Riportata per la prima volta in letteratura nel 1981, la Sindrome da
immunodeficienza acquisita, altrimenti nota come Aids, rappresenta lo stadio
clinico terminale dell'infezione da parte del virus dell'immunodeficienza umana
(Hiv).
L'Hiv è un virus a Rna che appartiene a una particolare famiglia virale, quella
dei retrovirus, dotata di un meccanismo replicativo assolutamente unico. Grazie
a uno specifico enzima, la trascrittasi inversa, i retrovirus sono in grado di
trasformare il proprio patrimonio genetico a Rna in un doppio filamento di Dna.
Questo va inserirsi nel Dna della cellula infettata (detta "cellula ospite") e
da lì dirige di fatto la produzione di nuove particelle virali.
Nel caso specifico dell'Hiv, le cellule bersaglio sono particolari cellule del
sistema immunitario, i linfociti T di tipo CD4, fondamentali nella risposta
adattativa contro svariati tipi di agenti patogeni. L'infezione da Hiv provoca
quindi un indebolimento progressivo del sistema immunitario (immunodepressione),
aumentando il rischio di infezioni e malattie - più o meno gravi - da parte di
virus, batteri, protozoi e funghi, potenzialmente letali alla lunga distanza, e
che in condizioni normali potrebbero essere curate più facilmente.
Le fasi della malattia
Dopo essere entrata in contatto con l'Hiv, una persona può diventare
sieropositiva e cominciare così a produrre anticorpi diretti specificamente
contro il virus, dosabili nel sangue. La sieropositività implica che l'infezione
è in atto e che è dunque possibile trasmettere il virus ad altre persone. La
comparsa degli anticorpi, però, non è immediata. Il tempo che intercorre tra il
momento del contagio e la comparsa nel sangue degli anticorpi contro l'Hiv è
detto 'periodo finestra' e dura mediamente 4-6 settimane, ma può estendersi
anche fino a 6 mesi. Durante questo periodo, anche se la persona risulta
sieronegativa è comunque in grado di trasmettere l'infezione.
Da sieropositivi, è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi
del contagio solo al manifestarsi di una malattia. Sottoporsi al test della
ricerca degli anticorpi anti-Hiv è, quindi, l'unico modo di scoprire
l'infezione.
Il periodo di incubazione può durare anche diversi anni, fino a quando la
malattia non diventa clinicamente conclamata a causa dell'insorgenza di una o
più infezioni cosiddette "opportunistiche". A provocarle sono agenti patogeni
che normalmente non riescono a infettare le persone sane, ma soltanto persone
con un sistema immunitario fortemente compromesso. Gli agenti principali sono:
- protozoi, tra cui Pneumocistis carinii, responsabile di una particolare forma
di polmonite detta pneumocistosi e Toxoplasma gondii, che provoca la
toxoplasmosi, malattia che colpisce il cervello, l'occhio e raramente il polmone
- batteri, soprattutto Mycobacterium tuberculosis, responsabile della
tubercolosi
- virus, tra cui Herpes e Cytomegalovirus (Cmv)
- funghi, come per esempio la Candida albicans, che si può sviluppare in molte
parti del corpo, soprattutto in bocca, nell'esofago e nei polmoni.
Nella fase conclamata dell'Aids si possono sviluppare diverse forme di tumore,
soprattutto linfomi e sarcoma di Kaposi.
Vie di trasmissione
Esistono tre diverse modalità di trasmissione dell'Hiv:
1. Per via ematica
La trasmissione per via ematica avviene con stretto e diretto contatto fra
ferite aperte e sanguinanti e scambio di siringhe con un sieropositivo Durante
le prime fasi dell'epidemia, quando erano minori anche l conoscenze sui sistemi
di diffusione del virus, diverse persone sono state contagiate dall'Hiv in
seguito a trasfusioni di sangue o alla somministrazione di suoi derivati. A
partire dal 1985 questo tipo di trasmissione dell'infezione è stato praticamente
eliminato, grazie a un maggiore controllo delle unità di sangue, al trattamento
con calore degli emoderivati e alla selezione dei donatori, ma anche a un minor
ricorso a trasfusioni inutili e ad un maggiore utilizzo dell'autotrasfusione.
