Un te' alle falde del biblico monte Ararat Stampa
Scritto da Dino Mazzini   

"Cay". Il gesto deciso, il tono di voce e lo sguardo severo (ma paterno) del poliziotto che ci ha fermato per un nostro evidente eccesso di velocità non ammettono repliche. Ci tocca fare una sosta e bere l'ennesimo tè', e visto da chi è offerto è sempre meglio in ogni caso della multa salata che ci meriteremmo…

E' il 2 luglio e siamo così fermi per ordine dell'autorità ad un distributore di benzina nella piana di Dogubayazit, ai piedi del monte Ararat, in Turchia a soli 30 km dal confine con l'Iran. E' la giornata che segna la metà del nostro viaggio estivo di quest'anno, nel punto più ad est raggiungibile dall'Italia senza particolari formalità burocratiche (per l'ingresso in Turchia è sufficiente il solo passaporto). E lontano "giro di boa" possibile da raggiungere nelle classiche tre settimane di ferie che toccano a noi comuni mortali: proseguire ancora verso est per entrare in Iran vorrebbe dire, infatti, aver bisogno di visti e autorizzazioni speciali per la moto che richiederebbero un'attenta programmazione, e in ogni modo almeno 4-5 settimane di viaggio in totale per rientrare in Italia via terra.

Una cosa che promettiamo di rimandare a viaggi futuri, noi che siamo partiti questa volta un po' in fretta, con l'obiettivo di fare soprattutto una visita a buoni amici conosciuti in viaggi precedenti in altre parti della Turchia: Sinan e Suleyman, che commerciano tappeti e vivono a Goreme, in Cappadocia, e Hasan, che ha una locanda ad Istanbul ma ogni estate si trasferisce a Rize, sul Mar Nero, per la raccolta del tè sulle sue proprietà; dove è nato prima di trasferirsi con la sua famiglia (come quasi tutti di questa zona) nell'impossibile metropoli d'Istanbul che conta ormai più di 15 milioni d'abitanti.


Il nostro viaggio fin qui è stato preparato giorno per giorno, con le informazioni raccolte sulla vecchia guida del TCI che avevamo in casa e che abbiamo letto nella veloce traversata dell'adriatico sul traghetto che da Ancona in una notte ci ha portato ad Igoumenitsa, in Grecia. E con le indicazioni forniteci dagli albergatori la sera per la mattina successiva, e i consigli dei nostri amici di Goreme, che ci hanno persino convinto ad un'escursione di una giornata all'interno delle montagne vicine dell'Anatolia.

Una giornata che, seppur inaspettata e meravigliosa, si è rivelata un'autentica tortura per la nostra moto: un vecchio BMW R 100 RT di quasi 20 anni, ancora in gran forma ma non proprio ideale per le piste rocciose che abbiamo dovuto (o meglio voluto) affrontare per 80 Km prima di arrivare a destinazione, alle tre cascate che escono direttamente dalla roccia ai piedi della montagna a Kapuzbasi.
Dopo aver attraversato impossibili piccoli paesi (che pareva di essere in Afghanistan piuttosto che in Turchia, che vuole entrare nella CEE), abitati da gente che non abbiamo capito di cosa vivesse, su spoglie montagne rocciose e non coltivabili; ma dove comunque sulle loro case di terra, con finestre senza vetri e al massimo tende per ripararsi dal freddo d'inverno, non mancavano mai le parabole per la televisione. Situazioni che abbiamo visto anche dopo, soprattutto qui intorno all'Ararat, e che mettevano tristezza: case di sterco e fango, donne che lavoravano nei campi e portavano a casa in spalla il fieno tagliato a mano, e uomini che invece ci osservavano passare, distraendosi un attimo dalle chiacchiere che stavano facendo davanti al bicchiere di tè nelle locande, simili solo nella loro funzione ai nostri bar. Decine e decine di bambini, alcuni anche molto molto piccoli, sui campi e a lato delle strade a badare pecore e capre, qualche volta mucche, il più delle volte in piccoli greggi per la sussistenza della famiglia. Bambini che non parevano intenti a quel mestiere nelle vacanze scolastiche, ma che davano invece l'impressione di non aver mai visto una scuola… E nelle cittadine più grandi e moderne, come Bitlis, Van, Diyarbakayr, Tatvan, il contrasto tra le donne più anziane, tutte rigorosamente con il fazzoletto in testa (ma a volte anche con la tunica nera che lascia scoperto solo il viso) e le ragazze più giovani, alcune anche con la gonna appena sopra il ginocchio. Senza comunque arrivare a portare le minigonne che si possono vedere ad Istanbul, città dove i contrasti sono molto più grandi. E dove, passando velocemente sull'autostrada, abbiamo visto comunque condizioni di vita completamente diverse da queste, anche per i più poveri. E dove ci avevano colpito le nuove zone residenziali in costruzione sulle colline, fatte di piccole case colorate le une identiche alle altre, a centinaia e distanti tra loro solo pochi metri, senza un giardino, una pianta, un po' d'intimità. Veri e propri formicai, o meglio alveari visti i colori sgargianti con cui venivano dipinte…

