India,
un universo a sé: magico, enigmatico, indecifrabile, complesso e profondo,
moderno ed arcaico, ricco e miserabile. Un altro pianeta. Vi ritorniamo per far
visita ad una sovrana: la tigre.
La regina della giungla, la marahani delle foreste.
Ci accompagna Max Evangelista, il simpatico e brillante contitolare della Travel
Revolution (un tour operator milanese specializzato in viaggi d'avventura), con
il quale abbiamo dettagliatamente concertato il programma del tour estretto un
ottimo rapporto.
Sbarchiamo a Dheli, dove rivediamo gli stessi monumenti della volta scorsa, con
la sola eccezione della tomba di Gandhi, il grande padre dell'India e del mondo
intero.
Partiamo per il Madhya Pradesh. Nel cuore dell'India. La nostra meta è il
Parco Nazionale di Kanha, sicuramente il più conosciuto, anche perché
celebrato da Kipling nel 'Libro della giungla'. Ma pure uno dei più belli al
mondo per la varietà del suo paesaggio collinare, ammantato da rigogliose
foreste di tek, di sal, di hardwinchia, di ebano indiano e da fittissimi boschi
di bambù.Un irresistibile scenario di dolci pendii, di prati verdissimi, di
fiumi d'argento. Il magnifico regno di Sua Maestà la tigre.
Nei quattro giorni di sosta non restiamo mai fermi. A bordo di una piccola jeep
completamente scoperta sfidiamo il freddo pungente del primo mattino, aspettando
che i raggi del sole filtrino tiepidi tra la fittissima vegetazione. Per primo
incontriamo un gaur, il bisonte indiano, davvero enorme, il solo animale della
giungla che non teme la tigre. Poi ci imbattiamo in greggi di chital o cervi
pomellati, dal manto rossiccio punteggiato di macchie bianche.Di tanto in tanto
qualche cinghiale fa una rapida apparizione. L'aria è purissima e la respiriamo
a pieni polmoni.
Il secondo giorno notiamo a distanza un felino che va ad infrattarsi. Non ne
siamo certi, ma crediamo si tratti di un leopardo. Subito dopo avvistiamo il
barasingha, un rarissimo cervo acquatico a dodici corna che sopravvive soltanto
a Kanha. Ne ammiriamo un branco che staziona tranquillamente in uno stagno,
molto opportunamente recintato e protetto. E' un animale in serio pericolo di
estinzione. In cima ai colli incontriamo il sambhar, il grande cervo, preda
preferita della regina. Questa antilope è nota perché, alla vista della tigre,
lancia un bramito d'allarme, acuto e metallico, simile ad uno squillo di tromba,
che risuona sinistro nella foresta. Cui fanno eco i langur o entelli, scimmie
molto numerose in tutta l'India. Ma sinora nessun sentore di Sua Maestà.
Aguzziamo lo sguardo, ma il sottobosco è pressocchè impenetrabile. Anche il
binocolo serve a ben poco.
Il terzo giorno ci colpisce il Nilgai o toro blu, un'antilope dal manto bluastro
molto più simile ad un cavallo. Ne vediamo un branco che pascola insieme ad
alcune cervicapra. Molto spesso udiamo l'urlo stridulo e acuto del pavone che
trionfa per la sua straordinaria bellezza. Seppure di sfuggita notiamo uno
sciacallo. E poi una iena. In uno stagno sguazzano alcune cicogne nere.
Finalmente riusciamo a partecipare ad una battuta alla tigre, in groppa ad un
elefante. Dal tetto di un'auto, saliamo a fatica sulla portantina, posta a più
di tre metri d'altezza. Poi ci addentriamo nel folto della giungla. Il
pachiderma procede passo dopo passo, molto lentamente, fiaccando l'erba alta o
il denso fogliame e aprendosi varchi fra gli arbusti spinosi e i rami più bassi
degli alberi. Il mahout lo conduce con molta padronanza, quasi accarezzandolo
sul capo con battiti ritmati dei piedi nudi e solo raramente con incitamenti
vocali, senza far uso dell'ankusha, l'apposito gancio tagliente. Procediamo
dondolando da un lato all'altro dell'animale che nonostante la mole fa poco
rumore. Si sente soltanto il pesante e cadenzato calpestio del terreno soffice.
Dall'alto godiamo di un'un ampia visuale. Mentre siamo intenti a trattenere dei
rami che potrebbero colpirci sul viso, il conducente bruscamente s'arresta. E
con un leggero movimento della testa ci indica un punto ove fissare lo sguardo.
Aquattata dietro un fitto groviglio di erbe e di arbusti c'è lei: la mitica
tigre. L'emozione che proviamo è fortissima. Viviamo un momento di
indescrivibile intensità. Giace distesa a non più di quattro-cinque metri e ci
fissa con i due grandi occhi gialli. E' strepitosamente bella. Ha una
corporatura massiccia, imponente, ma estremamente elegante. Incute timore.
La osserviamo trattenendo il respiro. Ma lei indispettita ringhia, si leva in
piedi, prende lo slancio e con un balzo davvero felino atterra sul tronco
arcuato di un albero non proprio vicino. E poi si arrampica su un ramo più alto,
mettendo in mostra la sua formidabile muscolatura.
Rientramo al lodge pienamente soddisfatti.

