India, magico pianeta. Stampa
Scritto da Giuseppe Cotichini   

India, un universo a sé: magico, enigmatico, indecifrabile, complesso e profondo, moderno ed arcaico, ricco e miserabile. Un altro pianeta. Vi ritorniamo per far visita ad una sovrana: la tigre.



La regina della giungla, la marahani delle foreste.
Ci accompagna Max Evangelista, il simpatico e brillante contitolare della Travel Revolution (un tour operator milanese specializzato in viaggi d'avventura), con il quale abbiamo dettagliatamente concertato il programma del tour estretto un ottimo rapporto.
Sbarchiamo a Dheli, dove rivediamo gli stessi monumenti della volta scorsa, con la sola eccezione della tomba di Gandhi, il grande padre dell'India e del mondo intero.

Partiamo per il Madhya Pradesh. Nel cuore dell'India. La nostra meta è il Parco Nazionale di Kanha, sicuramente il più conosciuto, anche perché celebrato da Kipling nel 'Libro della giungla'. Ma pure uno dei più belli al mondo per la varietà del suo paesaggio collinare, ammantato da rigogliose foreste di tek, di sal, di hardwinchia, di ebano indiano e da fittissimi boschi di bambù.Un irresistibile scenario di dolci pendii, di prati verdissimi, di fiumi d'argento. Il magnifico regno di Sua Maestà la tigre.
Nei quattro giorni di sosta non restiamo mai fermi. A bordo di una piccola jeep completamente scoperta sfidiamo il freddo pungente del primo mattino, aspettando che i raggi del sole filtrino tiepidi tra la fittissima vegetazione. Per primo incontriamo un gaur, il bisonte indiano, davvero enorme, il solo animale della giungla che non teme la tigre. Poi ci imbattiamo in greggi di chital o cervi pomellati, dal manto rossiccio punteggiato di macchie bianche.Di tanto in tanto qualche cinghiale fa una rapida apparizione. L'aria è purissima e la respiriamo a pieni polmoni.
Il secondo giorno notiamo a distanza un felino che va ad infrattarsi. Non ne siamo certi, ma crediamo si tratti di un leopardo. Subito dopo avvistiamo il barasingha, un rarissimo cervo acquatico a dodici corna che sopravvive soltanto a Kanha. Ne ammiriamo un branco che staziona tranquillamente in uno stagno, molto opportunamente recintato e protetto. E' un animale in serio pericolo di estinzione. In cima ai colli incontriamo il sambhar, il grande cervo, preda preferita della regina. Questa antilope è nota perché, alla vista della tigre, lancia un bramito d'allarme, acuto e metallico, simile ad uno squillo di tromba, che risuona sinistro nella foresta. Cui fanno eco i langur o entelli, scimmie molto numerose in tutta l'India. Ma sinora nessun sentore di Sua Maestà. Aguzziamo lo sguardo, ma il sottobosco è pressocchè impenetrabile. Anche il binocolo serve a ben poco.
Il terzo giorno ci colpisce il Nilgai o toro blu, un'antilope dal manto bluastro molto più simile ad un cavallo. Ne vediamo un branco che pascola insieme ad alcune cervicapra. Molto spesso udiamo l'urlo stridulo e acuto del pavone che trionfa per la sua straordinaria bellezza. Seppure di sfuggita notiamo uno sciacallo. E poi una iena. In uno stagno sguazzano alcune cicogne nere. Finalmente riusciamo a partecipare ad una battuta alla tigre, in groppa ad un elefante. Dal tetto di un'auto, saliamo a fatica sulla portantina, posta a più di tre metri d'altezza. Poi ci addentriamo nel folto della giungla. Il pachiderma procede passo dopo passo, molto lentamente, fiaccando l'erba alta o il denso fogliame e aprendosi varchi fra gli arbusti spinosi e i rami più bassi degli alberi. Il mahout lo conduce con molta padronanza, quasi accarezzandolo sul capo con battiti ritmati dei piedi nudi e solo raramente con incitamenti vocali, senza far uso dell'ankusha, l'apposito gancio tagliente. Procediamo dondolando da un lato all'altro dell'animale che nonostante la mole fa poco rumore. Si sente soltanto il pesante e cadenzato calpestio del terreno soffice. Dall'alto godiamo di un'un ampia visuale. Mentre siamo intenti a trattenere dei rami che potrebbero colpirci sul viso, il conducente bruscamente s'arresta. E con un leggero movimento della testa ci indica un punto ove fissare lo sguardo. Aquattata dietro un fitto groviglio di erbe e di arbusti c'è lei: la mitica tigre. L'emozione che proviamo è fortissima. Viviamo un momento di indescrivibile intensità. Giace distesa a non più di quattro-cinque metri e ci fissa con i due grandi occhi gialli. E' strepitosamente bella. Ha una corporatura massiccia, imponente, ma estremamente elegante. Incute timore.
La osserviamo trattenendo il respiro. Ma lei indispettita ringhia, si leva in piedi, prende lo slancio e con un balzo davvero felino atterra sul tronco arcuato di un albero non proprio vicino. E poi si arrampica su un ramo più alto, mettendo in mostra la sua formidabile muscolatura.
Rientramo al lodge pienamente soddisfatti.