La trasmissione attraverso il sangue rappresenta, invece, la principale modalità
di contagio responsabile della diffusione dell'infezione nella popolazione
dedita all'uso di droga per via endovenosa. L'infezione avviene a causa della
pratica, diffusa tra i tossicodipendenti, di scambio della siringa contenente
sangue infetto. Possono essere infatti veicolo di trasmissione dell'Hiv anche
aghi usati, e in questo senso sarebbe opportuno sottoporsi ad agopuntura,
mesoterapia, tatuaggi e piercing utilizzando aghi monouso e sterili. Con la
stessa modalità è possibile la trasmissione sia dell'Hiv che di altri virus tra
i quali quelli responsabili dell'epatite B e C, infezioni anch'esse molto
diffuse tra i tossicodipendenti.
2. Per via sessuale
La trasmissione sessuale è nel mondo la modalità di trasmissione più diffusa
dell'infezione da Hiv. I rapporti sessuali, sia eterosessuali che omosessuali,
non protetti dal profilattico possono essere causa di trasmissione
dell'infezione. Trasmissione che avviene attraverso il contatto tra liquidi
biologici infetti (secrezioni vaginali, liquido pre-eiaculatorio, sperma,
sangue) e mucose durante i rapporti sessuali. La trasmissione è possibile anche
se le mucose sono integre.
Ovviamente, tutte le pratiche sessuali che favoriscono traumi possono provocare
un aumento del rischio di trasmissione. Per questo motivo i rapporti anali sono
a maggior rischio, perché la mucosa dell'ano è più fragile e meno protetta di
quella vaginale. Ulcerazioni e lesioni dei genitali causate da altre patologie
possono inoltre far aumentare il rischio di contagio.
Il coito interrotto non protegge dall'Hiv, così come l'uso della pillola
anticoncezionale, del diaframma e della spirale. Le lavande vaginali, dopo un
rapporto sessuale, non eliminano la possibilità di contagio.
I rapporti sessuali non protetti possono essere causa di trasmissione non solo
dell'Hiv. Esistono, infatti, oltre 30 malattie sessualmente trasmissibili (Mst).
3. Per via materno-fetale: Hiv e gravidanza
La trasmissione da madre a figlio, o verticale, può avvenire durante la
gravidanza, durante il parto, o con l'allattamento. Il rischio per una donna
sieropositiva di trasmettere l'infezione al feto è circa il 20%. Oggi è
possibile ridurlo al di sotto del 4% somministrando zidovudina (Azt, primo
farmaco usato contro l'Hiv) alla madre durante la gravidanza e al neonato per le
prime sei settimane di vita. Per stabilire se è avvenuto il contagio il bambino
deve essere sottoposto a controlli in strutture specializzate per almeno i primi
due anni di vita.
Tutti i bambini nascono con gli anticorpi materni. Per questa ragione, il test
Hiv effettuato sul sangue di un bambino nato da una donna sieropositiva risulta
sempre positivo. Anche se il bambino non ha contratto l'Hiv, gli anticorpi
materni possono rimanere nel sangue fino al diciottesimo mese di vita, al più
tardi entro i due anni. Il bambino viene sottoposto a test supplementari per
verificare se è veramente portatore del virus o se ha ricevuto solo gli
anticorpi materni.
