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Le meraviglie del Sudafrica PDF Stampa E-mail
Scritto da Giuseppe Cotichini   

3 settembre 2007. Provenienti da Roma, via Madrid, sbarchiamo a Johannesburg, dove pernottiamo in una guest house. L'indomani voliamo a Upington. All'uscita dall'aeroporto ci attende una fiammante Land Rover blu, con la quale compiremo un safari di ben nove giorni nel deserto del Kalahari, unici passeggeri, oltre a Pieter, ottimo driver e guida molto esperta. Pranziamo nella graziosa cittadina bagnata dall'Orange. Poi nel tardo pomeriggio raggiungiamo un piccolo resort a una quarantina di chilometri dall'ingresso del parco.
Giusto il tempo di scendere di macchina ed eccoci impegnati a scalare le dune di sabbia color arancio. La vista è stupenda. Un pianoro e poi tutt'intorno una dolce successione di collinette brulle disegnate dal vento. Soltanto cespugli gialli e rarissimi alberi. Notiamo a distanza degli orici, un'antilope elegantissima, simbolo di questa landa desertica.
L'indomani di buon'ora entriamo nel parco. Il nostro tour, che si snoda su tutto il vastissimo territorio, prevede trasferimenti quotidiani, game - drives, brevi soggiorni e pernottamenti (anche ripetuti) in tutti e quattro gli accampamenti esistenti.
La prima tappa è Mata Mata. Poi di seguito Twee Rivieren, Nossob, Grootkolk, ancora Nossob ed infine Molopo, sulla via del ritorno.
Il Kgalagadi, sorto dall'unione di due riserve, appartenenti al Botswana e al Sudafrica,è il primo parco transfrontaliero d'Africa.
Le due uniche piste, percorribili con fuoristrada dotati di quattro ruote motrici, sono tracciate lungo il letto asciutto e arido di due fiumi, improvvisamente scomparsi da oltre quaranta anni, letteralmente inghiottiti dalla sabbia.
Lungo il tragitto capita spesso di valicarne cumuli molto insidiosi. O di sbandare. O peggio ancora di affondare nella rena che ha cancellato la carreggiata. Ai nostri occhi un paesaggio quasi lunare, nudo, brullo, riarso, con scarsissima vegetazione, illuminato da una luce accecante. Un paesaggio fors'anche inospitale, eppure così ricco di fascino, così carico di suggestione .Così diverso e inusuale.
Scorrazziamo in lungo e in largo nel parco che è totalmente aperto, senza alcuna recinzione. Siamo davvero dentro la natura. Proprio come piace a noi.
Gli animali sono liberi di muoversi in ampi spazi. Ogni quaranta chilometri esiste una pozza artificiale, alimentata da un serbatoio, azionato da una pompa ad energia solare.
Le temperature del giorno sono estremamente elevate. L'aria è molto calda. Il sole scotta e la sete arde dentro. L'acqua è vita per gli animali. Anche noi ne beviamo in continuazione.
E poi torniamo a sudare abbondantemente.
Gli avvistamenti sono frequenti e ben visibili, anche se raramente ravvicinati.
Osserviamo mandrie di gnu (comuni e blu), grandi colonie di springbok, gruppi di eland, antilopi nere, famiglie di zebre e qualche sperduto alcelafo rosso.
Ma i veri, grandi protagonisti del deserto sono gli orici. Gli uccelli abbondano, soprattutto i rapaci e gli struzzi. Anche I grandi predatori sono numerosi. Specie i leoni. Ne scopriamo addirittuta una quindicina, soprattutto isolati. Individuiamo anche un leopardo e molti gatti selvatici. E persino la rarissima iena bruna, tipica del Kalahari.
Gli sciacalli, di taglia piccola, sono molto copiosi. Nella sabbia sgusciano e si rintanano fulminei topi, ratti, scoiattoli, manguste, tassi del miele. Ma le più simpatiche attrazioni del Kalahari sono i suricati, ritti in piedi e sempre all'erta.