Il giorno seguente partecipiamo ad un altro safari con l'elefante. L'unico mezzo in grado di penetrare nella fitta boscaglia e di stanare la tigre, molto restia ad uscire allo scoperto.  Dopo alcune ore di marcia in un groviglio di rami, di giunchi, di rovi che l'elefante solca per farsi strada, il mahout ci fa un segno con la mano. A una ventina di metri da noi notiamo due tigri. L'elefante si avvicina molto lentamente. Giunto a brevissima distanza si ferma. Il conducente lo costringe addirittura ad una giravolta per offrirmi una posizione più favorevole per le riprese. Dalla gioia non siamo più nella pelle. Le due fiere stanno consumando un abbondante banchetto. Hanno una preda ciascuna che divorano ingorde a grandi morsi, senza concedersi soste. Udiamo chiaramente il rumore delle fauci che affondano nelle carni e le lacerano. Restiamo a lungo con la telecamera puntata, sporgendoci al di fuori della portantina.




Di certo abbiamo avuto una fortuna sfacciata. E pensare che c'è gente che viene in India e non riesce a vedere la tigre neppure in fotografia. L'indomani ci trasferiamo nella riserva di Bandhavgarh.Ci fermiamo un paio di giorni. Ma qui non ci assiste la stessa buona sorte.
Incontriamo molti animali, ma della tigre neppure l'ombra. Va bene lo stesso.
 
Proseguiamo il viaggio alla volta di Varanasi.Un giusto intervallo tra un safari e l'altro.
A bordo di un moto-riksho visitiamo la città santa, letteralmente invasa da fiumane di persone che corrono nelle strade come impazzite, tutte imbrattate di colori, da capo a piedi. Sono i giorni del festival, cioè del Carnevale indiano. Abbiamo appena il tempo di scendere e di ammirare santuari, palazzi e moschee, tutti molto belli. La sera assistiamo alla cremazione di un cadavere. La salma, avvolta in teli profumati, è deposta in cima ad una pira, cui viene appiccato il fuoco che man mano l'avviluppa e la scioglie come una candela. A fine rito, le ceneri vengono gettate nel Gange.
Ogni induista ambisce di morire a Varanasi per ottenere l'indulgenza massima: la vita eterna. Ecco perché vecchi e malati vengono qui da tutto il Paese ad aspettare la morte.


Noi preferiamo recarci ad Agra, per ammirare il Taj Mahal, simbolo dell'India ed una delle meraviglie del mondo moderno.


Per concludere il giro delle riserve, raggiungiamo il Corbett National Park alle pendici dell'Himalaya. Lungo il percorso ci imbattiamo in una colonia di macachi che invade la strada.Il fiume Ramganga che bagna il parco disegna paesaggi incantevoli. La giungla è lussureggiante. La riserva ospita moltissimi animali. Ma, oltre alla tigre, deve la sua fama agli orsi dal collare e ai ghavial, una specie di coccodrilli dal muso lunghissimo e affilato. Ma a noi interessa soprattutto lei, la sovrana. Partecipiamo ad altri due safari con l'elefante. Nel primo, lungo un percorso molto accidentato, con ripidi pendii e brusche discese, ci accontentiamo di scorgerla appena di sfuggita. Sospinta dal pachiderma esce da dietro una siepe e corre subito a rifugiarsi in un anfratto. La volta successiva siamo più fortunati e riusciamo a scovarne una, sdraiata per terra. Dorme profondamente. Noi restiamo a guardarla a lungo. Con ammirazione e rispetto.
L'India è stata davvero generosa con noi.

Testo di Giuseppe Cotichini
Fotografie di Luciana Ciocci


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