, per esempio, sono immersi in
quella che per noi è la tipica immagine di un paradiso tropicale da cartolina e,
per quanto si possano vedere 'poveri', credo fermamente allo stesso tempo che
siano felici. Lo si legge nei loro volti. Chi dice e chi può assicurare che
l'arrivo del progresso, della tecnologia, dei soldi e dell'influenza
occidentale, porti davvero maggiore benestare e serenità da queste parti? Ma
conosco ancora troppo poco di questo posto per poter dare giudizi: meglio
aspettare ai prossimi giorni!
Rientriamo al Dickwella alle 18:30, giusto in tempo per riposare un'ora, prima
di una succulenta cena a base di aragosta e pesce, per la modica cifra di venti
euro a persona. Dopo gli antipasti di mare, viene servito un bel piatto di
spaghetti ai granchi. E che granchi! Me ne ritrovo quasi uno intero sul piatto
con delle enormi chele più grandi di una cesoia! Poi arrivano in sequenza metà
aragosta bollita, il sorbetto e l'altra metà aragosta arrosto con sughi speziati.
Dopodiché il nostro stomaco si arrende!
Soddisfatti dalla cena andiamo a vedere al teatrino lo simpatico spettacolo di
cabaret, che vede stavolta gli animatori impegnati in alcuni sketch e
barzellette.
25 Ottobre - Mercatino locale. Tempio buddista di Wewurukannala Vihara. Tour:
Weligama (visita fabbrica gemme), Matara (visita fabbrica batik).
Oggi è il mio compleanno ed essere in viaggio è senza dubbio il miglior modo di
festeggiarlo! Dopo la colazione, andiamo in spiaggia con il resto del gruppo e
passeggiamo fino al mercato locale che si svolge settimanalmente. Veniamo
accompagnati, anche oggi, da Gian e Upal, che troviamo appostati appena messo
piede fuori dal Dickwella. Il mercato è, come prevedibile, pittoresco e caotico
e soprattutto, a differenza di molti tailandesi, vero. Intendo dire che è
realmente un mercato della gente del luogo senza nessuna influenza per turisti i
quali, come di consueto, a parte noi sono inesistenti!

Camminiamo tra una miriade di bancarelle di frutta, verdure, pesce e vari generi
di cibo sistemate per terra o su dei banconi, tra le urla dei venditori e il
chiasso assordante della folla. L'area del mercato è piccolina e concentrata,
quindi sembra che ci sia tantissima gente! Siamo colpiti dalle quantità
industriali di banane, le quali sono molto più piccole delle nostre e più tozze.
Parlo con Upal di questo fatto e spiega che ce ne sono cinque tipi nello Sri
Lanka: le più buone paiono essere quelle rosa o rosse. Quelle lunghe che
conosciamo noi per loro non sono neanche banane, non le considerano molto buone
e sono assai meno saporite. E' simpatico anche vedere un signore che vende il
cocco fresco, come l'abbiamo visto fare pure in Tailandia: si taglia la parte
superiore, si infila una cannuccia all'interno ed eccolo pronto per essere
bevuto! Tra tutta questa confusione viene difficile riprendere e fotografare,
così riesco a fare solo qualche scatto al volo delle banane e del peperoncino
nelle sue diverse specie, ammassato a chili sui banconi.

Attraversiamo il reparto abbigliamento, altrettanto vivace e colorato come
quello della frutta. Un tuk-tuk, dopo avermi quasi investito, fa sorridere
passando in mezzo alla folla e strombazzando il buffo clacson! Siamo arrivati
alla fine del mercato e al di là della strada vediamo il paese del Dickwella,
intravisto ieri di passaggio rientrando da Mawella con il pulmino.
Chiediamo a Gian e Upal di accompagnarci per comprare dei rullini, così lasciamo
il resto del gruppo e passeggiamo per la prima volta nel piccolo paese. Come
prevedibile siamo visti alla stregua di due alieni: così diversi dalla
popolazione locale in tutto e per tutto e unici due turisti nel raggio di
chilometri non possiamo davvero passare inosservati! Nella via principale
troviamo un piccolo e spartano Internet Point e ne approfittiamo per scrivere
un'email a casa.
Mentre torniamo indietro, Gian propone di andare a vedere un tempio buddista,
affermando che è il più alto dello Sri Lanka con una statua di 50 metri. Dista
solo cinque minuti a piedi. Abbiamo letto in effetti sulla Lonely Planet di un
bel tempio in questa zona, e tra le escursioni del Dickwella non è compreso per
cui, anche se non ancora perfettamente convinti al cento per cento, accettiamo.
Del resto, lui e Upal dicono di non volere neanche i soldi e chiedono solo una
eventuale mancia alla fine del soggiorno, se rimaniamo soddisfatti.
Vediamo il resto del gruppo all'altezza del mercato e invitiamo anche loro, ma
vengono soltanto Franca e Doriana: almeno saremo in quattro. Attraversiamo un
ponte e ci urlano di guardare giù: un grosso varano che sembra un coccodrillo
passeggia tranquillamente nell'acqua fangosa del fiume! Proseguiamo lungo una
strada asfaltata e piena di buche che porta fuori dal paese, ammirando il
paesaggio della campagna singalese. Sulla nostra destra costeggiamo un vasto
campo di fiori di loto, simile ad una palude, mentre in lontananza vi sono
alcune case sparse tra la fitta vegetazione di palme. Il percorso si dimostra
bello ma comunque molto più lungo del previsto e fa un caldo tremendo: altro che
cinque minuti! Dopo una mezzora finalmente scorgiamo in lontananza la statua del
Budda e, devo darne atto, è proprio alta e maestosa.

Il tempio si chiama Wewurukannala Vihara, ed ha influenze miste tra il buddismo
e l'induismo, che qui sembrano convivere e fondersi in sincera armonia. Il
biglietto d'ingresso costa una cifra irrisoria, qualcosa in più per chi ha la
macchina fotografica e la videocamera, ma Gian e Upal ci permettono di pagare a
forfait solo l'ingresso. Bisogna ovviamente togliersi le scarpe. Entriamo io e
Ste nella parte buddista, rimanendo molto colpiti dalla pace e dall'atmosfera
del luogo. I nostri improvvisati accompagnatori spiegano il significato di varie
statue: la reincarnazione per esempio, rappresentata in fila da oltre 50 budda
uno dietro l'altro, oppure la differenza tra la posizione del budda morto e
quello dormiente, che si percepisce solo per l'allineamento o meno delle dita
dei piedi.

