Kenya
.il mio primo vero viaggio in Africa. All'aeroporto di Mombasa,
mia figlia Letizia è ancora febbricitante. In volo ha avuto quasi 40 di febbre.
Sono preoccupata e penso solo ad arrivare in hotel.
Per fortuna le
formalità per il visto d'ingresso sono rapide. Sbaglio solo nel dichiarare la
marca della videocamera ( con qualche problema al rientro
).
All'uscita temo un assalto di folla, invece tutto è relativamente tranquillo.
L'autista dell'African Safari Club ci aspetta e in breve siamo già sul minibus.
Da qui a Shanzu ci sono meno di venti chilometri, ma la strada è in precarie
condizioni, quindi ci vorranno quasi tre quarti d'ora per arrivare.
Letizia è un po' più reattiva: 'Mamma, qui sono tutti neri!'. E' vero, le sue
semplici parole mi scuotono e mi rendo conto che anche per me è strano non
vedere europei per strada. Durante il tragitto suoni ed immagini iniziano a
riempirmi la testa. Vedo tanta gente per le strade e tutti sono giovani. Lo
sapete che metà della popolazione del Kenya ha meno di 18 anni? Ci sono bambini
ovunque: diretti a scuola in variopinte divise, scalzi e raminghi per strada,
trasportati nel pareo dalle mamme.
Ho letto che la vita media qui è di circa 50 anni: presto
capirò perché. Al momento prendo atto di questa fresca vitalità che serpeggia
nelle strade. Tutti vendono, trasportano, offrono. I matatu ( minibus pubblici)
sono stipati all'inverosimile e corrono su e giù.
Le donne hanno vestiti variopinti. Anche i veli delle musulmane sono allegri ed
eleganti, spesso coordinati all'abito. Qualche burka mi mette tristezza, ma sono
pochi.
Le africane portano incredibili pesi sulla testa, spesso senza l'aiuto delle
mani. Fa caldo e faticano, ma sono lente ed aggraziate. Nessuno ha fretta
tutto
qui scorre pole pole ( tormentone swahili per dire 'piano piano).
Il Kenya dei turisti inizia oltre la sbarra dei resort. Sparisce la polvere, si
smorzano i rumori. L'atmosfera è ovattata, tutto è fiorito e rigoglioso. Ci sono
grandi halls, piscine, giardini tropicali e spiagge private.
Si può entrare nell'Eden e dimenticarsi del Kenya che sta al di fuori
Persino le
escursioni sono pensate ad arte per non turbare gli animi sensibili dei turisti
che non vogliono disturbo alcuno.
Se vuoi, il tuo Kenya finisce qui. Se vuoi uscire, la sbarra è l'ultimo severo
monito. Si firma un foglio, si scrive il motivo della fuga dall'Eden e l'ora. Al
rientro si firma di nuovo.
L'altro Kenya è sempre là ad aspettare. Aspettano pazienti i beach boys,
procacciatori per agenzie turistiche locali. Per lo più hanno regolare licenza.
Gli abusivi scappano all'arrivo della polizia.
Il nostro beach boy è un ragazzo musulmano, Jamal. Cortese ed educato, si
rivelerà alla fine un po' troppo insistente nel proporci business di ogni tipo (
mi lasci il numero, l'indirizzo, ti telefono, ti mando questo e quello, tu mi
aiuti, siamo amici
). Ma anche questo è Kenya: tutti commerciano o ci provano.
Soldi ne girano pochi, ma la fantasia non manca.
La povertà, sulla costa, è certamente reale come nel resto del paese, ma è
diventata anch'essa business.
