Nanshe
è un villaggio di epoca Ming, miracolosamente sopravvissuto fino alla nostra
epoca, nella provincia del Guangdong una delle aree maggiormente sviluppate
della Cina.
Nessun autobus ci arriva, per raggiungerlo occorre un taxi e un po' di fortuna.
E' difficile capire come questo antico gioiello abbia potuto resistere
all'avanzata dei caterpillar e, ancor prima, alla furia devastatrice della
rivoluzione culturale; nonostante sia segnalato in siti-web della Cina
meridionale, è quasi introvabile: l'autista si scusa per le continue soste alla
ricerca di informazioni per raggiungerlo.
Ci troviamo negli estesi dintorni di Dongguan, una municipalità che raccoglie
decine di agglomerati urbani, disseminati nel delta del Pearl River,
inglobandoli in un'unica megalopoli con più di sette milioni di abitanti.

Nella cittadina di Chashan, il conducente di una moto-taxi ci fornisce
l'indicazione giusta, liberando il tassista dall'imbarazzo.
Nessuna coda, dentro, e nemmeno un visitatore. Il costo dell'ingresso, 30 yuan
(circa 3 euro) scandalizza l'autista che si rifiuta di entrare, nonostante, per
essere certo che mi aspetti con il taxi, mi offra di pagare per lui. Decide di
aspettarmi all'ombra del gigantesco ficus che allarga i suoi rami proprio
all'ingresso.

Varcato il cancello si torna indietro nel tempo: il visitatore è osservato e
studiato come un essere raro da parte di persone, perlopiù anziane e dimesse,
che non paiono toccate, nel bene e nel male, dalla furia modernizzatrice che al
di là del cancello, sconvolge tutto e tutti.
Il villaggio in mattoni e pietra è chiuso da mura fortificate, concentrato
attorno ad una grande vasca sulla cui acqua galleggia una barca in legno e si
specchiano le facciate degli edifici vicini. Ha un disegno simmetrico,
abbracciato da palme e circondato da alberi di mango.
Un elegante ponte collega le due rive del bacino artificiale.
La dinastia Ming ebbe inizio nel 1368 con Hongwu, ma alla sua morte seguì una
guerra civile per la successione. Guerre e rivolte contadine caratterizzarono
tutta la durata della dinastia e in questo periodo iniziarono ad arrivare i
primi europei: i portoghesi a Macao, gli inglesi a Canton ed infine i gesuiti
che tentarono di evangelizzare il paese.
Proprio durante una delle tante rivolte contadine un ricco mercante che fuggiva
dal caos di Zhejiang si spostò al sud e si stabilì qui.
I discendenti di questa originaria famiglia, gli Xie, costruirono e ingrandirono
questo villaggio nel corso dei secoli. Ora ci sono 25 antichi templi familiari e
più di 200 case d'abitazione.

Vi sono resti di mura fortificate, in terra battuta e in pietra rossa, costruite
alla morte dell'imperatore Chongzhen, l'ultimo della dinastia Ming,
C'erano 21 torri di mattoni grigi, in diversi stili.
Le mura svolsero egregiamente la loro funzione fermando gli invasori, quando Li
Wanrong guidò un assedio nel 1648 e, più tardi, quando Liu Jin attaccò il
villaggio nel corso del regno di Kang Xi (1671).
Ora restano alcuni passaggi delle vecchie mura ed un paio di torri rimaneggiate.
Gironzolare per questi vicoli fermi nel tempo, è sconcertante. Se all'ingresso
giunge ancora il rumore della città e si può essere raggiunti dal trillo di un
cellulare, man mano ci s'inoltra i segni dell'attualità scompaiono.
I pochi abitanti di questa enclave sembrano volutamente rallentare i movimenti e
rifiutare la modernità. L'abbigliamento è tradizionale e povero, nessuna
ostentazione e nessun interesse per il visitatore, nemmeno la normale curiosità
che circonda un occidentale in Cina.
E' forte l'impressione di disturbare e camminiamo senza rumore calpestando con
rispetto le antiche pietre.
Basta alzare gli occhi per notare i segni dell'antica arte decorativa: i molti
edifici ben conservati, costruiti nella tarda epoca Ming e all'inizio della
dinastia Qing, svelano la dedizione con cui gli abitanti si dedicarono alle loro
case ed ai loro templi.
Le costruzioni sono ornate da sculture in pietra, terracotta, legno laccato e
gesso.
I templi ancestrali sono talmente incastrati nelle abitazioni che li attorniano
a corte, da non poter distinguere, dall'esterno, la parte residenziale da quella
di culto.
Anche gli abitanti favoriscono l'equivoco, utilizzando alcuni templi per
sopperire alla scarsità di spazi comuni: capita così di entrare nel piccolo
cortile di un edificio sacro e trovarvi donne intente al bucato o di scoprire
una casa da gioco proprio accanto ad un altare.

Si scoprono ambienti fermi nel tempo, fossilizzati, non tanto per una precisa
scelta di tutela storica, quanto per quella che pare una fortunata svista del
progresso.
e ci si tuffa con piacere nella Cina attesa, quella immaginata prima del
viaggio e fin qui non ancora incontrata.
Due anziane donne, ancora vestite con la divisa blu, sono la testimonianza di
una vita passata; passeggiano barcollando, come se avessero i piedi fasciati
dalla crudele usanza che li rendevano minuscoli, quando il camminare a passi
corti e misurati costituiva un canone di comportamento femminile valorizzava la
grazia e l'equilibrio.

Se fuori dalle mura di Nanshe lo straniero è riverito e considerato, qui dentro
diventa invisibile
e loro tirano dritto, senza guardarlo, come se la sua
presenza, scaraventata qui da un futuro a cui non sono interessate, turbasse la
loro quieta e immutabile esistenza.
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