Usciamo da questa prima parte del tempio ed entriamo a lato in un'altra sezione,
quella dedicata all'inferno. Rimango un po' sconcertato: non pensavo esistesse
il concetto di inferno anche per i buddisti! (a meno che non si tratti di
un'influenza induista). Le religioni non sono il mio forte. La Lonely Planet
cita questa parte come una sorta di disneyland fumettistica e in effetti non è
molto lontana dalla realtà. All'ingresso una serie di statue terrificanti ma
allo stesso buffe nella loro realizzazione, rappresentano una atroce tortura di
un uomo capovolto mentre viene segato in due, ad iniziare dalle parti basse (ahi
che male, diamine!) e del diavolo con tanto di corna. Da qua in poi si
susseguono dei corridoi, tutti minuziosamente dipinti da entrambe le pareti,
dove nella parte superiore vi sono le malefatte compiute nella vita terrestre, e
nella parte inferiore le corrispettive torture infernali. Una sorta di
gigantesco inferno di Dante con qualche centinaio di gironi! Purtroppo c'è molto
buio e si le pitture sono un po' lasciate andare all'usura senza alcuna
protezione e manutenzione, come del resto praticamente tutto qua intorno. E' un
grandissimo peccato!
Finita la singolare e interessantissima visita, saliamo le scale nel vasto
spazio all'aperto che prosegue verso la gigantesca e colorata statua del Budda,
ed entriamo alla sua base. Una lunga serie di gradini, spezzati a tappe da
diversi stanzoni con pareti anch'esse dipinte, salgono verso la cima. Arriviamo
in una prima terrazza panoramica proprio dietro la testa della statua e saliamo
l'ultima rampa di scale. La vista è stupenda e merita la fatica! Osserviamo per
diversi minuti la struttura del tempio, le persone piccole sotto di noi, e tutta
la fitta foresta di palme fino all'orizzonte. Si vede benissimo persino tutta la
strada che abbiamo fatto per venire qua ed il campo di fiori di loto. Gian
indica degli alberi in lontananza spiegando che là vivono tantissimi pipistrelli
e può portarci a vederli. Interessante! Però adesso non c'è tempo, così
promettiamo di tornare domani.
Per rientrare velocemente al Dickwella per pranzo velocizziamo i tempi fermando
un tuk-tuk. L'autista chiede appena 50 rupie (0,50 euro) per questo tragitto e
non sembra sia il caso di trattare visto che siamo in quattro...! Quanto viene a
testa? Salire in questo piccolo mezzo a tre ruote è un'impresa divertente quanto
incosciente ma va provato. Il tuk-tuk è del tutto identico a quello omonimo
tailandese. Sperimentiamo anche, meno piacevolmente, le buche della strada!
Dopo pranzo l'appuntamento è alle 14:30 alla reception per il tour a Matara, che
risulta compreso nel nostro pacchetto viaggio. Stavolta il pulmino è puntuale e
ne arrivano addirittura due per essere più comodi. La prima tappa è a Weligama:
più o meno tre quarti d'ora di viaggio caratterizzata da continui sorpassi e
guida sportiva del nostro autista che sembra gareggiare con il suo rivale,
partito in anticipo. Le scommesse sono fatte, tra le simpatiche battute di
Mauro, Luca e Marzia insieme con noi nello stesso pulmino: chi arriverà primo?
Superati in extremis i nostri compagni sul Mercedes sembra ormai cosa fatta, ma
il nostro autista si scompone all'ultimo sbagliando vicolo una volta arrivati a
Weligama! Ritrovata la strada siamo dunque ormai ultimi: scommessa persa.
Gianfranco accompagna all'interno di una abitazione, che è in realtà una vera e
propria fabbrica artigianale di gemme. Viene offerto qualcosa da bere in un
salone, per poi iniziare la visita nel laboratorio retrostante. Assistiamo qui
alla lavorazione materiale delle pietre. Diverse persone maneggiano
sapientemente precisi strumenti e pazientemente, una ad una, producono le gemme
passo per passo in una mini catena di montaggio. Il prodotto finale viene poi
portato in un salone più bello e rifinito, dove si svolgono le contrattazioni e
le vendite. Rimaniamo ad ammirare qua questi piccoli e preziosi oggetti esposti
in vetrine protette, mentre qualcuno del gruppo prova a contrattare e a
concludere qualche acquisto.

Risaliamo nel pulmino spostandoci verso Matara, a pochi chilometri di distanza.
Qua entriamo in un'altra casa-laboratorio artigianale, stavolta di batik. In un
piccolo cortile all'aperto troviamo alcune donne che lavorano il tessuto, anche
loro con una invidiabile pazienza e precisione, ricoprendo di cera la parte di
un determinato colore del disegno, che poi va bagnato e asciugato, togliendone
la cera e rimettendola sulla parte del disegno che presenta un altro colore. E'
un lavoro incredibile: non avrei mai pensato che potesse esserci tutto questo
dietro quei quadri e parei di stoffa appesi al muro! Alcuni sono bellissimi
anche se sono ancora incerati e quindi non conclusi. E' evidente, come viene
delucidato, che i batik più costosi sono quelli che presentano più colori,
perché ogni colore in più comporta una ulteriore 'passata' nel giro della
lavorazione. E ancora, fondamentale, il vero batik è solo quello che presenta lo
stesso disegno a specchio girando la stoffa da una parte all'altra. Se così non
è, si tratta 'soltanto' di stoffa lavorata, ma non di batik originale. Quante
cose si imparano! Il prodotto finale viene esposto in un'apposita sala dove si
svolge la vendita tra le più accese contrattazioni. Vediamo qualcosa di carino
ma la folla e il prezzo, intorno ai venticinque euro, ci inducono a desistere
per il momento dall'acquisto.

Terminata la visita veniamo condotti al centro di Matara, in prossimità di un
colle dove sorge un forte portoghese. Abbiamo un'oretta per passeggiare
liberamente per le vie della città. Da qua notiamo subito che Matara è un centro
abbastanza grosso: le strade sono molto animate, piene di tuk-tuk che svolgono
la funzione di veri e propri taxi. Si sentono continuamente i clacson e vi sono
persino paradossalmente mucche che attraversano indifferenti, bloccando il
traffico. Iniziamo camminando sull'orlo del fossato del forte, dove notiamo una
biscia marina nuotare nelle sue acque. Qualcuno vede anche una tartaruga su un
ramo gettarsi in acqua alla nostra vista. Dall'altra parte in un grande campo a
prato verde si svolge qualche manifestazione sportiva con la musica singalese
che accompagna in sottofondo. Terminato il periplo del forte, camminiamo per le
strade di Matara, passando un tempio e perdendoci tra bancarelle di ogni genere.
Compriamo delle penne e delle caramelle da dare ai bambini alla prossima
occasione, che sicuramente non tarderà a presentarsi.
Raggiungiamo nuovamente il pulmino ormai quasi buio, e torniamo al Dickwella per
le 19:00. Approfittiamo del tempo che rimane prima di cena per un bel bagno
notturno in piscina, estremamente rilassante dopo una giornata calda e caotica
come quella di oggi!
Dopo cena, lo spettacolo che viene presentato oggi è dedicato a Michael Jackson.
Gli animatori stupiscono il pubblico con i loro balletti perfettamente studiati,
a ritmo dei più grandi successi della famosa star, e confermano quella gran
forma fisica che già abbiamo notato i precedenti giorni. Più tardi, finito lo
show, sediamo in un tavolino tutti insieme di fronte alla piscina,
complimentandoci con loro per l'ottimo risultato ottenuto. Siamo in un atmosfera
ormai familiare: dieci turisti italiani e otto ragazzi del Dickwella, una
guardia e qualche cagnolino che si intrufola abusivamente nel villaggio deserto:
questo è il popolo del Dickwella Village! L'animatore fianco a me racconta del
suo modo di vivere, del suo lavorare di notte, dormire la mattina, studiare e
prepararsi il pomeriggio guardando anche delle videocassette. Gli piace quello
che fa e si impegna: i risultati infatti si vedono. Un altro animatore racconta
invece di suoi amici che sono venuti in Italia a cercare lavoro. Per loro
l'Italia è un mito: sinonimo di ricchezza, benestare, vita invidiabile piena di
tante cose che qui possono solo sognare. Gli spieghiamo che adesso, con le nuove
riforme, non è più tanto semplice entrare facilmente come una volta nel nostro
paese, e tanto meno trovare un lavoro per un emigrato che sia ben retribuito.
Quelli che a loro appaiono stipendi clamorosi sono anche da rapportare purtroppo
al nostro costo della vita, per cui rischiano di passare da una vita essenziale
ma dignitosa e con attorno un paradiso tropicale, un clima invidiabile etc.etc.,
ad una povertà squallida vissuta in un buco nell'inquinamento di una fredda
città indifferente a qualunque loro problema. Siamo sicuri che ne vale la pena?
Io non ne sono affatto convinto. Eppure narrano addirittura di alcuni loro
amici, imbarcati dallo Sri Lanka per arrivare sulle nostre coste dopo mesi, che
hanno passato disavventure pazzesche, avuto fregature da persone disoneste con
traffici illegali. Vado a letto riflettendo su quanto sia davvero forte, per
questi ragazzi, il sogno italiano, ma non sono ancora per niente convinto che ne
valga la pena. Abbiamo tentato un po' tutti di spiegarglielo stanotte, ma non è
per niente facile cancellare dei miti a dei giovani ragazzi che vedono soltanto
la bella Italia dai racconti dei turisti.
26 Ottobre- Pipistrelli. Artigiani del legno. Massaggio Ayurveda. Visita casa
locale. Tramonto in spiaggia. Danze tradizionali.
Abbiamo appuntamento con Gian e Upal in spiaggia per andare a vedere i
pipistrelli. Trovare i Beach Boys è un gioco da ragazzi, anzi, sono loro che
trovano sempre noi. Mi viene in mente che se anche volessimo cercare di staccare
un po' e stare da soli, sarebbe ormai cosa impossibile. Gli abbiamo dato
confidenza e adesso sono i nostri accompagnatori personali. Agli altri del
gruppo non è successo, non a tutti per lo meno. Loro sono stati più indifferenti
e all'interno dell'hotel, mentre io e Ste non riusciamo a stare fermi un attimo.
Non siamo neanche abbronzati e non abbiamo preso ancora sole sdraiati
comodamente sulla spiaggia. Ma per questo aspettiamo le Maldive. Meglio
approfondire ora la conoscenza di questo popolo singalese visto che ne abbiamo
l'opportunità!