Anche dopo Goreme, il nostro viaggio è rimasto una piacevole improvvisata: il giorno dopo, ad esempio, abbiamo provato ad arrivare al Nemrut Dagi in tempo per il tramonto, ma i km erano troppi e non ci siamo riusciti, scoprendo però in questo modo l'esistenza di due modesti ma decenti hotel nella deserta valle rocciosa proprio a soli 8 km dalla meta. La nostra guida invece consigliava di fermarsi nella città di Kahta, a 40 km di distanza, dove, in effetti, avevamo visto passando ottimi hotel. Incontrando così nell'hotel anche i tre motociclisti inglesi che, semplicemente, stavano andando in Australia in sella a tre Transalp, e che ci hanno sorriso con un po' di commiserazione, a noi che stavamo andando solamente fino al monte Ararat. Tutta una questione di misura, in quel momento mi e' venuto da pensare con affetto a Toblerone, un amico motociclista di Bologna con questo soprannome, che una volta era arrivato persino al Lago Balaton, in Ungheria, ma poi da li' non si era azzardato ad arrivare fino a Budapest, che sarebbe andato troppo lontano da casa...........Il Nemrut Dagi lo abbiamo così raggiunto la mattina per l'alba, mettendo a dura prova un'altra volta la nostra povera moto sulla ripida strada lastricata e sconnessa, e più di una volta abbiamo temuto di non farcela.. Grande comunque è stata la soddisfazione di essere arrivati fino in cima. Impareggiabili le emozionanti sensazioni provate osservando il mondo dall'alto insieme alle antiche statue volute nel I sec A.C. da Antioco I ai piedi del suo tumulo funerario di 150 m di diametro, alto 50 m e a quota 2150 m dal livello del mare.

Senza un'approfondita preparazione abbiamo però fatto anche degli errori grossolani, come quello di perdere per soli 10 minuti, partiti proprio dall'hotel al Nemrut Dagi, il traghetto sul grande lago Ataturk creato con lo sbarramento artificiale del fiume Eufrate. Rimanendo così ad aspettare e a cuocere, nell'unica giornata veramente calda finora vissuta in tutto il viaggio. Nonostante l'ombra dell'improvvisato bar e la simpatia dei ragazzini curdi, a guardare i viandanti locali che, scesi dagli onnipresenti minibus, si lavavano i piedi nelle apposite fontanelle. Un rito che avevamo già' visto anche in quasi tutte le stazioni di servizio. Sempre nell'attesa, avevamo avuto così anche la possibilità di osservare da vicino una delle tante piccole e antiquate motociclette a due tempi, tutte rigorosamente dotate di carrettino (molto diverso dai nostri sidecar) che avevamo visto in giro a centinaia nei giorni precedenti, stracariche di gente, foraggio, animali e merci più strane. Sempre condotte da motociclisti senza casco: non ne abbiamo ancora visto uno che lo portasse, e non siamo ancora riusciti a capire se ne è obbligatorio l'uso; ma a noi non interessa, tanto lo porteremmo comunque. Il tempo dell'attesa del barcone non e' andato perso, ma e' stato prezioso per riordinare i tanti appunti presi con il registratore fino a quel momento per costruire, per l'anno prossimo, il road book di una nuova motovacanza di gruppo per gli amici di 2000MOTO, associazione della quale siamo tra i soci fondatori dal 1995.

