Atterro
verso l'ora di pranzo ma uscito dall'aereo invece di ritrovarmi a Bombay mi
scopro a Mumbai. E' questo il nuovo nome che si è data la metropoli più grande
dell'India...
... nel tentativo di allontanare il più possibile da sé il ricordo inglese.
Scivolato fuori dai tornanti dall'aeroporto vedo le case diventare sempre più
povere, fino a trovarmi in mezzo agli Slum, vere e proprie baraccopoli con case
fatte di rifiuti, plastica e lamiera. La gente è povera e sporca, come nei
villaggi della campagna indiana, ma qui anziché gli alberi di baniano ci sono i
grattacieli a fare ombra sui tetti malconci. Più avanti la scalata sociale
ricomincia, fino a scendere nella downtown più ricca, con i palazzoni coloniali
e la gente vestita con le maglie della Levi's o con le facce degli attori di
Bollywood. Arrivo a Colaba, il quartiere più vivo della città, e quello più
amato da chi viaggia con lo zaino in spalla e grandi sogni nelle tasche.
Il mio Hotel e' un buco, al primo piano di un vecchio palazzo. Si chiama Carlton
e lo trovo solo grazie ad un cartello bianco troppo rovinato. Standard indiano
per quanto riguarda la pulizia, nessuna aspettativa per quanto riguarda il
confort, ma alla fine quello che conta è un tetto sopra la testa e un materasso
su cui sistemarsi per la notte. La mia stanza misura due metri per tre e non ha
il bagno, che invece trovo nel corridoio, ma su due pareti ha delle enormi
finestre che danno luce e aria, lussi impagabili nelle metropoli. E poi la
location e' fantastica, alle spalle del Taj Mahal Hotel, l'albergo più lussuoso
di tutta l'India, un pezzo di storia che ha ospitato illustri e illustrissimi e
che ammiro sdraiato sul mio lettino pagato 400 rupie a notte.

Scendo a piedi per le strade ricolme di negozi di qualsiasi cosa intervallati da
ristoranti, caffetterie all'occidentale (il Leopold è una tappa immancabile a
Mumbai) e poi tappeti, gioielli, sete e pashmine. Passeggio fino alla piazza del
Museo, circondata da alti edifici ottocenteschi. Rispetto al resto del
subcontinente non mi sento in India, ma questo posto ha delle vibrazioni
positive, ti fa sentire a tuo agio e ti invita a fermarti qualche giorno. Lungo
una delle vie principali sono infilate costruzioni neogotiche di chiaro stampo
anglosassone. C'è la University, con le torri che sembrano campanili, c'e' la
High Court, la biblioteca centrale (in cui mi infilo il giorno dopo in mezzo ad
un gruppo di studenti, ostentando sicurezza e sorrisi).
Imbocco un grande viale arioso e arrivo al mare, proprio mentre inizia una
pioggia leggerissima, quasi piacevole. Scivolo tra la gente che passeggia su
Marine Drive, il lungomare fiancheggiato da alberghi e ristoranti. Per la prima
volta in India vedo qui ragazzi che camminano mano nella mano.

Non sono sposati, questo e' certo, si tratta solo di amore.
Come e' normale da noi, come e' meno normale qui (dove comunque il 90% delle
persone, anche a Mumbai, rimane vergine fino al matrimonio). Ogni tanto qualcuno
mi ferma chiedendomi di posare in una foto e io mi presto volentieri a diventare
l'elemento esotico dei loro racconti riguardanti quel pomeriggio.
Cammino qualche chilometro e circumnavigo la baia fino alla spiaggia, animata
all'inverosimile, nonostante il cielo nuvoloso e il mare violento. Qui si vende
tutto e si compra tutto, si viene con qualcosa di improvvisato e si cerca di
rifilarlo a qualcuno: si tratti delle frittelle fatte a casa la mattina,
piuttosto che di una vecchia macchinina a pedali da far guidare ai bambini, o
del piccolo pony legato ad un palo su cui chiunque si può improvvisare
cavaliere.

Qualche temerario prende il sole che non c'e' in mutande
grigio slavato. I bambini sembrano divertirsi come non mai, dimenticando tutti i
problemi che li aspettano a casa.

Risalendo verso la strada mi arrampico su una scalinata che porta al tempio più
antico di Mumbai, Babulnath, dedicato a Shiva il distruttore. Lungo i ripidi
scalini le donne, e solo le donne, lasciano delle foglie con una piccola candela
di canfora incendiata, formando un magnifico fregio di fuoco dal sapore antico.

Il tempio è affollato di fedeli intenti nelle puja, le
offerte, e immersi in un coro devozionale che snocciolano ad occhi chiusi.
Ridiscendo verso il mare e mi arrampico di nuovo sulla collina, questa volta
attraverso un bosco fitto di giungla e scimmie. In alto, sudato, finisco in
pochi secondi una ThumbUp, la CocaCola locale, dolce e speziata, e passeggio per
i giardini pensili. Non mi interessano per niente i giardini pensili ma in
questa zona sto cercando i parsi, una minoranza religiosa di origine persiana,
di cui in India, per la maggior parte a Mumbai, vivono 100000 fedeli, tutti
occupanti le più alte cariche di politica e finanza. I parsi, per tradizione,
non vogliono sporcare con i propri cadaveri la terra e così hanno inventato le
Torri del Silenzio, delle costruzioni circolari cui e' altamente proibito
accedere, in cui lasciano i cadaveri, bagnati di urina, alla fame degli uccelli,
che ne facciano cibo e natura e vita. So che qui attorno ce ne sono alcune, ma
il luogo è segreto, così vado per tentativi fino a che mi imbatto in un lungo e
alto muro aperto solo su un cancello sorvegliato da una guardia. Dalle mura
sbocciano alberi altissimi che coprono la vista anche ai balconi circostanti.
Eccole le Torri. Discendo la via lungo il perimetro del muro fino a che mi trovo
da solo, senza persone ne' traffico. Solo silenzio e il rumore continuo dei
corvi. Mi accoccolo nella piccola sensazione di paura e disagio fino a che mi
sento a casa.
Intanto il cielo si fa nero per la notte che chiede il suo spazio e le macchine
accendono i fari per farsi strada. Ritorno verso la folla e cerco un
ristorantino per rimpinzarmi di salsa masala. In un curry di montone affondo i
pensieri della giornata per ritirarli fuori ancora più saporiti ed interessanti.
Il mio viaggio alla scoperta di Mumbai è appena all'inizio.
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