Passiamo dal retro del Dickwella fino a raggiungere la strada principale dove
Gian e Upal contrattano con un tuk-tuk. Il conducente è un po' buffo con uno
strano modo di parlare nasale e un po' sdentato, ma sembra una persona per bene.
Saliamo stavolta solo noi con Gian, perché c'è pericolo di controlli in paese e
in quattro avremmo una multa salata! Prendiamo una strada secondaria e infine un
vero e proprio viottolo sterrato, fangoso, pieno zeppo di buche profonde. Il
tuk-tuk si improvvisa una vera e propria jeep!
Parcheggiamo all'ingresso della fitta foresta, vicino ad una casa rurale, appena
meglio di una baracca. Un bambino esce dalla porta e ci guarda incuriosito,
timido. Gian fa cenno di osservare sulla cima degli alberi, che sono alti almeno
una ventina di metri, dove si notano decine di pipistrelli dormienti a testa giù
appesi ai rami. Rimaniamo a bocca aperta, ma il bello deve ancora venire. Arriva
anche il conducente, parla un po' con Gian e accennano di andare a scoppiare
qualche sorta di petardo per farli volare. I loro visi si illuminano come quelli
di due bambini pronti a compiere la marachella, ma io e Ste non siamo d'accordo,
nel rispetto di quei poveri animali sonnecchianti. Spiegano allora che non sono
botti pericolosi e non fanno neanche rumore. Sono innocui fumogeni che li
svegliano per qualche minuto ma torna subito tutto come prima. Si imbarcano
nella loro impresa e scompaiono dietro gli alberi della foresta. Io e Ste,
attoniti e incuriositi, sorridiamo nel frattempo a quel bambino che continua a
uscire per pochi secondi dalla porta della sua modesta casa. Sentiamo un brusio
in lontananza e vediamo il fumo, mentre in contemporanea centinaia di
pipistrelli enormi iniziano a volare e strillare sopra le nostre teste girando
in tondo! Rimaniamo a bocca aperta: ce ne sono una quantità incalcolabile, molto
più di quelli che si vedevano a occhio nudo! Per fortuna volano là ad alta quota
e non si avvicinano. Riprendo tutto con la mia videocamera che ancora una volta
si rivela un binocolo utilissimo grazie al suo potente zoom. Dopo qualche
minuto, lentamente, ad uno ad uno i pipistrelli si riposano sugli alberi a
riprendere il sonno spezzato. E' stata una grande emozione! Prima di andar via
vediamo uscir fuori dalla casetta anche la mamma e un'altra figlia. Le chiediamo
se possiamo scattarle una foto ma fa un cenno negativo timidamente con testa. E'
la prima volta che accade e rispettiamo ovviamente la sua volontà.
Il conducente fa una divertente inversione tra il prato e il piccolissimo
viottolo, dopodiché risaliamo sorbendo nuovamente le voragini del terreno.
Ripassiamo di fronte al Dickwella e Gian chiede se vogliamo andare a vedere una
casa dove lavorano artigianalmente le statuette in legno. Ma sì, ormai siamo in
ballo e balliamo! Raccogliamo anche Upal visto che andiamo dalla parte opposta
al centro del paese priva di controlli. Dopo pochi minuti arriviamo di fronte ad
un'altra tipica abitazione locale. Questa è assai più accogliente di quella
vista prima, ma sempre molto modesta. Entriamo nel salone dove salutiamo un
bambino. C'è un televisore e l'arredamento non è male. Dietro si trova il
laboratorio, chiamiamolo così, del proprietario che adesso è fuori. Mi sorprende
come qua siano tutti una famiglia: si entra così facilmente nelle case altrui
senza porsi alcun tipo di problema. Io e Ste in realtà siamo un po' imbarazzati
e ci sentiamo dei perfetti estranei. Usciamo in cortile mentre arriva la signora
di casa. Saluta, parla un po' con i ragazzi (non capiamo una parola) e ci
lascia. Appare evidente che l'artigiano in questo momento è fuori e così Gian e
Upal pensano loro a mostrare il funzionamento e gli attrezzi del mestiere!
Prendono tanto di martello e scalpello, fatti rigorosamente in legno in maniera
del tutto semplice e primitiva, e mimano il gesto dello scolpire il tronco
ancora grezzo, prima che diventi una piccola opera d'arte. Vediamo alcuni
modelli non ancora terminati che fanno intuire i vari passaggi della
lavorazione. E' incredibile come sia tutto fatto a mano, statuetta per
statuetta! Non ce ne sarà mai una uguale perché non esistono strumenti meccanici
e industriali: qua si parla di lavoro artigianale puro al cento per cento!
Dopo la dimostrazione entriamo in una stanza per l'esposizione del prodotto
finale. Funziona da tutte le parti allo stesso modo. I lavori sono artigianali,
che si tratti di souvenir, di gemme preziose, di legno, di abiti e così via e il
concetto di fabbrica e produzione di massa non esiste. Si lavora nella propria
abitazione che allo stesso tempo è divisa in laboratorio e sala per
l'esposizione e la vendita. Rimaniamo ad ammirare vari oggetti e contrattiamo su
alcune cose dalle quali siamo più attratti. Alla fine raggiungiamo un accordo
per una statuetta di un pescatore di Galle, appeso al suo trampolo con tanto di
lenza: un ricordo carino e particolare. Lo paghiamo 950 rupie, non sapendo in
realtà se sia o meno un prezzo davvero buono visto che sono i primi che vediamo.
Aveva ragione Gianfranco però, devo ammetterlo, quando a Colombo, in quel
negozio di souvenir, diceva di dare uno sguardo veloce a tutti i prezzi.
Salutiamo e torniamo al tuk-tuk. Chiediamo di lasciarci in paese all'Internet
Point di ieri, dal quale con 80 rupie, che sono esattamente 80 centesimi di
euro, mandiamo una email a casa, senz'altro più economica di qualsiasi
telefonata. Rientriamo poi al Dickwella passando per la spiaggia: una piacevole
passeggiata fatta in compagnia, tanto per cambiare, dei soliti bambini che sono
ovunque! Sostiamo nella piazza dove si svolge il mercato, oggi deserta. C'è solo
qualche mucca sdraiata che si riposa. Il sole è caldo ma per fortuna smorzato
dal costante vento. Barattiamo qualche penna e caramella in cambio di qualche
bel primo piano, con il trucco di mostrare subito la foto digitale ai bambini
per stupirli che funziona sempre.
Arrivati in hotel troviamo i nostri compagni in spiaggia intenti nelle
contrattazioni con i venditori ambulanti: parei, asciugamani, batik, magliette,
un po' di tutto. Stefania si aggrega immediatamente per acquistare qualche pareo
mentre riprendo la scena con la videocamera. Poi vedo anche io una maglietta con
davanti il disegno di un elefante visto frontalmente e sul retro il disegno del
suo posteriore. La spuntiamo al prezzo di 850 rupie (8,5 euro) insieme a due
splendidi parei colorati: non male!
Torniamo in stanza che si è già fatta ora di pranzo. Il pomeriggio optiamo per
un massaggio Ayurveda serio e non di prova come l'altro giorno. Stefania sceglie
lo Shirodara, un trattamento alla testa con olio caldo, ed io uno classico alla
schiena. Durano entrambi più o meno un'ora. Ne usciamo completamente rilassati:
ne è valsa la pena!