Oltre Diyarbakir (e ci hanno detto sarà così fin sul Mar Nero) ovunque grandi caserme piene di militari e mezzi da guerra, da noi visti per fortuna solo in televisione….Posti di blocco permanenti dei militari ogni 30-40 Km e negli incroci importanti, con tanto di carro-armato e cinture chiodate pronte per essere stese in un attimo a fermare chi volesse forzare il blocco. Accurate ispezioni degli autocarri e degli autobus, turistici e di linea, ma solo curiosità verso noi motociclisti ai quali al massimo è stato chiesto dove andavamo e da dove venivamo, con segni d'ammirazione quando sentivano che eravamo arrivati fino a lì dall'Italia. Solo una volta nei 20 o 30 posti di blocco che abbiamo incontrato ci sono stati chiesti anche i documenti. Nonostante tutto, non si avverte comunque alcuna tensione, il traffico e' molto scarso e non si hanno per questi stop delle grosse perdite di tempo. I problemi interni in queste zone sono sopiti con la resa del PKK dopo l'arresto di "Apo" Ocalan, che con l'arma vigliacca del terrorismo per anni ha rivendicato una maggiore autonomia dei curdi di queste terre, che non si sentono turchi. Queste zone furono annesse alla Turchia moderna nel 1923 dopo la disgregazione dell'impero ottomano e le battaglie contro le potenze europee che se lo volevano spartire, capeggiate da Mustafa Kemal "Ataturk " (padre dei turchi) che e' ancora venerato nel paese con un dio, nonostante sia morto nel lontano 1938. Il suo ritratto e' ovunque, e non solo in tutte le banconote, che hanno raggiunto ormai l'incredibile valore di 10 e 20 milioni di lire turche, somma che però non basta nemmeno per un pieno di benzina della moto (1 euro = 1.600.000 lire turche). Tanto controllo militare è comunque giustificato dal fatto che in questa zona la Turchia, e con essa tutto il mondo occidentale a lei alleato, confina con diversi paesi in questo periodo non proprio comodi vicini: Iraq, Iran, Azerbaigian, Armenistan, Georgia.

Viaggiare in queste zone della Turchia ci ha sempre piacevolmente sorpreso. Paesaggi che cambiavano continuamente: dalle famose formazioni create dal vento e dall'acqua in Cappadocia, alle distese erbose senza alberi coltivate a foraggio nei territori attorno al lago Van; dalle fertili colline piene di grano intorno a Diyarbakir, alle nere ed impressionanti colate di lava tra Muradiye e Dogubayazit; dalle montagne rocciose della zona di Goksun, spruzzate di alberi né troppo lontani né troppo vicini tra loro, ai colori della terra nuda arsa dal sole nella zona di Kahta e del Nemrut Dagi. Buon asfalto quasi ovunque, indicazioni stradali perfette, traffico molto scarso e corretto, temperature ideali per una vacanza in moto (20-30° C) grazie alla elevata altitudine alla quale ci si trova, quasi sempre oltre 1000 m sul livello del mare. Cielo perennemente turchino, e la piacevole abitudine dell'omaggio del bicchierino di tè tutte le volte che ci fermavamo a fare benzina. L'ospitalità, la voglia di fare amicizia, lo sforzo continuo di comunicare e di capire la nostra lingua, o l'inglese con il quale anche noi abbiamo provato a comunicare con loro. I piccoli regali che ci hanno offerto senza secondi fini ci hanno fatto sempre sentire importanti e sicuri tutte le volte che siamo stati in rapporto con loro, per comprare un poco di frutta per strada come pure per chiedere un'informazione o fare appunto benzina.

