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Hiron Island: un piccolo angolo di Paradiso PDF Stampa E-mail
Scritto da Umberto Murgia   

Durante un viaggio in Australia, non resisto al richiamo della Grande Barriera Corallina.
Così da Gladstone, cittadina sulla costa orientale, mi imbarco su un grande catamarano a motore, destinazione Heron Island, una piccola goccia verde nell'immenso Oceano Pacifico, situata a oltre 50 miglia dalla costa. Dopo poco più di due ore di navigazione, arrivo sull'isola, che, nonostante la presenza di un resort, appare intatta nella sua natura. In realtà vengo a sapere che essa fa parte di un parco marino, sede di un centro ricerca universitario, dove si alternano biologi che vengono a studiare il comportamento di alcune specie animali.
In alcuni periodi dell'anno infatti l'isola, che ha un'estensione di circa 1 Kmq, è frequentata dalle tartarughe marine, che numerose arrivano sulla spiaggia per depositare le uova. Inoltre tra novembre e marzo Heron Island viene 'invasa' (si parla di oltre 100.000 esemplari) da diverse specie di uccelli che la scelgono per nidificare, mentre a novembre fanno la loro comparsa le balene, che giungono in questo tratto di mare per l'accoppiamento.

La vegetazione grazie al clima tropicale, con brevi e frequenti piogge durante tutto l'anno, è molto rigogliosa, a tratti impenetrabile e arriva, con l'alta marea, quasi a toccare il mare. Il caldo umido si fa sentire, ma è mitigato dalla presenza quasi costante di un vento da Sud-Est.
Pochi bungalow, dotati di tutti i confort essenziali, sono immersi in quest'oasi tropicale.
L'attracco avviene sull'unico approdo possibile nell'isola, un lungo pontile di legno, che delimita una piccola rada, dove sono ormeggiate le 2 barche del Diving e quella del Centro Ricerca.
L'azzurro del mare in contrasto con il bianco della sabbia e il verde della vegetazione offrono, a chi sbarca, un paesaggio mozzafiato.


Appena messo piede sul pontile, sporgendomi da questo per osservare meglio il mare, scorgo le sagome di 2 trigoni giganti adagiati sul fondale sabbioso e di uno squalo di barriera. Non vedo l'ora di immergermi!
Così appena depositato il bagaglio, sono al Diving, che appare efficiente e ben organizzato sotto tutti i punti di vista, forse il migliore che abbia visto in tanti anni di attività subacquea.
Jim, un Divemaster del centro, mi spiega che tutte le immersioni vengono effettuate dalla barca, a circa 1 miglio dall'isola e che considerata la distanza dalla terraferma e la pericolosità di questo tratto di mare, dove le condizioni meteo possono variare repentinamente, è fondamentale che tutte le attività avvengano nel rispetto della massima sicurezza ovvero non più di due immersioni al dì (una al mattino e una al pomeriggio), che non superino i 20m di profondità e la durata di 50 minuti, con due guide sempre presenti, la prima in testa e la seconda in coda al gruppo dei sub. Conclude dicendomi: 'qui siamo in mezzo all'oceano Pacifico perciò, massima attenzione alle correnti sottomarine che possono diventare molto forti e cambiare direzione improvvisamente'.

Il giorno dopo, di buon mattino, si parte per la 1° immersione e l'idea che stia per entrare in contatto con la Grande Barriera Australiana mi eccita non poco. Così dopo un breve tragitto in barca, in pochi minuti sono sotto la superficie del mare in compagnia della mia fedele fotocamera.
Tutta l'immersione si svolge in parete. La visibilità, per la presenza di un elevata concentrazione di Plancton, è intorno ai dieci metri e vi è una discreta corrente.
La Barriera Corallina pare essere in ottimo stato. Grazie al Plancton, tutto è di dimensioni maggiorate, dalle formazioni madreporiche dalle più svariate forme, ai pesci che le popolano, anche se, rispetto ad altri reef, complessivamente c'è meno colore.
Nell'immersione del pomeriggio la luce è più adatta per la fotografia subacquea, così mi diverto a fissare qualche immagine della vita di barriera, tra cui un enorme tridacna con le valve completamente aperte, anche se aspiro a qualche 'grande' incontro che però non avverrà neanche nei due giorni successivi.

Al risveglio del 5° giorno di soggiorno nell'isola. mi attende una amara sorpresa, tutte le attività subacquee sono annullate, causa un vento a 30 nodi con mare forza 3.
Approfitto di questa giornata per fare snorkeling e godermi un po' di relax sull'incontaminata spiaggia corallina, rimanendo estasiato dal meraviglioso tramonto sul mare.
La mia mente, dopo pochi giorni di permanenza in questo piccolo angolo di Paradiso, si è già completamente disintossicata dallo stress della vita cittadina.
Il vento calato durante la notte, ci permette l'indomani l'immersione in altri due siti, Coral Grotto e Pams Point.
Appena entrati in acqua veniamo subito avvicinati da uno squalo 'Pinna Bianca', che ci accompagna per un tratto di parete. Sembra un buon inizio!
Mentre sono intento a fotografare un enorme anemone dall'estremità viola abitato da almeno una decina di pesci pagliaccio, un ombra, improvvisamente, oscura quel tratto di barriera.

Alzo la testa e vedo pochi metri più in alto una gigantesca manta. Purtroppo lo spettacolo dura poco, giusto il tempo di qualche scatto, e il meraviglioso esemplare sparisce nel blu dell'oceano.


Arriva così l'ultimo giorno e con esso gli ultimi 2 tuffi in questo tratto della Grande Barriera.
L'immersione del mattino avviene senza incontri particolari, in compenso l'adrenalina sale ugualmente quando veniamo trascinati, come in un fiume in piena, da un'improvvisa e forte corrente dalla quale riusciamo, con molta fatica, a liberarci incolumi, grazie a una combinazione di fortuna ed esperienza. Quella del pomeriggio a Heron Bonnie invece, si rivela entusiasmante oltre al previsto. Infatti, facciamo prima un incontro con due squali grigi di buona taglia, che con indifferenza, ci passano vicino e poi con tre splendide mante, che volteggiano per parecchi minuti sopra le nostre teste incrociandosi tra loro più volte.
Vengo talmente catturato dallo spettacolo di questa danza, che le signore del mare pare vogliano offrirci, che mi scordo della fotocamera, così che quando la riprendo per immortalare il momento, le tre danzatrici sono scomparse. Peccato! Ma ho l'occasione di rifarmi con alcuni scatti a delle enormi tartarughe che incontriamo prima di risalire in superficie, una delle quali ha ben 2 remore pilota attaccate al suo carapace.


Un immersione splendida! Posso dire di aver chiuso in bellezza.
E' tempo di fare la valigia per tornare in Italia.
Provando a fare un bilancio su quest'avventura subacquea, posso considerarmi soddisfatto, anche se mi aspettavo qualcosa di più.
Resto dell'idea che, considerando anche la distanza dall'Italia, il Mar Rosso sia ancora la meta sub che sino ad oggi mi ha entusiasmato di più.
In ogni caso credo valga sempre la pena, quando possibile, esplorare anche mete lontane. Se non altro può servire ad apprezzare quello che si ha più vicino a casa.

 

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