Poco dopo scendiamo in spiaggia dove ancora una volta troviamo Gian e Upal (ma
non sono anche pescatori? E quando pescano se sono sempre con noi?), che
chiamano i bambini per mostrarci qualche danza tradizionale. Si riunisce così il
solito gruppetto di quattro ragazzini, che iniziano un po' timidamente a ballare
e cantare in gruppo, senza nessun aiuto, incalzando grazie al nostro
incitamento. Sono divertenti e spontanei, così tanto che Stefania si fa
coinvolgere provando i movimenti insieme a loro!

Terminato lo spettacolo camminiamo insieme dall'altra parte degli scogli, dove
tramonta il sole, verso l'arco di spiaggia che finora non abbiamo ancora visto.
Vi sono molti pescatori in mare su quelle strane e strette barchette che
assomigliano a catamarani. Qualcuno simpaticamente saluta anche col braccio al
nostro passaggio. La sabbia d'orata, le alte palme e la fitta vegetazione si
susseguono esattamente come in tutta la costa vista finora. Alla fine della
spiaggia il paesaggio è stupendo. Alle nostre spalle si vede il Dickwella mentre
di fronte il sole sta tramontando colorando di giallo e rosso fuoco il cielo.


Siamo attrezzati di cavalletto apposta e lo piazziamo per scattare qualche
indimenticabile foto. Ne faccio una a due bambini sulla nostra destra, seduti
vicino ad un edificio diroccato senza tetto. Uno abbandonato come tanti altri
penso, ma Gian e Upal affermano che in realtà quella è la scuola! Il sole scende
rapidamente non deludendo le nostre aspettative e regalando un tramonto
memorabile sull'oceano, alle 18:00 in punto.

Mentre torniamo indietro al calar della luce, Nilani invita teneramente a vedere
casa sua. Siamo del tutto spiazzati e un po' titubanti, ma lei insiste
prendendomi per mano e noi accettiamo. Del resto, un'occasione così non capita
tutti i giorni. Attraversiamo il prato sul retro della spiaggia e finiamo sulla
strada principale, che seguiamo per un breve tratto. Attraversiamo anche questa
e raggiungiamo un piccolo e povero quartiere di case e baracche. Non c'è strada
né luci ma solo terra e fango. Abbiamo qualche difficoltà persino a salire
all'ingresso in pendenza perché si scivola molto. La casa che visitiamo è quella
di uno dei bambini: è in muratura ma è quasi un rudere. Gian spiega che le
famiglie più povere, come questa, non hanno neanche la corrente e la luce
elettrica. Scorgiamo infatti delle candele dalle aperture del muro dove in
realtà dovrebbero esserci delle finestre, e alcune persone sul fondo che si
lavano con un secchio. I più fortunati invece hanno il televisore, e lo
condividono riunendosi in gruppo per vederlo. Come noi italiani per il rito
delle partite di calcio. Siamo attenti e silenziosi, immersi in questa che per
noi rappresenta la prima vera esperienza di povertà nello Sri lanka e nella
nostra vita. Non mi sfiora nemmeno il pensiero di riprendere o fare qualche foto
a queste persone perchè non è proprio il caso. Mi chiede Nilani, prendendomi
teneramente per mano, cosa ne penso di tutto ciò ed io, imbarazzato più che mai,
rispondo cercando di essere normale con un: 'carino qua'. Pessima uscita, ma del
resto cosa si può dire in questi casi? Mi risponde sbigottita in italiano:
'Carino? Questo è carino?!'. Non dimenticherò mai la sua espressione mentre lo
dice, così sorpresa ed allo stesso provocatoria.
Ci spostiamo un po' più su nella sua casa. Qui arriva la corrente elettrica, ma
le condizioni sono comunque pessime. Sediamo un po' sulla veranda osservando
tutto intorno. Dopo qualche minuto arriva la mamma e altri bambini: sono i
fratelli e le sorelle, ben sette in tutto! Entriamo dentro, in una stanza di
modeste dimensioni, con un letto rotto e un nuvolo di zanzare intorno. Sulle
pareti notiamo delle foto appese, che loro mostrano tutti orgogliosi! Sono
quelle fatte dai turisti e per qualche raro e grandioso evento. La mamma torna
con in mano un paio di piccoli limoni e ce li offre insieme a delle conchiglie,
affermando qualcosa. Gian traduce spiegando che ha appena detto che portano
fortuna. Non chiede nulla in cambio, né soldi né altro. Chiede solo se le
possiamo mandare le foto dandoci l'indirizzo. Credo di esser stato poche volte
così commosso in tutta la mia vita e le prometto di farlo sicuramente. Intanto
si fa buio ed è ora di tornare in hotel. Lasciamo i bambini mentre Gian e Upal
ci aiutano nella nostra goffa discesa tra fango ed erba scivolosa. Avremmo
dovuto portare almeno una pila!