TIMBAVATI e THORNYBUSH

12 settembre: rientriamo a Johannesburg. Nuovo pernottamento nella guest house.
L'indomani mattina voliamo a Hoedspruit. Siamo diretti nelle riserve private adiacenti il Parco Kruger che, altrettanto ricche di animali, si lasciano di gran lunga preferire per il numero limitato di visitatori, l'integrità della natura, il livello dei game-drives, la qualità dei servizi. Ma ovviamente a prezzi molto più elevati del parco pubblico.
All'arrivo ci attende una camionetta che ci conduce nel Timbavati, un unico vasto territorio privato, senza barriere e recinzioni, destinato alla conservazione della natura.
Andiamo al Gomo Gomo Lodge. Un campo molto rinomato e di buon livello.Sin dalla prima uscita rimaniamo esterefatti dalla massiccia presenza di animali che vanno e vengono liberamente dal Kruger. Il primo animale che avvistiamo è un leopardo. Poi una coppia di leoni che rincorriamo nella savana. Infine una grande famiglia di elefanti.
Strada facendo ci imbattiamo in giraffe isolate, harem di gazzelle, gruppi di zebre.
Un vero ben di Dio. Mai vista una simile abbondanza. Nei giorni seguenti completiamo largamente l'avvistamento di tutti i big five. Infatti ci imbattiamo in una mandria di bufali. Poi diamo la caccia con successo ad un rinoceronte bianco con un cucciolo accanto. Nel mentre osserviamo molti uccelli, qualche scimmia, un bushbaby, quattro facoceri, tantissimi impala, frequenti antilopi d'acqua. E manco a dirlo alcune leonesse con prole. Poi uno splendido leone maschio.E addirittura un altro leopardo, disteso sopra uno sperone roccioso. Nel fiume galleggiano diversi ippopotami, mentre uno stormo di garzette si alza in volo.
Al quarto giorno ci trasferiamo nel Thornybush, al Tangala Camp, una struttura in stile coloniale, molto ben attrezzata. Qui abbiamo la graditissima sorpresa di conoscere Johan, un ex diplomatico del Sudafrica in servizio all'ambasciata di Roma che, abbandonate le rigide regole del protocollo, si è interamente calato in tutt'altra attività. Ora fa la guida. Invece del doppio petto indossa la divisa da ranger.Occhialini scuri e un cappellino con visiera. Ha una folta criniera brizzolata con coda di cavallo. Un personaggio unico, che sembra uscito da un fantasioso romanzo di avventure. E' lui, che parla un italiano perfetto, ad accompagnarci per tre giorni nel bush, dando prova di una preparazione straordinaria e di un'indomabile passione. Il game drive di 'Giovanni', come lo chiamiamo noi, è tutt'altra cosa rispetto a quelli delle tantissime guide che lo hanno preceduto. Con lui diventa ancor più palpitante, drammatico, avventuroso. La 'caccia' inizia sempre dalla ricerca e dalla lettura delle tracce. L'animale, una volta individuato, viene inseguito a piedi e localizzato, E poi raggiunto con la camionetta in un continuo, spesso intricato, tortuoso fuoripista nel fitto della boscaglia. Altre volte l'animale viene addirittua rincorso in macchina, zigzagando tra gli alberi, tra mille sobbalzi, scuotimenti e giravolta, abbattendo rovi e arbusti e piegando i rami per evitare di rimanerne colpiti. Sino a portarci a distanza ravvicinatissima dal fuggiasco. Giovanni opera in piena sintonia con Bennet, un tracker molto abile ed esperto.
Con loro riusciamo ad avvistare una moltitudine di animali. Come mai prima d'ora. Addirittura una ventina di leoni, seppure in tempi diversi. Sei,sette leopardi. Quattro rinoceronti, nonché grandi mandrie di elefanti e di bufali. Rispetto a Gomo Gomo incontriamo addirittura un animale in più: il ghepardo, da solo o persino con nidiate di quattro o cinque vivacissimi cuccioli. E da ultimo un pachiderma quarantenne dal peso di cinque tonnellate, alto più di quattro metri con due zanne lunghe oltre 150 centimetri. Siamo felici all'inverosimile. Per gli ultimi spiccioli di vacanza nel Thornybush,ci trasferiamo al Monwana, un lodge molto elegante ed esclusivo. In via eccezionale, anziché la sistemazione standard, ci viene assegnata una suite. Addirittura la migliore, molto grande, lussuosamente arredata e dotata nientemeno che di tre bagni.


Anche qui avvistiamo moltissimi animali: due leoni, un leopardo, due rinoceronti bianchi, diversi elefanti e addirittura un ghepardo femmina che allatta i due cuccioli.
Ma restiamo davvero a bocca aperta davanti ad una novità assoluta: il rinoceronte nero. Un animale rarissimo che sembra destinato all'estinzione. Si pensi che in tutto il Kruger ne esistono meno di venti esemplari Non sappiamo il perché ma è rinchiuso in un recinto di pali. E' decisamente molto più piccolo del rinoceronte bianco.Ed anche particolarmente irrequieto. Dalla soddisfazione, tocchiamo il cielo con un dito.
Il mattino della partenza lo trascorriamo al Cheetah Project, una vera e propria clinica per la cura e la riabilitazione dei ghepardi e delle altre specie minacciate.
Visitiamo, uno ad uno, i grandi predatori (tigre compresa), poi le antilopi e gli uccelli.
Ci sorprende moltissimo il Cheetah King (ghepardo re), mai visto prima, che a causa di modifiche genetiche recessive, ha il manto macchiato da bande scure, anziche dai classici punti neri. Graditissima scoperta.
Rimaniamo, invece, profondamente delusi di non aver potuto ammirare il licaone. Un desiderio inappagato che rincorriamo inutilmente da anni.

Testo di Giuseppe Cotichini
Fotografie di Luciana Ciocci


www.Safariedintorni.it

 

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