Strategie di prevenzione
Poche semplici precauzioni possono ridurre, o addirittura annullare, il rischio
di infezione da Hiv. Per evitare la trasmissione dell'infezione per via ematica:
- evitare l'uso in comune di siringhe e aghi per l'iniezione di droghe
- non sottoporsi ad agopuntura, mesoterapia, tatuaggi e piercing se gli aghi
utilizzati non sono monouso o non sono stati sterilizzati
- per gli operatori sanitari, fare attenzione nel maneggiare e utilizzare aghi e
altri oggetti taglienti
- per i medici, incoraggiare l'uso di autotrasfusioni e conformarsi in maniera
rigida alle indicazioni
- per le trasfusioni di sangue: le donazioni di sangue vanno sempre sottoposte
al test per l'Hiv, né devono donare sangue, plasma, sperma, organi per
trapianti, tessuti o cellule le persone che abbiano avuto comportamenti a
rischio.
Per evitare la trasmissione dell'infezione per via ematica sessuale:
- avere rapporti sessuali mutuamente monogamici con un partner che non sia
infetto
eventualmente, astenersi dai rapporti sessuali
- nel caso di rapporti occasionali (vaginali, orogenitali o anali), utilizzare
il profilattico.
L'uso corretto del profilattico può infatti annullare il rischio di infezione
durante ogni tipo di rapporto sessuale con ogni partner. Nei rapporti sessuali
il preservativo è l'unica reale barriera protettiva per difendersi dall'Hiv. Non
vanno usati lubrificanti oleosi perché potrebbero alterare la struttura del
preservativo e provocarne la rottura. È necessario usare il preservativo
all'inizio di ogni rapporto sessuale (vaginale, anale, orogenitale) e per tutta
la sua durata. Anche un solo rapporto sessuale non protetto potrebbe essere
causa di contagio.
Per un uso corretto del profilattico è importante:
- leggere le istruzioni accluse
- indossarlo dall'inizio alla fine del rapporto sessuale
- usarlo solo una volta
- srotolarlo sul pene in erezione, facendo attenzione a non danneggiarlo con
unghie o anelli
- conservarlo con cura: lontano da fonti di calore (cruscotto dell'auto ed
altro) e senza ripiegarlo (nelle tasche, nel portafoglio).
La pillola, la spirale e il diaframma sono metodi utili a prevenire gravidanze
indesiderate, ma non hanno nessuna efficacia contro il virus dell'Hiv.
L'uso di siringhe in comune con altre persone sieropositive costituisce un
rischio di contagio pertanto è necessario utilizzare siringhe sterili.
Le trasfusioni, i trapianti di organo e le inseminazioni, nei Paesi europei,
sono sottoposti a screening e ad accurati controlli per escludere la presenza
dell'Hiv.
Come non si trasmette il virus
Il virus non si trasmette attraverso:
- strette di mano, abbracci, vestiti
- baci, saliva, morsi, graffi, tosse, lacrime, sudore, muco, urina e feci
- bicchieri, posate, piatti, asciugamani e lenzuola
- punture di insetti
Il virus non si trasmette frequentando:
- palestra, piscina, docce, saune e gabinetti
- scuole, asili e luoghi di lavoro
ristoranti, bar, cinema e locali pubblici
- mezzi di trasporto.
Il test dell'Hiv
Per sapere se si è stati contagiati dall'Hiv, è sufficiente sottoporsi al test
specifico per la ricerca degli anticorpi anti-Hiv che si effettua attraverso un
normale prelievo di sangue. Il test anti-Hiv è in grado di identificare la
presenza di anticorpi specifici che l'organismo produce nel caso in cui entra in
contatto con questo virus. Se si sono avuti comportamenti a rischio è bene
effettuare il test al termine del sesto mese dall'ultimo rischio di contagio
(periodo finestra), poiché gli anticorpi anti-Hiv possono presentarsi anche
entro sei mesi di distanza dall'esposizione al contagio.
Bisogna tenere presente che durante il cosiddetto 'periodo finestra' (periodo di
tempo che va dal momento del contagio a quello della comparsa degli anticorpi) è
comunque possibile trasmettere il virus pur non risultando positivi al test.
La Legge italiana (135 del giugno 1990) garantisce che il test sia effettuato
solo con il consenso della persona. Il test non è obbligatorio, ma se si sono
avuti comportamenti a rischio sarebbe opportuno effettuarlo.