Torniamo al Dickwella scossi e provati, con tanti pensieri per la testa. Per
rilassarci un po' nuotiamo nella calda piscina illuminata, insieme a Franca,
raccontandole la nostra toccante esperienza. Lei ne ha fatte tante e molto
peggio in Africa.
Dopo cena, il gruppo si riunisce come di consueto nella terrazza all'aperto per
lo spettacolo. Oggi fanno da protagonisti un signore in costume, un suonatore di
tamburi e due ragazze, che propongono alternati alcune danze tradizionali. La
musica, ritmica e ripetitiva fino all'ossessione, è costituita solo dal rumore
del tamburo e da quello del signore che provoca ballando durante i suoi
movimenti, avendo legato su ogni articolazione diversi campanelli. E'
incredibile con quanta precisione debba calcolare ogni suo minimo movimento per
ritmare a tempo il campanellio con il tamburo. E lo stesso vale anche per le
ragazze, che si alternano in alcune danze. Ad ogni ballo successivo il signore
rientra mascherato da capo a piedi sempre in modo diverso. Si propone alla fine
con un costume molto inquietante, avvicinandosi a noi con una macabra maschera e
illuminandola con delle torce che ruota abilmente con le braccia! Per fortuna il
tutto assume un aspetto divertente ed esilarante tra il gruppo quando il
personaggio si ferma più volte sussurrando con una voce da vecchietta:
'OHI!OHI!'. Ma quella maschera terrificante proprio non la vorrei sognare
stanotte!
27 Ottobre- Safari allo Yala National Park
La sveglia è alle 5:30 del mattino. Fuori è ancora buio pesto, vedremo l'alba
durante il viaggio in pulmino verso lo Yala National Park. Sia io che Ste siamo
eccitatissimi perché questo di oggi è il nostro primo safari vero e proprio! Non
tutto il gruppo ha deciso di partecipare, anzi, siamo solo noi con Franca e
Doriana, insieme a Gianfranco e Saman del Dickwella che fanno fa accompagnatori.
L'appuntamento è alla reception, dove vengono consegnati i pacchetti per la
colazione, che nessuno però consuma sul momento risparmiandoli per metà
mattinata. Saliamo nel pulmino e intraprendiamo il lungo viaggio di un'ora e
mezza verso il parco. Non c'è traffico e il conducente va spedito; cosa che,
unita alle curve, al sonno ed allo stomaco vuoto sono una pessima combinazione
per uno come me, che soffre ogni mezzo di trasporto esistente sulla terra.
Alle prime luci dell'alba arriviamo a destinazione. Sostiamo per la colazione
con un the caldo, poi Saman va a prendere la guida, che arriva con una bella
jeep da safari: alta, con i sedili a panca laterali per i passeggeri e aperta su
tre lati con il tetto coperto. Stiamo perfettamente in sei seduti comodi, con
gli zaini sul pavimento. Vi sono anche i binocoli che saranno utilissimi.
Percorriamo un lungo tratto di strada sterrata in pianura, ammirando il
paesaggio che è stupendo. Sostiamo in un'area apposita poco prima dell'entrata
allo Yala National Park. E' un capannone adibito a museo di fauna locale che
mostra anche la cartina geografica e stradale del posto. Faccio due passi ancora
rintontito dal viaggio in pulmino, mentre Ste gioca con alcuni gattini. Saliamo
nuovamente sulla jeep e dopo un altro tratto di strada finalmente arriviamo al
vero ingresso che si presenta come una sorta di casello stradale. Il conducente
parla con l'addetto. Viene segnato su un registro l'orario di entrata e arriva
il nostro battitore, che per il safari in questo parco è obbligatorio. Si siede
a fianco all'autista e finalmente, alle 8:00, diamo inizio al safari!
Dopo pochi metri incontriamo subito due esemplari di scimpanzé della specie
'Entello di Sri Lanka', facilmente riconoscibili dalle illustrazioni della
Lonely Planet. La strada sterrata è in ottime condizioni, credevamo molto
peggio. Affido la mia fotocamera digitale a Gianfranco seduto a fianco, visto
che io sono impegnato nelle riprese, mentre Stefania usa la sua Canon EOS 300
tradizionale, Franca usa invece una videocamera digitale e Doriana una
fotocamera compatta. Gli incontri si susseguono uno dietro l'altro, come gli
scorci stupendi e mozzafiato di alcuni tratti del paesaggio che si aprono
all'improvviso dietro qualche curva. Vediamo frequentemente cerbiatti,
cinghiali, bufali, cervi pomellati e purtroppo ci rendiamo presto conto, come
davamo per scontato, di essere molto svantaggiati per le foto senza un potente
teleobiettivo. Gli animali rimangono distanti dalla strada principale e
risultano troppo piccoli. Per l'ennesima volta, ringrazio di aver scelto almeno
la mia videocamera con uno zoom ottico 20x: meraviglioso, anche se fare riprese
stabili con la jeep in moto che balla ad ogni minimo movimento dei passeggeri è
un'impresa!

Il nostro reale obiettivo, afferma l'autista, è trovare gli elefanti perché più
tardi, come il sole inizia a scaldare, si ritirano all'interno della foresta ed
l'avvistamento si complica. Gli chiediamo anche dei leopardi ma, come già
sapevamo, non è un buon periodo per vederli e per trovarli bisogna rimanere
diversi giorni all'interno del parco. Sul lato destro costeggiamo una vasta
distesa di fango con enormi pozze d'acqua, dove sono evidenti le orme fresche
degli elefanti appena passati: siamo sulla strada giusta!
Troviamo in uno spiazzo un iguana che scava una fossa, e dietro un pavone
maschio che apre a ruota la sua coda in segno di corteggiamento. Purtroppo non
si gira mai frontalmente verso di noi e la parte più bella della coda rimane
nascosta. Più avanti in ampi prati verdi con diversi laghetti troviamo gli
aironi, poi i pellicani. Avvistiamo l'aquila e la mangusta, persino uno
stambecco, ma di elefanti ancora nulla. Caspita, e noi che pensavamo fosse
pieno! Parlano tutti dello Yala come una riserva dove è facile incontrare questi
animali, ma per noi oggi non lo è affatto.
La strada sterrata continua ad essere sempre in buone condizioni e c'è poco
movimento in giro. Incrociamo solo qualche jeep, che salutiamo mentre gli
autisti si scambiano tra loro informazioni e avvistamenti. Devo dire che il
nostro è davvero bravo: riconosce facilmente le orme, i gesti degli animali e
persino i suoni, che talvolta imita per attirarli. Il battitore invece sembra un
turista come noi, parla poco e non pare granché utile. Il paesaggio è spesso di
vedute molto ampie poiché la vegetazione è rada e vi sono grandi spazi
pianeggianti. E' allo stesso tempo è vario e affascinante.
Verso le dieci e mezza raggiungiamo il confine del parco di fronte all'oceano.
Parcheggiamo la jeep sotto gli alberi e scendiamo a fare due passi nella bella e
lunga spiaggia d'orata. Consumiamo i pacchetti della colazione mentre ammiriamo
lo stupendo panorama incontaminato. L'entusiasmo del safari ha preso il
sopravvento e il mal d'auto adesso mi è passato, sto molto meglio!
Riprendiamo il tragitto sui sentieri sterrati del parco esclusivamente alla
ricerca degli elefanti. Superata una curva sostiamo ad osservare il paesaggio
che è il più straordinario visto finora: un enorme acquitrino, circondato da
prato e fiori con centinaia di farfalle e qualche gruppo di cinghiali, con in
lontananza alberi spettrali e secchi e una particolare cresta rocciosa. Il tutto
immerso in una pace perfetta, come solo la natura sa creare.
Iniziamo ad essere seriamente preoccupati di non riuscire a vedere però i nostri
amati mammiferi, visto che il sole è alto e sta facendo molto caldo. L'autista a
questo punto dà il meglio di sé e tenta di seguire le tracce per un sentiero
secondario. Lasciamo così la strada principale e intraprendiamo un viottolo dove
finalmente la jeep può dimostrare le sue potenzialità. Passiamo un tappeto
roccioso, diverse buche profonde e sfioriamo la vegetazione di striscio nei
punti più stretti. Questo è il safari come lo si vede nei documentari!
All'improvviso arriva l'urlo di Gianfranco: 'Eccolo! Fermo!'. L'autista blocca
la jeep e torna indietro. E' là per davvero l'elefante, nascosto tra la
vegetazione che strappa con la possente proboscide per il suo pasto quotidiano.
E' sfuggito alla vista di tutti ma Gianfranco è stato grande! A motore spento,
osserviamo per vari minuti in perfetto silenzio l'animale. L'autista dice che ce
ne sono altri, almeno tre; poi diventano cinque, ma io ne vedo sempre solo uno!
E' incredibile ma pur così grossi gli elefanti riescono a mimetizzarsi
perfettamente tra gli alberi, non l'avrei mai detto! Il nostro esemplare
visibile sembra non avere via di uscita: l'unico sentiero libero è quello che dà
sulla strada e quindi sono convinto che prima o poi dovrà venire allo scoperto.
Invece rimango a bocca aperta quando lo vedo sparire tra la vegetazione,
facendosi strada sradicando tutto quello che c'è intorno senza difficoltà! Certo
che vederli selvatici è tutta un'altra cosa, io mi ero abituato ai docili
elefanti addestrati della Tailandia. Dopo pochi minuti ecco uscirne un paio a
pochi metri di distanza. Uno si nasconde perfettamente dietro un albero a
mangiare: non riuscirei a riconoscerlo se non l'avessi visto entrare là! Poi
finalmente esce allo scoperto l'intero branco. Fa da guida una mamma che
protegge un bellissimo cucciolo, poi ne arrivano altri dietro. Seguono la strada
sterrata, proprio di fronte a noi a pochi metri: è un'emozione grandissima! Nel
silenzio profondo si sentono tutti i nostri movimenti e gli scatti delle
macchine fotografiche, persino i respiri. Ad un certo punto, proprio sul più
bello mentre gli elefanti passano a fianco, all'improvviso sentiamo il motorino
di riavvolgimento del rullino: è Saman che ha finito le foto! Fa un chiasso
micidiale e cerchiamo di coprirlo subito. Per fortuna gli elefanti non se ne
preoccupano.