Ieri, al lago di Van, se fossimo stati preparati a questa possibilità, saremmo riusciti anche a fare un bel bagno, che l'acqua salata era calda e la riva praticamente deserta, ma non avevamo né costume né asciugamano, che intendiamo comprare arrivati sul Mar Nero. Ed era anche tardi, perché la mattina eravamo rimasti troppo tempo dentro al cratere del vulcano spento Nemrut a Tatvan, a 3000 m, insieme ai pastori e ad ammirare il grande lago formatosi al suo interno. E con la mente a quel pomeriggio, ci torna anche l'ombra del sasso lanciatoci contro dall'incosciente pastorello, che poteva al massimo avere 5 o 6 anni, mentre sfrecciavamo ad oltre 110 km/h. Una pietra che se ci avesse colpito ci avrebbe fatto un bel male, e che invece si e' limitata a rompere una borsa laterale, grazie all'impatto dovuto alla elevata velocità a cui andavamo. Abbiamo discusso tra noi per 20 minuti se fosse stato meglio andare più piano, che ci avrebbe colpito di sicuro ma con danni minori, o invece accelerare ancora di più, che forse non sarebbe riuscito a colpirci (ma se ci colpiva, c'era da lasciarci le penne……….) E' stato comunque un fatto insolito, diverso dai saluti che invece ci hanno mandato tutti gli altri bambini, tanti, che abbiamo visto lungo le strade insieme ai loro animali. E che comunque non deve stupire più di tanto, dal momento che da noi, in Italia, si sono dovute arrestare delle persone maggiorenni colpevoli dello stesso divertimento….. Noi abbiamo dimenticato presto questo incidente, quando in serata dopo nemmeno mezz'ora dal fattaccio, superate al tramonto le impressionanti distese di lava sulle quali correva la strada, ci e' apparso improvvisamente di fronte il biblico monte, ancora coperto di neve. Che con le sue forme non nasconde a nessuno la vanità dei suoi 5160 m d'altezza e la sua storia di ribollente vulcano, dove sarebbe approdata l'arca di Noè dopo il diluvio universale.
 

E mentre finisco il bicchierino di te omaggio del poliziotto, guardo con curiosità la banconota iraniana che abbiamo preso per souvenir un ora prima per 5 dollari americani dal losco personaggio che ci è venuto incontro sul confine con l'Iran convinto andassimo dall'altra parte. Noi siamo andati questa mattina in realtà a vedere il meteor choruku, un foro cilindrico nella terra di oltre 35 metri di diametro e profondo altrettanto, causato da un meteorite, il secondo di dimensione scoperto su tutta la crosta terrestre (il più grande è in Alaska). Niente d'eccezionale, ma per noi una buona scusa per recarci, dall'hotel, nel punto più lontano da casa verso est prima di riprendere la strada dell'ovest. Ora ci aspetta la visita al vicino palazzo di IsakPasa, e poi ripartiremo verso Kars, a nord, dove dovremo andare dalle autorità militari a chiedere lo speciale permesso per la visita delle rovine della antica capitale armena, Ani, sul confine attuale con l'Armenistan.

Nella nostra vacanza, superata quindi la rocciosa vallata di Artvin, avremo ancora tempo per rimanere alcuni giorni sul Mar Nero, a Pazar, vicino a Rize, insieme a Hasan, che ci aspetta con impazienza, per stare un poco al mare e visitare le piantagioni di tè. Per poi tornare verso ovest lungo la costa, con una deviazione nei pressi di Trabzon al monastero di Sumela appeso alla montagna come un nido di rondine, e fermandoci solo una mezza giornata a Istanbul per fare shopping al Gran Bazar. Contando di trovare anche sul ritorno il tempo per stare ancora qualche ora in spiaggia sulle coste della Grecia, prima di riprendere il traghetto che ci sbarcherà ad Ancona dopo circa 7.500 km e 21 giorni fantastici.
 



Racconto di Dino e Liana Mazzini.
Sito: www.motovacanze.it