Il giorno seguente partecipiamo ad un altro safari con l'elefante. L'unico mezzo
in grado di penetrare nella fitta boscaglia e di stanare la tigre, molto restia
ad uscire allo scoperto. Dopo alcune ore di marcia in un groviglio di
rami, di giunchi, di rovi che l'elefante solca per farsi strada, il mahout ci fa
un segno con la mano. A una ventina di metri da noi notiamo due tigri.
L'elefante si avvicina molto lentamente. Giunto a brevissima distanza si ferma.
Il conducente lo costringe addirittura ad una giravolta per offrirmi una
posizione più favorevole per le riprese. Dalla gioia non siamo più nella pelle.
Le due fiere stanno consumando un abbondante banchetto. Hanno una preda ciascuna
che divorano ingorde a grandi morsi, senza concedersi soste. Udiamo chiaramente
il rumore delle fauci che affondano nelle carni e le lacerano. Restiamo a lungo
con la telecamera puntata, sporgendoci al di fuori della portantina.


Di certo abbiamo avuto una fortuna sfacciata. E pensare che c'è gente che viene
in India e non riesce a vedere la tigre neppure in fotografia. L'indomani ci
trasferiamo nella riserva di Bandhavgarh.Ci fermiamo un paio di giorni.
Ma qui non ci assiste la stessa buona sorte.
Incontriamo molti animali, ma della tigre neppure l'ombra. Va bene lo stesso.
Proseguiamo il viaggio alla volta di Varanasi.Un giusto intervallo tra un
safari e l'altro.
A bordo di un moto-riksho visitiamo la città santa, letteralmente invasa da
fiumane di persone che corrono nelle strade come impazzite, tutte imbrattate di
colori, da capo a piedi. Sono i giorni del festival, cioè del Carnevale indiano.
Abbiamo appena il tempo di scendere e di ammirare santuari, palazzi e moschee,
tutti molto belli. La sera assistiamo alla cremazione di un cadavere. La salma,
avvolta in teli profumati, è deposta in cima ad una pira, cui viene appiccato il
fuoco che man mano l'avviluppa e la scioglie come una candela. A fine rito, le
ceneri vengono gettate nel Gange.
Ogni induista ambisce di morire a Varanasi per ottenere l'indulgenza massima: la
vita eterna. Ecco perché vecchi e malati vengono qui da tutto il Paese ad
aspettare la morte.

Noi preferiamo recarci ad Agra, per ammirare il Taj Mahal, simbolo
dell'India ed una delle meraviglie del mondo moderno.

Per concludere il giro delle riserve, raggiungiamo il Corbett National Park
alle pendici dell'Himalaya. Lungo il percorso ci imbattiamo in una colonia
di macachi che invade la strada.Il fiume Ramganga che bagna il parco disegna
paesaggi incantevoli. La giungla è lussureggiante. La riserva ospita moltissimi
animali. Ma, oltre alla tigre, deve la sua fama agli orsi dal collare e ai
ghavial, una specie di coccodrilli dal muso lunghissimo e affilato. Ma a noi
interessa soprattutto lei, la sovrana. Partecipiamo ad altri due safari con
l'elefante. Nel primo, lungo un percorso molto accidentato, con ripidi pendii e
brusche discese, ci accontentiamo di scorgerla appena di sfuggita. Sospinta dal
pachiderma esce da dietro una siepe e corre subito a rifugiarsi in un anfratto.
La volta successiva siamo più fortunati e riusciamo a scovarne una, sdraiata per
terra. Dorme profondamente. Noi restiamo a guardarla a lungo. Con ammirazione e
rispetto.
L'India è stata davvero generosa con noi.
Testo di Giuseppe Cotichini
Fotografie di Luciana Ciocci

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