Passato l'ultimo esemplare davanti a noi, l'autista accende la jeep per stare
dietro al branco che dopo qualche decina di metri si getta nuovamente tra la
vegetazione. Li abbiamo disturbati e non appena arriviamo nel punto dove sono
scomparsi, troviamo ad attenderci l'enorme testa della madre capogruppo che
spunta dal fitto verde con un possente e terrificante nitrato! Ci congela
spaventosamente, l'autista spegne la jeep e comanda di stare zitti. Ma non c'era
alcun bisogno di dirlo: siamo a dir poco pietrificati, comprese macchine
fotografiche e cineprese varie. L'elefante è di fronte a me, Gianfranco e
Stefania, ad un paio di metri in linea d'aria, proprio dal lato della jeep dove
siamo seduti. Lo vediamo benissimo, è enorme, ha uno sguardo provocatorio e
deciso: credo di non aver mai avuto così paura ed allo stesso tempo rispetto per
nessun animale prima. Dopo pochi secondi, gira gli occhi e riprende indifferente
a mangiare, ma per noi è stata una grande lezione. Siamo convinti che se
qualcuno avesse urlato avrebbe caricato e rovesciato senza troppi complimenti la
jeep! L'autista spiega che le femmine diventano aggressive quando hanno i loro
piccoli da proteggere. Del resto, è comprensibilissimo. Quella che vediamo è la
capogruppo, che rimane sempre per ultima a controllare la situazione nei
dintorni.

Appagati e carichi di adrenalina da questa eccitante esperienza, giunge l'ora di
rientrare. L'autista chiede se siamo soddisfatti e noi lasciamo una discreta
mancia come ringraziamento: è stato bravo! Durante la via del ritorno,
assistiamo all'ultimo eccezionale evento del giorno: un aquila plana proprio
davanti a noi gettandosi a capofitto sulla strada pochi metri avanti, catturando
un serpente e portandoselo sopra un albero. Il tutto dura appena qualche secondo
ma è davvero una di quelle scene che pensavo si vedessero solo nei documentari!
Torniamo al casello dove viene registrato il nostro orario di uscita dal parco
(mezzogiorno in punto). Percorriamo qualche chilometro tra il paesaggio che
assume sembianze del tutto simili alla savana, e lasciamo infine la jeep
riprendendo il nostro originario pulmino.
Arriviamo al Dickwella e pranziamo, poi riposiamo in stanza stanchissimi.
Stefania va a farsi un altro massaggio Ayurveda completo, e poi andiamo in
spiaggia dove passeggiamo per un po' con i bambini. Troviamo sempre Gian e Upal
in attesa, e ne approfittiamo per passeggiare in paese a cercare qualcosa da
comprare loro per la scuola. Rimango piuttosto sconcertato dal fatto che i
bambini non possano venire con noi. I Beach Boys spiegano che non è saggio
camminare in paese con i bambini piccoli perché ci guarderebbero tutti molto
male e la polizia ci fermerebbe subito per controlli. La colpa è della
pedofilia, tristemente praticata dagli stranieri, soprattutto europei, che
vengono qui a cercare le loro piccole e innocenti vittime. Da non credere!
Abbiamo sentito parlare di questi bastardi anche da Gianfranco che raccontava
qualche giorno fa una brutta storia che si prolunga da qualche tempo qui nei
dintorni, ma non pensavamo di essere ai livelli di non poter camminare con dei
bambini senza essere guardati come dei mostri. Tutto questo è allucinante e il
pensare a viscidi luridi esseri umani che mettono le mani addosso a dei bambini
fa venite l'ulcera dalla rabbia. Altri pensieri su cui riflettere molto stanotte
e in futuro.
Ad ogni modo giriamo per i negozi in cerca di qualche vestitino, con l'aiuto
indispensabile di Gian e Upal che conoscono le taglie dei nostri amati bambini.
Non troviamo nulla di particolarmente allettante, la qualità del tessuto è
scarsa e non siamo convinti dei disegni. Così optiamo per la stoffa bianca degli
abitini di scuola. Ce ne vogliono 2,5 metri per ciascuna delle due bambine e 3
metri per la terza più alta. Siccome è tardi sentiamo adesso il prezzo ma
torneremo a comprarli domani mattina.
Siamo nuovamente al Dickwella ormai buio. La stanchezza si fa sentire: stasera
si cena e si va a nanna!
28 Ottobre - Tour al tempio di Mulkirigala. Fuochi in piscina.
Dopo una lauta colazione raggiungiamo l'uscita del Dickwella, dove attendiamo
Gian e Upal per andare in paese e comprare la stoffa bianca per gli abitini da
scuola dei bambini. Pattuiamo il prezzo per dieci metri di stoffa in 1100 rupie,
e rientriamo dalla spiaggia percorrendo la nostra ultima passeggiata con vista
oceano qui nello Sri Lanka. E' strano come l'ultimo giorno in cui si sta in un
posto si osservino le cose con una prospettiva diversa, più intensa e purtroppo
spesso malinconica. In ogni caso siamo più che entusiasti di partire domani per
le Maldive!
Prima di arrivare al Dickwella, Gian e Upal mostrano un ristorante di pesce
molto carino. Leggiamo il guestbook dove tanti turisti, tra cui molti italiani,
hanno lasciato i loro commenti e le impressioni: tutti favorevoli e superlativi,
si mangia proprio bene qua! E guardando il menù, scopriamo che una cena a base
di aragosta viene anche meno di quella pagata in hotel: 15 euro in tutto! Dietro
al ristorante un signore sta scegliendo, da una grossa scatola in cartone,
proprio le aragoste fresche. Ci avviciniamo: sono grandi e insabbiate, ancora
vive. Mai viste tante in una volta sola!.
Sediamo su una seggiola, scegliendo le cartoline tra una pila che abbiamo
richiesto a Upal di procurarci. Dopo una ventina di minuti finalmente le
trattative si concludono e ne acquistiamo ben 35! Prima di rientrare lasciamo
loro una mancia come ringraziamento per la compagnia, la guida e la simpatia che
hanno regalato in questi giorni. Una volta in stanza decido di dare anche il mio
cappellino a Gian (che ha gentilmente chiesto come ricordo) e il mio vecchio
portafoglio in pelle a Upal. Ne rimangono molto contenti e lo considerano un
gesto affettivo da tenere come ricordo. Ammetto che siano stati un po' ossessivi
durante questa settimana ma fanno molta tenerezza, sono dei bravi ragazzi.
E' una bella giornata di sole ed essendo ancora presto sentiamo forte il
richiamo della piscina dove nuotiamo per un breve refrigerante bagno.
Dopo pranzo incontriamo anche i bambini ai quali doniamo i nostri regali. C'è
pure Mauro che sta dando loro dei vestitini. Noi abbiamo la stoffa da
distribuire e lo zaino fornito dal tour operator Azemar a Milano, che abbiamo
deciso di regalare a loro che ne hanno sicuramente più bisogno. Alle tre bambine
spetta la stoffa, mentre lo zaino lo regaliamo ad un'altra bambina piccola che
ci osserva da lontano, timida, abbracciata al padre. Una scena tenerissima e
quasi commovente, così come l'ultimo saluto ai nostri cari, simpatici e allegri
singalesi.
Alle 15:00 in punto siamo alla reception per attender il pulmino che condurrà a
Mulkirigala, alle pendici di una roccaforte nella quale è stato costruito un
tempio nella roccia. Il tragitto non dura molto e una volta arrivati ci troviamo
nel mezzo del verde di una splendida foresta. Scorgiamo lo spuntone di roccia
che è la nostra meta da scalare con oltre 500 gradini! Già dai primi passi il
paesaggio si fa molto suggestivo e il panorama passa dalla visuale di pochi
metri tra la fitta vegetazione lussureggiante, a scorci all'aperto sempre più
ampi, man mano che prosegue la salita verso l'alto.