Per eseguire il test, nella maggior parte dei servizi sanitari, non serve
ricetta medica, è gratuito e anonimo. Le persone straniere, anche se prive del
permesso di soggiorno, possono effettuare il test alle stesse condizioni del
cittadino italiano.
Per la sicurezza del neonato, tutte le coppie che intendono avere un bambino
dovrebbero valutare l'opportunità di sottoporsi al test. La legge prevede che il
risultato del test venga comunicato esclusivamente alla persona che lo ha
effettuato.
Sapere precocemente di essere sieropositivi al test dell'Hiv consente di
effettuare tempestivamente la terapia farmacologica che permette oggi di
migliorare la qualità di vita e vivere più a lungo.
Le terapie
Oggi i medici propongono la terapia Haart (Higly Active Anti-Retroviral Therapy)
contro l'infezione da Hiv alle persone sieropositive, sulla base dei cosiddetti
"valori" dei linfociti CD4 (cellule del sistema immunitario) e della carica
virale (numero di particelle di Hiv nel sangue) che misura la velocità di
replicazione dell'infezione.
La terapia è in genere composta da più farmaci antiretrovirali che permettono di
ridurre la carica virale e migliorare la situazione immunitaria. Il medico potrà
spiegare meglio quali sono le varie possibilità terapeutiche, i possibili
effetti collaterali, le modalità di assunzione dei farmaci. Nel 1987 è stato
introdotto il primo farmaco antiretrovirale, la zidovudina (Azt), in grado di
inibire l'attività della trascrittasi inversa, fondamentale per la replicazione
dell'Hiv. A questa molecola hanno fatto seguito altre con meccanismo d'azione
simile. Successivamente si sono aggiunti il 3tc e il D4t, come farmaci sinergici
rispetto all'azione dell'Azt, ma anche altri inibitori della trascrittasi
inversa, come la nevirapina e l'efavirenz, che agiscono con un diverso
meccanismo.
Nel 1997 è stata introdotta una nuova categoria di farmaci, gli inibitori della
proteasi (come l'amprenavir), capaci di ostacolare l'enzima virale necessario
per completare la sintesi del rivestimento esterno del virus.
A causa della forte tendenza dell'Hiv a mutare (la trascrittasi inversa è un
enzima che spontaneamente introduce degli errori nel genoma virale), è
necessario non soltanto trovare farmaci sempre nuovi, ma anche adottare delle
terapie combinate. In questo modo si cerca di ridurre al minimo o quantomeno di
ritardare l'insorgenza di ceppi virali multiresistenti.
Sono inoltre in sperimentazione classi di farmaci mirate alla stimolazione e al
supporto del sistema immunitario, piuttosto che a una diretta azione antivirale.
Accanto a farmaci, sono in corso molti studi in diversi laboratori in tutto il
mondo per mettere a punto un vaccino efficace, che possa associare a una azione
preventiva anche una possibile azione terapeutica.
Nei Paesi occidentali i successi terapeutici contro l'Aids sono dunque in gran
parte dovuti ai risultati ottenuti dalla ricerca scientifica che ha consentito
di individuare farmaci dotati di potente attività antivirale.
Occorre tuttavia tenere ben presente che le attuali strategie terapeutiche non
consentono la guarigione dall'infezione ma permettono di tenerla sotto
controllo. È quindi essenziale individuare nuove strategie terapeutiche con
meccanismi di azione diversi da quelli di cui oggi disponiamo.
Telefono verde Aids
È possibile chiamare il
Telefono Verde Aids (Tva) dell'Istituto superiore di sanità al numero
800-861061. Il servizio, anonimo e gratuito, è attivo dal lunedì al venerdì
dalle ore 13.00 alle ore 18.00. Gli esperti del Tva garantiscono una
informazione scientifica, aggiornata e personalizzata.
Fonte:
EpiCentro, sito web
del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute
dell'Istituto superiore di sanità.
|