I villaggi da visitare con le guide sono sempre gli stessi. Fuori vi attendono i
venditori di caramelle per i bambini. E chi avrebbe cuore di entrare senza le
caramelle? I canti dei piccoli sono ormai ultra collaudati e poco spontanei
Poi,
però, ti accorgi che ci sono dati innegabili: l'acqua è presa dal pozzo, non c'è
corrente elettrica. Uomini e animali dividono le capanne di fango, i rifiuti
sono disseminati ovunque. E' comprensibile che lo straniero sia attirato con
ogni mezzo. Poche monete significano farina, zucchero, combustibile per i
generatori.
La vera miseria, tuttavia, la vedremo più all'interno, in zone meno battute. I
Masai , per esempio, hanno forti squilibri alimentari. Allevano e cacciano, ma
la loro alimentazione è pressoché priva di frutta e verdura e le carenze
nutrizionali si notano nella dentatura e sulla pelle.
Il sangue degli animali viene bevuto per abbassare il colesterolo.
Qui la povertà impedisce spesso ai bambini di frequentare la scuola. Se la
famiglia non può permettersi scarpe e divisa, non si studia. D'altro canto
l'istruzione non è obbligatoria qui in Kenya.
Ho visto pozzi di acqua opaca e fonti comuni per uomini ed animali. La
principale causa di morte non è però l'acqua contaminata, ma l'AIDS. Si stima
che il 35% della popolazione sia ormai sieropositiva. I bimbi orfani a causa di
ciò, sono moltissimi e numerosi sono gli orfanotrofi.
Questo Kenya povero, polveroso e difficile è mentalmente e fisicamente
stancante. Dopo un po', malgrado la partecipazione emotiva, la scorza europea
che è in noi richiede di tornare nell'Eden dei resort: la doccia, la pulizia, le
nostre certezze.
E' dura resistere al tanfo dei rifiuti sparsi o bruciati alla rinfusa
è dura
vedere i topi scorrazzare e le mosche che ti molestano.
Questo Kenya povero e malato richiede grandi pause, soprattutto con una bimba di
cinque anni al seguito.
C'è poi il paese dei parchi, delle riserve faunistiche e dei paesaggi
mozzafiato.
Certo, Kenya vuol dire safari, termine swahili che indica il viaggio.
Il denaro speso per visitare questi luoghi contribuisce alla sostenibilità a
lungo termine di queste aree protette. Nei secoli, bracconaggio e scarso
rispetto ambientale hanno decimato la flora e la fauna. Oggi si inizia a
preservare e ripopolare, anche se la lotta ai bracconieri è ancora aperta.
Per esempio, abbiamo visitato lo Tsavo Est. Qui, negli anni '80 la popolazione
di rinoceronti è stata quasi eliminata in toto e i bracconieri ci sono ancora.
Anche noi, nel nostro piccolo, possiamo essere di disturbo all'equilibrio
ambientale. Gli autisti che escono dai sentieri per far scattare belle foto ai
turisti, causano con i pneumatici, gravi danni alla morfologia del terreno con
ripercussioni all'arrivo delle piogge.
Comunque, quest'ultimo Kenya è stato quello che ho preferito. I monti innevati,
la savana sterminata, la vegetazione fitta dove si rifugiano i predatori
ed
ancora la terra rossa dello Tsavo, il Kilimangiaro nella Bimana Wildlife
Sanctuary, gli animali con i loro cuccioli
Non era più documentario, ma tutto
era reale davanti a noi.
In Kenya ognuno può trovare un motivo per essere lì.
Certo, è un paese con un lungo cammino da percorrere. C'è molto da fare, simili
realtà non sono più accettabili. Secondo me sta sviluppando le potenzialità per
compiere passi in avanti: le scuole sono numerose, i turisti si rendono conto di
cosa voglia dire 'Terzo Mondo' e non se lo dimenticano più.
Spero di tornarci tra qualche anno e vedere le condizioni di vita globalmente
migliorate: strade, acqua potabile per tutti, elettricità nelle case, medicine e
un sistema valido di smaltimento dei rifiuti. Lo spero tanto, perchè tutto
debbono aspirare ad una vita degna di questo nome.
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