Ad un primo terrazzamento visitiamo una sala scolpita nella roccia. Lo sono
anche le statue all'interno viene detto, successivamente pitturate e oggi
vivacemente colorate come in ogni tempio buddista.

Un anziano signore si
avvicina un po' a tutti chiedendo se conosciamo l'inglese. Tutti rispondono
prontamente e furbescamente in modo negativo, mentre il nostro leggero
tentennamento porterà ad avere questa persona attaccata come una patella durante
il resto del percorso. Inizialmente si dimostra tranquillo, tenta di spiegare
qualcosa su storia e tradizioni del tempio, anche se noi abbiamo già la guida
del Dickwella. E' utile solo perché rimaniamo staccati dal gruppo per godere in
tranquillità del paesaggio e per scattare foto e riprendere a volontà.

Dopo altri gradini arriviamo ad un'altra terrazza con ottimo panorama, dove si
vede persino il nostro pulmino in fondo, piccolo come una formica. Visitiamo
altre due sale nella roccia, e proseguiamo per l'ultimo tratto che risulta un
po' più complicato. I gradini sono anch'essi scavati nella roccia, stretti e
poco profondi, ma ci sono delle corde a cui tenersi e aiutarsi. Salta fuori il
primo macaco con berretto, che osserva incuriosito la nostra ascesa. Poi, una
volta sopra, ne arrivano a decine a prendere le caramelle. Corrono e saltano da
una parte all'altra ma rimangono comunque diffidenti dall'avvicinarsi troppo o
nel giocare. Agguantano la caramella e scappano sul ramo più vicino.
Infine ancora una breve camminata conduce alla vera e propria cima della
montagna, un balcone con uno strapiombo di oltre 200 metri sulla foresta!

Una
bella emozione, animata da un altro macaco solitario che posa sugli alberi,
quasi sospeso nel vuoto, a godersi lo strepitoso panorama. Sembra uno di quei
posti che per la sua posizione ed isolamento pare perfetto per eremiti e monaci
lontani dal mondo e dall'umanità. Purtroppo, il vedere un signore che chiede
l'elemosina attrezzato con tanto di banco, sedia e cartelli in nome del bene del
tempio, fa sospettare che anche qui l'odore materiale dei soldi ha rovinato
l'atmosfera religiosa del luogo.
Sospetto che viene confermato durante la discesa, quando il signore
improvvisatosi guida in inglese, inizia a parlare della sua numerosa famiglia da
sfamare, pregando di lasciare un aiuto per loro e le solite cose di cui ormai,
dopo una settimana, siamo sinceramente stanchi di sentire.
Il percorso del rientro prevede una sorta di giro ad anello e quindi risulta per
un bel tratto diverso da quello dell'andata. Vi sono addirittura più scalini che
in tutto, sommati, sembrano essere circa 530: non male come esercizio per le
gambe! Quasi arrivati alla fine, torna ormai ossessiva, quasi una lagna ed una
pretesa, la richiesta di mancia del signore che indispettisce senza precedenti.
La nostra sfortuna è non avere cambio spicciolo, così sono costretto a dare una
banconota da 500 rupie al malcapitato affermando prontamente che la mancia è di
100 rupie. La più alta che abbia lasciato, tra l'altro, qui nello Sri Lanka
seguendo i consigli di Gianfranco il quale sostiene a ragione che 100 rupie sono
una mancia molto più che discreta. Il nostro 'amico' non è affatto contento e
pretende almeno 200 rupie per aver detto le sue due incomprensibili parole in
inglese! Rimango allibito e mi pento quasi di avergliene voluto dare 100. Dopo
un po' di battibecco (da parte solo sua perché io non sono affatto né scortese
né arrabbiato), ne ritorna con il resto di 300 rupie mentre il gruppo sta
salendo velocemente nel pulmino per tornare indietro. A questo punto rimango
imbestialito. La sua arroganza nell'essersi appropriato dei soldi che non gli
volevo dare è vergognosa, senza alcuna dignità al contrario di altre splendide
persone, molto più povere di lui, che abbiamo avuto la fortuna di incontrare al
Dickwella. Insisto nel riavere le altre 100 rupie nella fretta di dover salire
nel pulmino ma lui rifiuta perentoriamente. Questo si chiama rubare. Ma che
bravo, ha imparato bene il mestiere! Non solo, ha il coraggio di andare a
chiedere altri soldi ai miei compagni che stanno a loro volta salendo sul
pulmino con le stesse patetiche lamentele di mantenere la famiglia, ma a loro
non ha neanche fatto da pseudo guida: che coraggio! Come se non bastasse,
arrivano in corsa anche i bambini non appena vedono svolazzare le 300 rupie di
resto, chiedendo a loro volta la loro parte. 'Chiedetela a vostro padre' gli
rispondo, ancora in senno per evitare una scenata inopportuna che non sembra il
caso di fare, rendendomi conto dalle loro facce che probabilmente, da quel padre
a cui ho dato 200 rupie, non vedranno neanche uno spicciolo. Ammesso che sia il
padre certo. Il mio disappunto ovviamente non è per la quantità dei soldi in sé
stessa che per noi è ridicola (parliamo di 2 euro) ma per la totale mancanza di
rispetto, l'atteggiamento arrogante, pretenzioso e senza alcuna umiltà di questa
persona che vive a sbaffo dei turisti, senza far nulla, in un luogo religioso
dove ci si aspetta di trovare persone, tra l'altro, un attimino più spirituali.
Ma dove sono finiti i veri monaci?
Rientriamo al Dickwella alle 18:30, già buio ma ancora in tempo per l'ultimo
bagno in piscina. Poi torniamo in camera e usciamo per la cena. Stasera c'è
doppia festa: i venticinque anni di matrimonio di Ambrogio e Gabriella, per i
quali abbiamo organizzato una torta a sorpresa, e lo spettacolo notturno in
piscina, che pare sia tradizione fare ogni fine settimana per salutare i clienti
che vanno via. Appena mettiamo piede fuori dalla stanza però inizia a diluviare!
I lampi frequenti illuminano a giorno e la pioggia è talmente forte che non
abbiamo il coraggio di attraversare quei pochi metri che dalla passerella di
legno coperta superano la piscina e portano alle scale verso la sala di
ristorazione. E' però un grande spettacolo! Per fortuna dopo pochi minuti tutto
si placa e possiamo cenare in pace. Se avesse continuato avremmo perso anche lo
spettacolo, che invece si farà regolarmente all'aperto di fronte alla piscina.
La sorpresa della torta riesce bene e Ambrogio e Gabriella ne rimangono
contenti. Per due grandi viaggiatori come loro sarà consuetudine festeggiare in
viaggio questi eventi, li invidio proprio!
Verso le 22:00 scendiamo in zona piscina, dove hanno preparato delle sedie per
assistere allo spettacolo. Hanno detto che sia stupendo e siamo molto
incuriositi. L'atmosfera è perfetta: è calata la pace assoluta, l'acqua della
piscina è immobile e funge da specchio per le luci mentre la temperatura è
piacevole. Parte la musica e la solita presentazione di Gianfranco, che spiega
la storia della rappresentazione a cui stiamo per assistere. E' un classico del
genere: un principe ed una principessa si innamorano e vivono felici e contenti
fin quando i 'cattivi' non vengono a uccidere il principe e imprigionano la sua
amata. Ma un angelo salva il principe, che affronta in duello il cattivo numero
uno e libera la sua principessa. Ebbene, nonostante il tutto possa sembrare
banale e scontato, lo spettacolo non lo è affatto: al contrario, risulta più che
mai ricco di colpi di scena ed eccezionale! Mentre la musica accompagna in modo
appropriato il crescere della storia, il punto forte dello show risultano la
bravura degli attori (gli animatori del Dickwella) unita agli 'effetti speciali'
dei fuochi e delle luci riflesse sull'acqua. Quando i protagonisti passano con
la loro torcia ad accendere altri punti di fuoco e luce sparsi nel grande
palcoscenico naturale della piscina, si avverte tutta la magia di questa serata.
E quando arrivano i cattivi, dal tetto del Dickwella, volteggiando con le torce
infiammate e scendendo dalle altissime palme, è un tripudio. Qualcuno, me
compreso, ha rischiato l'infarto nel veder saltare dal tetto da un altezza di
diversi metri un ragazzo dritto in piscina, nel punto più basso della stessa,
senza alcuna protezione! Per non parlare dello scontro, memorabile ed
indimenticabile, dei cattivi contro il principe, armati di spade infuocate che
nulla hanno da invidiare alle spade laser di Star Wars, con la differenza che
questo però è fuoco vero! L'agilità, la prontezza di riflessi e le capacità di
questi ragazzi sono pressoché incredibili. Chiamarli animatori mi pare
riduttivo, hanno le potenzialità per fare ben altro.

Rimaniamo estasiati per tutto lo spettacolo, che dura circa 45 minuti.
Scrosciano gli applausi che, pur essendo soltanto di noi dieci clienti, paiono
quelli di uno stadio al grido 'goal!' della propria squadra. Il tutto si
conclude con il rito finale del cerchio di fuoco, e del salto all'interno di
esso per il tuffo in piscina. Ne nasce un putiferio tra schizzi e giochi
d'acqua. Il fatto però di partire alle tre e mezza del mattino, cioè tra qualche
ora, impedisce a molti di gettarsi spensieratamente in piscina senza dover
pensare di buttare poi infradiciati i vestiti, peccato! Mauro e Luca vanno
contro tendenza e si fanno il bagno così come sono: del resto loro hanno un
compito preciso e si sono allenati 'duramente' in questi giorni per regalare uno
spettacolino esilarante di acqua gim in onore di Ambrogio e Gabriella! E bravi
ragazzi!
Finisce così in un'atmosfera memorabile di gioia, serenità e magia, il nostro
soggiorno al Dickwella che ha regalato intense e profonde emozioni per una
settimana intera. Torniamo in camera a chiudere le valigie. Tra un po' si parte,
appena il tempo di un piccolo sonnellino
29 Ottobre - Da Dickwella a Colombo.
Non c'è che dire, è una bella levataccia alle 3:30 del mattino anche quando si è
in vacanza! Chiudiamo le valige definitivamente e andiamo alla reception
insieme al resto del gruppo. Stavolta, al posto di un unico bus come all'andata,
siamo divisi in tre pulmini che arrivano verso le quattro. Ci viene consegnato
il fagotto con la colazione e prendiamo posto, cercando una posizione comoda
nella speranza di fare un pisolino durante le lunghe ore che separano da
Colombo. Speranza che viene presto vanificata dall'assurda guida del nostro
autista, che nonostante le strada inizialmente poco trafficata (è ancora buio,
non è spuntata neanche l'alba!) non risparmia la sua andatura sportiva tra
brusche accelerate, frenate e sorpassi continui, su una strada ad una sola
corsia per senso di marcia e in condizioni non certo eccellenti. Insieme a noi
siedono Luca, Marzia e Mauro. Gianfranco, davanti con l'autista, è l'unico che
riesce clamorosamente a prender sonno nonostante si veda la sua testa penzolare
bruscamente da una parte all'altra. Comprendo che lui si è abituato ormai, a
furia di compiere questo tragitto tutte le settimane per andare a riportare i
turisti all'aeroporto e prelevare i nuovi arrivi da Milano.
Il viaggio si trasforma così in una sorta di incubo, che dopo qualche ora sfocia
in una sarcastica barzelletta, di quelle che diventano leggende da raccontare
agli amici. Intanto alle 9:30, sfiniti, arriviamo allo shop dove avevamo sostato
il primo giorno per dare un'occhiata ai prezzi. Ne approfittiamo per sentire i
commenti degli altri elementi del gruppo, identici ai nostri: guida pessima
senza alcuna motivazione e nausea a volontà! Compriamo le nostre ultime
cartoline e francobolli, e sediamo fuori a scriverle mentre aspettiamo gli
altri. Chissà perché, sono convinto che manchi ancora poco per l'aeroporto,
essendo già entrati da un po' nel centro abitato.
Passiamo invece ancora tre ore imbottigliati in mezzo al traffico di Colombo,
con un centro abitato che sembra non finire mai, in un tragitto che tengo a
descrivere nei minimi dettagli. Per precisare, 'imbottigliati' non vuol dire
fermi in coda come da noi in genere nelle grandi città. Si cammina quasi sempre
ma a velocità ridotte e tra brusche frenate, spunti da formula uno e sorpassi
comandati da continue invasioni di corsia (adesso la strada è larga, sono tre o
quattro corsie per senso di marcia). Tutti si comportano allo stesso modo e cioè
l'equivalente di anarchia totale! Si fa l'impossibile per superare l'auto di
fronte e guadagnare due metri (appunto il tanto dell'auto precedente, visto il
traffico!). E non c'è ragione alcuna, visto che dopo pochi secondi si è
nuovamente superati a propria volta. Le prime cinque volte che vediamo auto, ma
sopratutto bus o camion molto più grandi del nostro pulmino, tagliare la corsia
e buttarsi spericolatamente addosso a noi, temiamo seriamente per la nostra
incolumità. Poi, superate le dieci, capiamo che la tensione si tramuta ormai in
sarcasmo ed è inutile impanicarsi. Del resto, Gianfranco là davanti è così
tranquillo! Non so per quale incredibile miracolo (che non si chiama Xamamina)
non mi senta ancora male: non è mai successo, per me che soffro ogni mezzo sulla
terra, superare una cosa del genere. Credevo che Napoli fosse un macello:
ridicolo. Persino in Tailandia credevo fosse un casino: bazzecole. In confronto
ai singalesi sono tutti autisti-modello.
Ma parliamo per l'appunto dell'autista, perché lui è il pezzo forte: il
protagonista numero uno! A parte il modo egregiamente personalizzato di cambiare
le marce, soprattutto la seconda, che entra con un gesto plateale e buffo, la
ciliegina sulla torta è l'uso spropositato e ossessivo del clacson. Un uso
continuo, assillante, che dopo ore di tragitto provoca l'ilarità mia e di Mauro,
iniziando a scambiare tremende battute. Ma perché suona? E quante mani ha
l'autista? Sta sempre cambiando le marce e sempre suonando il clacson, e in più
ovviamente guida il volante. E per non avere neanche un incidente è evidente che
osserva in tempo reale tutti gli specchietti per evitare di lasciarci la
fiancata con gli altri pazzi là fuori. Conclusione: è un mostro di bravura! Non
si spiega altrimenti, visto che guida così da sei ore e senza un attimo di
respiro: è un robot!
Continuiamo per ore a ironizzare sull'utilizzo del clacson finché, a
mezzogiorno, arriviamo distrutti all'aeroporto di Colombo, dopo ben sette ore e
mezza di viaggio. Gli altri componenti del gruppo non sono da meno, e sembra
istintivo fare una piccola sincera preghiera di ringraziamento per essere
arrivati sani e salvi e tutti interi. Un'esperienza traumatica e che lascerà il
segno! Ma così come è pur vero che in un mondo di folli lo squilibrato è colui
che ha il senno, mi rendo conto, riflettendo, che probabilmente il rischio di
fare incidenti è più basso di quel che sembra. Del resto, guidando così sono
tutti abituati ad avere riflessi dieci volte più pronti dei nostri, e si
aspettano le manovre più impensate in qualsiasi momento. Comunque, stiamo per
salutare lo Sri Lanka e raggiungere le Maldive. Sbrighiamo le comuni formalità
all'aeroporto e attendiamo il volo per Male, che è in ritardo.
Segue la
SECONDA PARTE del viaggio alle MALDIVE !!!!!
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